Dal Sud agli Usa, Domenico Vacca firma lo stile napoletano a New York

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NEW YORK – Dal Sud Italia agli Stati Uniti, un non napoletano pioniere dell’antica sartoria napoletana a New York. Lo stilista Domenico Vacca, campione del Made in Italy lungo la leggendaria Madison Avenue della Grande Mela, si racconta così.

Radici e orizzonti: come e quando comincia il sogno americano di Domenico Vacca?

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«Il sogno della mia moda in America nasce nel 1996, prima come socio di un’azienda napoletana di camicie, e poi nel 2002 con il lancio ufficiale del marchio Domenico Vacca, ovvero con la creazione della prima collezione uomo e donna di capi e accessori “ready to wear” e un programma di “su misura” di più di 1.000 tessuti esclusivi. Nello stesso anno, apre il primo negozio Domenico Vacca monomarca sulla prestigiosa Fifth Avenue tra la 59esima e la 60esima strada a New York, accanto a tutti i mostri sacri della moda internazionale. Una grande sfida, abbiamo portato per la prima volta in America la vera sartoria napoletana, con capi fatti a mano, sia nella nostra collezione “ready to wear”, che nella collezione su misura. Siamo stati oggettivamente i primi a rendere la sartoria napoletana…internazionale, elevandone così l’autentica vestibilità negli Stati Uniti. Fino ad allora, i marchi presenti modificavano le loro vestibilità adattandole al mercato americano, noi siamo stati i primi a sbarcare invece senza compromessi. Il mercato era pronto e ci ha premiati.
Abbiamo aperto una strada che sembrava impossibile da percorrere e da perseguire, siamo arrivati al momento giusto, gli americani erano finalmente pronti alla vera sartoria Made in Italy».

Difficoltà e opportunità in una città come New York: quali i principali ostacoli, quali invece i trampolini?

«La New York degli anni 2000, nonostante l’impatto feroce dell’11 settembre, era fantastica, piena di opportunità, e poteva essere paragonata agli anni ’80 a Milano, quando la moda italiana e il Made in Italy si sono imposti con i nostri grandi stilisti. Gli americani erano affamati di qualità, cercavano meno i marchi e più l’Italian style, espressione che dovrebbe essere protetta esattamente come Made in Italy. Gli americani volevano vestirsi come gli italiani, iniziavano ad apprezzare le nostre vestibilità, i nostri tessuti e sopratutto i nostri look, iniziavano ad amare lo “spezzato”, i colori, le giacche a quadri, le camicie non solo bianche, iniziavano a capire che vestirsi era come un gioco, mettere insieme un look era divertente e il risultato era bellissimo. Oggi si vedono uomini e donne americani meglio vestiti, all’italiana, a New York, a Los Angeles, a Miami, a Chicago, che…italiani in Italia. Volevano saperne di più, volevano farsi consigliare, per anni li abbiamo educati all’Italian style, con notevoli risultati. Abbiamo insegnato loro che un capo di sartoria è un insieme di complicazioni create sul capo dalle nostre sarte e dai nostri sarti, siamo stati i primi a portare in America le asole funzionali sulle maniche, il taschino a “barchetta”, le tasche a toppa a “pignatello” e tante altre complicazioni che rendono un capo di sartoria italiana veramente unico. Le difficoltà erano poche, era una America che accoglieva chiunque portasse qualcosa di nuovo, di unico e sopratutto chiunque portasse qualità e autenticità».

Che cos’è lo stile Domenico Vacca? Quali sono le caratteristiche principali tanto per le donne, quanto per gli uomini? Che cosa non può mancare, e che cosa viceversa va esaltato assolutamente?

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«Lo stile Domenico Vacca è uno stile senza tempo con un “twist” internazionale. Abbiamo studiato lo stile di vita dei nostri clienti americani, il loro lavoro, i loro momenti social, i loro viaggi, i luoghi dove passavano le loro vacanze o magari avevano della case, e abbiamo creato interi guardaroba per loro, per tutte quelle occasioni e per tutti quei luoghi. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di avere dei clienti, uomini e donne, che aprono i loro armadi ed esclamano “I have so much to wear”, ho tanti capi da indossare, anziché dire “I have nothing to wear!” non ho nulla da mettermi. Il nostro concetto è creare collezioni che durino nel tempo e non collezioni che ogni hanno vanno cambiate perché i trend della moda sono cambiati. Non abbiamo bisogno di stravolgere tutto a ogni stagione affinché i nostri clienti comprino di più. I nostri clienti sono collezionisti, di arte, case, macchine, orologi, e da più di vent’anni collezionano i nostri abiti, giacche, camicie, cravatte, scarpe, perché sono prodotti che durano nel tempo e sono sempre attuali. Siamo stati gli antesignani della moda sostenibile, l’esatto contrario della moda usa e getta che continua a inquinare il nostro pianeta.

Capi che possano essere indossati per anni e anni, questo è il nostro mantra. Una sorta di seconda pelle, una pelle cucita addosso, che diviene parte di chi sei, il protagonista è il nostro cliente, non i trend della moda».

Un “napoletano” non napoletano, ma uomo del Sud, fiero: quali sono i tratti, in particolare della antica sartoria napoletana appunto, che non si devono e che non si possono perdere? Alcuni esempi concreti.

«La Puglia è molto vicina a Napoli, e alla sua cultura e alle sue tradizioni. Siamo molto vicini e la contaminazione, non solo nel modo di vestire ma anche in tante altre cose come il cibo e la musica, sono reali. Per noi pugliesi andare in vacanza a Capri o in costiera, o andare a “prendere un caffè a Napoli”, dove si partiva la domenica dopo pranzo per andare a fare una passeggiata sul lungomare o per le vie del centro, era quasi una forma di normalità. Nella mia vita poi Napoli è legata anche al ricordo di mio padre Michele che si diplomò all’ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica, ndr), oggi SUISM (Scuola Universitaria Interfacoltà di Scienze Motorie, ndr), così che da bambino ci andavo spessissimo con lui. Napoli, in particolare la piccola Casalnuovo, è la capitale della sartoria mondiale, dove noi “cuciamo” le nostre collezioni. Racconto sempre una storia ai miei clienti americani per spiegare…Napoli e i napoletani: “Tre amici si incontrano sul lungomare di Napoli per una passeggiata, due dei tre hanno un’attività che tutti e tre conoscono, mentre del terzo nessuno sa cosa faccia. Uno dei suoi due compagni gli chiede: ma tu che fai? E l’amico risponde: io mi vesto! Questa è l’essenza della sartoria napoletana: il napoletano…si veste!
Ecco, sono tante le caratteristiche della sartoria napoletana che noi preserviamo perché chi compra un nostro capo non compra un capo di abbigliamento ma compra la tradizione, la sapienza delle mani di un sarto. Insomma, tanto per essere ancora più chiari: compra…cultura. 
La spalla napoletana morbida, a differenza di quella inglese molto più rigida che nasce dai sarti che realizzavano le divise per la British Army, la manica a camicia con le sue pieghe inconfondibili, il bordo della tasca a toppa curvo che segue la mano mentre entra nella tasca creando meno attrito al tessuto, i bottoni sulla manica che si “baciano”, che si toccano, il filo sotto il bavaro che veniva usato per mantenere il gambo del fiore all’occhiello, la boutinniere, il taschino a “barchetta” con la curvatura sul bordo per far vedere un po’ di più il fazzoletto rigorosamente di lino bianco, e tante altre, sono le caratteristiche della sartoria napoletana che continuiamo a condividere fieri con i nostri clienti».

Uno sguardo al futuro: nell’era dei franchising, della moda veloce e a basso costo, quale orizzonte per questa antica e prestigiosa arte?

«Stranamente…non guardarsi intorno, ma guardarsi dentro, dove io trovo ancora passione per quello che faccio, trovo lo spirito di mia nonna Savina che già nel 1925 aveva un atelier ad Andria, in Puglia, dove sono nato. Sono affascinato dalla manualità, dalla artigianalità, passo ore a guardare i sarti tagliare un tessuto, a cucire, per me è magia pura. Quando abbiamo iniziato nessun giovane voleva fare il sarto, è un lavoro duro. Ora abbiamo tanti giovani che vogliono fare i sarti, oggi va di moda, e se ci sono tanti giovani che vogliono fare i sarti un po’ è grazie anche a noi che abbiamo portato la sartoria in giro per il mondo, che l’abbiamo portata a Hollywood dove ho vestito tantissimi attori con i nostri capi agli Oscar e ai Golden Globe, e in seno a tanti altri eventi. Ho realizzato i costumi per più di cinquanta film e serie televisive, tutti creati in sartoria a Napoli o in Puglia, un’altra regione dove la sartoria sta crescendo moltissimo. Ho vestito divi come Al Pacino, Denzel Washington, Dustin Hoffman, Daniel Day Lewis, Pierce Brosnan, Mickey Rourke, Forest Whitaker, Jeremy Piven, e tanti altri, anche atleti, capi di stato e celebrità di tutto il mondo, il mio nome e allo stesso tempo quelli del mio team e dei miei sarti è stato nominato decine di volte sul red carpet dai più famosi attori di Hollywood. La qualità vince, la passione per quello che si fa vince sempre, ecco perché da 25 anni non lavoro ma mi diverto creando e dando voce alla mia passione, e i risultati prima poi arrivano, non penso che il New York Times chiamerà un marchio di fast fashion “il re del lusso” e “l’ambasciatore del Made in Italy nel mondo” o La Repubblica “La Ferrari dell’abbigliamento”. Ebbene, senza falsa modestia, a me è capitato, e questo mi ripaga di tutto. I miei clienti fanno parte di un club culturale che non ha bisogno di membership perché quando si incontrano tra loro, si riconoscono, e non soltanto dallo stile dei loro capi, ma per l’approccio che hanno verso la vita. Sono pochi rispetto al mercato del fast fashion, ma per noi sono già tantissimi perché realizziamo opere d’arte da 25 anni e continueremo a realizzarle, perché è quello che sappiamo fare, quello che vogliamo fare e non possiamo vivere senza».



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E in chiave personale, invece: neo papà, quali altri sogni ancora per Domenico Vacca come persona?

«Il primo in assoluto e vedere crescere mio figlio di sedici mesi il più a lungo possibile. Non avrei mai pensato di poter provare tanto amore, e invece sono totalmente innamorato di mio figlio Michele York, un omaggio al nome di mio padre e uno alla città di New York. Continueremo l’espansione del brand Domenico Vacca nel mondo, è una cosa che faccio ormai da 25 anni e mi affascina sempre. Tra un po’ rientreremo nel mondo degli alberghi, abbiamo già avuto un albergo Domenico Vacca a New York per otto anni fino al 2019, abbiamo acquisito due immobili in Puglia che diventeranno due alberghi Domenico Vacca a cinque stelle. Ma il progetto più importante per il futuro è quello di vedere sempre più persone indossare i nostri capi, la nostra visione, il nostro sogno».


(Domenico Vacca è a New York, Milano, Roma e Bari)





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