Pensioni, cosa porterà il 2025. E cosa andrebbe fatto

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Ultim’ora news 28 dicembre ore 11

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Il 2024 è stato un anno di navigazione a vista per il sistema pensionistico italiano. In materia di previdenza obbligatoria sono stati confermati i canali di flessibilità in uscita precedenti (Opzione donna, Quota 103, Ape sociale) affiancati ai canali strutturali della pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi) e pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di anzianità per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne con finestra trimestrale). Va però evidenziato come Opzione donna sia stata fortemente ridimensionata nella portata e per Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) si è passati al ricalcolo integralmente contributivo. Quota 103 è stata poco utilizzata (nel 2024 circa 1.600 domande) proprio in ragione della scarsa convenienza del metodo di calcolo. Anche con riferimento alla previdenza complementare è stato un anno di mantenimento, senza particolari novità, in attesa di una nuova riedizione del silenzio assenso.

Il pacchetto previdenziale in manovra

Come si prospetta il 2025 in materia di pensioni pubbliche? Il pacchetto previdenziale in Legge di Bilancio prevede la proroga per un ulteriore anno di Opzione donna, Ape sociale e Quota 103 con un leggero miglioramento dell’appetibilità dell’incentivo al posticipo del pensionamento. Come elemento di novità dal prossimo anno per la pensione di vecchiaia delle donne che rientrino integralmente nel metodo di calcolo contributivo (il cui requisito richiesto è avere 67 anni di età e 20 anni di contributi se si sia maturato un trattamento pensionistico pari ad almeno l’assegno sociale, che nel 2024 è 534,41 euro mensili) si eleva il limite massimo della riduzione del requisito anagrafico per il trattamento pensionistico, in relazione ad ogni figlio. Il tetto viene elevato da 12 a 16 mesi, ferma restando la misura della riduzione per ciascun figlio, pari a quattro mesi; l’effetto concerne, dunque, le lavoratrici con quattro o più figli. Sono stati poi aggiornati, dal 1° gennaio 2025, i coefficienti di trasformazione in rendita (l’aggiornamento avviene ogni due anni alla luce dei dati Istat) con un effetto riduttivo delle pensioni.

Il nodo previdenza complementare

Per quel che riguarda la previdenza complementare, a decorrere dal 1° gennaio 2025, ai soli fini del raggiungimento dell’importo minimo mensile dell’assegno sociale stabilito per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi), su richiesta dell’iscritto, può essere computato, unitamente all’ammontare mensile della prima rata di pensione di base, anche il valore di una o più prestazioni di rendita erogabili da forme di previdenza complementare. Nel percorso parlamentare si è introdotto poi uno specifico emendamento per cui dal 2025 la previdenza complementare può contribuire anche al raggiungimento della soglia per accedere alla pensione anticipata contributiva (i requisiti sono rappresentati dall’avere 64 anni di età e 20 anni di contributi effettivi con un importo però che sia pari a tre volte l’assegno sociale. Per le donne con un figlio il requisito è pari a 2,8 volte e si abbassa a 2,6 volte con due o più figli). I lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 (interamente contributivi), dal 1° gennaio 2025, potranno accedere alla pensione anticipata con almeno 64 anni utilizzando l’eventuale rendita della pensione complementare per raggiungere la soglia pari a tre volte l’assegno sociale. Per i lavoratori che utilizzano tale possibilità, dal 2025, saranno necessari 25 anni di contributi e 30 anni dal 2030, benché la misura sia destinata a essere attivata da una platea ristretta di lavoratori, si coglie l’aspetto positivo di considerare la funzione delle forme pensionistiche private come elemento di integrazione della pensione di base e, più in generale, di supporto alla flessibilità del sistema pensionistico. Il prossimo anno ripropone poi l’opportunità di un restyling strutturale della previdenza complementare, sempre più necessaria come strumento di integrazione e di diversificazione del rischio previdenziale.Quali sono i profili di attenzione? Dal punto di vista fiscale occorre riflettere in primo luogo sulla opportunità di rivedere il limite di deducibilità dei contributi versati che è fermo ai 5.164,57 euro dal 2000. Andrebbe poi ripensata la tassazione sui rendimenti posticipandola al momento dell’erogazione della prestazione, come in molti Paesi europei. (riproduzione riservata)



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