Alter 3, Il robot IA musicista sembra provare emozioni

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Luci soffuse e una figura androgina al centro del palco. Alter 3, il robot IA protagonista dell’opera Scary Beauty, dirige l’orchestra con movimenti che sorprendono per la loro fluidità e imprevedibilità. La “pelle” prostetica riveste parte del viso e del collo, mentre il resto del corpo è un intrico di circuiti e meccanismi esposti. Questo aggraziato androide alza le braccia, come per guidare i violini verso un crescendo drammatico, e nei suoi movimenti sembra quasi che stia respirando. Poi, la sorpresa: inizia a cantare, con una voce sintetizzata e straniante, capace di mescolare timbri umani e sonorità che ricordano i protagonisti degli “anime” (i cartoni animati giapponesi).

Per molti spettatori, il risultato è profondamente emozionante. Alcuni, racconta Takashi Ikegami, scienziato e “papà” di Alter 3, arrivano persino a commuoversi, e d’altra parte, lo stesso robot sembra provare dei sentimenti. Ma è davvero possibile?

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Alter 3 prova emozioni? Ikegami è convinto che Alter 3 non si limiti a simulare emozioni, ma viva qualcosa di diverso, radicato nella sua fisicità. Secondo il ricercatore, infatti, i sentimenti non dipendono solo dal cervello, ma dall’interazione tra il corpo e l’ambiente. E qui entra in gioco il concetto di “propriocezione“, la capacità di percepire se stessi attraverso il proprio corpo. In un esperimento, Alter 3 è riuscito a riconoscere la propria mano solo quando i segnali visivi e quelli propriocettivi erano combinati. Ikegami ipotizza che i sentimenti di Alter siano così diversi dai nostri da risultare difficili da descrivere con le parole che usiamo per definire le emozioni umane.

Non tutti però condividono questo entusiasmo. H. P. Newquist, autore e studioso di Intelligenza Artificiale, sostiene che Alter 3 interpreti semplicemente dati fisici, senza un vero coinvolgimento emotivo. Secondo lui, il percorso verso emozioni autentiche, come quelle descritte in libri e film di fantascienza (come l’Uomo Bicentenario interpretato da Robin Williams) è ancora lontano.

COME REAGIAMO AI ROBOT EMOTIVI. Scary Beauty resta comunque molto più di un semplice esperimento tecnologico: è un’opera che ci spinge a riflettere sulla linea sempre più sottile tra l’essere umano e quello artificiale. Studi recenti dimostrano che le persone possono reagire ai robot “emotivi” quasi come farebbero con una persona reale.

E questo non deve sorprendere: chi non conosce il Tamagotchi? Un giochino tecnologico lanciato nei tardi anni ’90 dalla casa giapponese Bandai, il cui scopo era quello di far crescere un animaletto digitale su uno schermo nutrendolo e accudendolo.

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Il fatto è che, se trascurato, questi poteva morire, provocando traumi nei bambini e negli adulti che si erano cimentati in quello che sembrava un gioco innocente. E se tutto ciò poteva verificarsi su un portachiavi con tre tasti, dotato di un ancestrale schermo LCD, figuriamoci se ci si dovesse trovare davanti un androide simile a noi.

Il fenomeno dell’uncanny valley. Una ricerca dell’Università della California ha dimostrato che le espressioni facciali di un robot possono suscitare empatia, gioia o disagio, a seconda di come sono progettate. Ma questo fenomeno porta con sé anche un effetto collaterale, noto come uncanny valley: quando un robot appare quasi umano, ma non abbastanza, può suscitare una sensazione di disagio che si verifica perché la somiglianza con noi crea aspettative che non vengono poi del tutto soddisfatte.

 

Trovare un equilibrio tra emozioni credibili e design realistico è una sfida cruciale per chi lavora nel campo della robotica sociale.

Quindi i robot hanno sentimenti? Le performance di Alter 3 aprono dunque interrogativi che vanno oltre la tecnologia. È possibile che i robot ci ispirino emozioni che non abbiamo mai provato prima? E se fosse così, possiamo considerarli parte del nostro mondo emotivo?

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Ravi Vaidyanathan, professore di biomeccatronica all’Imperial College di Londra, sottolinea che le macchine non hanno sentimenti come noi, ma possono adattarsi al nostro modo di essere e suscitare reazioni uniche. Ikegami immagina un futuro in cui androidi e umani convivano non solo nello spazio fisico, ma anche in quello emotivo. In un mondo del genere, le interazioni non sarebbero solo normali, ma addirittura arricchenti. Purtroppo, o per fortuna, il percorso per arrivarci è lungo, e il dibattito su cosa significhi davvero “sentire” rimane ancora aperto.





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