La democratura di Vincenzo De Luca e la necessità di costruire l’opposizione politica in Campania

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Con l’approssimarsi della fine dell’anno il Presidente della Regione Campania – lo spumeggiante Vincenzo De Luca – ha presentato l’abituale rendiconto della sua azione amministrativa nella regione Campania.

Tralasciamo la malsana abitudine, che si ripete puntualmente ogni anno, di acquistare pagine di giornale e tabelloni pubblicitari di ogni sorta – da parte delle ASL e di alcune Aziende Regionali di Trasporto (EAV Campania) –  per veicolare i mirabolanti progetti di rilancio i quali, ad onore del vero, dopo quasi dieci anni di vigenza Deluchiana restano al palo o molto al di sotto di quanto pomposamente dichiarato negli anni passati.

Già a proposito di questa abitudine di utilizzare consistenti fondi pubblici “per la pubblicità/promozione istituzionale” avremmo molto da dire e confidiamo che – prima o poi – qualcuno vada a dare una seria controllata.

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Proveremo, invece, a concentrarci su alcune spiccate caratteristiche strutturali delle modalità di governance di Vincenzo De Luca (ed ovviamente del blocco di interessi su cui fonda la sua figura) le quali costituiscono un unicum non solo in ciò che residua dell’involucro politico della “sinistra tricolore” nazionale ma anche nella lunga galleria di quei personaggi politici – tipici di un certo “meridionalismo d’accatto” che ha contraddistinto una lunga parte del ciclo politico dei variegati gruppi dirigenti del meridione d’Italia.

È evidente che queste – ed altre caratteristiche – per quanto ammantate da una narrazione mistificante e falsamente sociale sono l’antitesi politica e materiale di ciò che serve – concretamente – ai settori popolari della società campana e a quanti auspicano una Rinascita a tutto campo della nostra regione e del complesso del Sud Italia dalle ancora tante tare della contraddizione/sottosviluppo meridionale e da decenni di distruzione del Welfare State.

In altri tempi e sedi abbiamo ricordato la genesi di Vincenzo De Luca e il suo articolato curriculum, dal vecchio apparato del Partito Comunista Italiano passando per la “stagione dei Sindaci” fino all’affermazione personalistica dentro un Partito Democratico dilaniato da guerre per bande, scandali politici, ingorghi amministrativi e faide correntizie legate a consorterie territoriali, affaristiche e speculative di vario titolo e natura.

Una genesi ed una affermazione consolidata, in una prima fase, nella “guerra al Bassolinismo” successivamente nella distruzione di una presunta Napolicentralità che avrebbe impedito la virtuosità delle altre province campane fino ad approdare ad una costruzione meticolosa di un sistema di sottogoverno e di occupazione sistematica di ogni addentellato economico, di ogni snodo di fruizione di fondi nazionali e/o comunitari.

Una attitudine alla concentrazione/centralizzazione di ogni nesso amministrativo regionale che ha raggiunto il suo azimut nel complicato periodo della crisi pandemica globale dove, Vincenzo De Luca, è stato mattatore indiscusso attraverso un sofisticato surf politico, decisionale e mediatico costruito sapientemente sul filo delle contraddizioni, capitalizzando intelligentemente le omissioni e gli oggettivi crimini contro la salute ascrivibili alla sconsiderata gestione nazionale dell’emergenza Covid 19.

Che poi questa vicenda ha prodotto dietro di se condanne giudiziarie, spese allegre ed inutili ed impicci vari in ogni comparto ancora in via di definizione poco importa se rapportato all’effetto ed al clamore prodotto sul versante dell’immaginario e del senso comune della stragrande maggioranza della popolazione della Campania e non solo.

Del resto se una certa comicità spettacolare nazionale (Crozza) sceglie di alimentare il personaggio De Luca questo significa che siamo in presenza di una fenomenologia politica che travalica il suo habitat ordinario penetrando nelle pieghe dell’antropologia del cittadino medio in questi tempi dove imperano le passioni tristi.

Stessa attitudine Vincenzo De Luca ha avuto modo di replicarla, nella primavera scorsa, durante l’accesa polemica contro il Ministro Raffaele Fitto, del Governo Meloni, a proposito della ripartizione e dell’assegnazione delle partite economiche legate ai “Fondi Comunitari e Sviluppo e Coesione” dell’Unione Europea.

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Anche in questa occasione De Luca ha montato un caso politico/mediatico – condito da alcune guascognate dal sapore ante litteram – per richiedere la velocificazione dei tempi di assegnazione di tali risorse nei confronti di un esecutivo di governo che agisce a “sostanziale trazione settentrionale”. Il tutto – ovviamente – è stato facilitato e reso possibile dall’inconsistenza ideologica e materiale delle opposizioni (dal Partito Democratico ai Cinque Stelle) le quali non riescono ad intercettare nessun umore o tensione di alterità proveniente dalla società e dal suo malessere.

Si badi bene il Governo Meloni era ed è in debito con la Campania ed il Sud ma l’azione rivendicativa di De Luca è stata concepita e costruita con una finalizzazione ad personam a palese discapito della dialettica istituzionale tra le varie amministrazioni e tarpando le ali ad ogni istanza di rappresentanza che non si addomesticava supinamente alla sua corte e ai suoi calcoli di immagine e di capitalizzazione personale.

Di converso quando – su un piano politico diverso e con ruoli opposti – verso l’Amministrazione Regionale della Campania sono state avanzate richieste di interlocuzioni, di apertura di vertenze e/o di aperta critica a questo o quel aspetto/risultato dell’azione amministrativa della Campania da parte dell’inquilino di Palazzo Santa Lucia sono arrivati insulti, dileggi e – alla bisogna – la blindatura autoritaria e poliziesca.

I fatti hanno la testa dura

Il dato politico programmatico di tipo fallimentare che, prioritariamente, imputiamo alla stagione Deluchiana è che nessuno dei capitoli di intervento individuati dall’azione di governo regionale, fin dall’inizio della sua vigenza nella prima consiliatura, è stato affrontato e risolto positivamente.

Nonostante le ingenti risorse impiegate ed il lungo periodo temporale avuto a disposizione né sul versante della Sanità Pubblica, né su quello del Trasporto Pubblico Locale e né su quello della Salvaguardia Ambientale del martoriato territorio della Campania (per restare a tre importanti macroquestioni) sono stati raggiunti risultati significativi e definitivi tali da far certificare una vera inversione di tendenza nei confronti degli indici statistici esistenti che disegnavano e configurano, tutt’ora, uno scenario imbarazzante in ogni comparto preso in esame.

Certo – periodicamente – De Luca inaugura cantieri, frequentemente indice conferenze stampe con una bella esposizione di cartelli che indicano target da raggiungere, spesso vanta alla sua azione politica amministrativa performance al di sopra di regioni come la Lombardia, il Lazio o l’Emilia Romagna ma – appena si dirada la cortina fumogena della propaganda – emergono non solo i “tipici ritardi strutturali” ma si nota l’assenza di una seria pianificazione e generalizzazione di qualsivoglia intervento riformatore che non sia l’evento spot ed episodico o l’evidenza di una qualche “forma di eccellenza” assolutamente non replicabile in maniera continuativa nell’ambito del generale sistema di fruizione pubblica dei servizi in Campania.

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Sarebbe fin troppo facile ricordare alla propaganda Deluchiana l’annuale classifica sulla vivibilità delle città e delle regioni che assegna, con una continuità impressionante, alla Campania postazioni sempre nella parte bassa ma vogliamo – a sostegno della nostra tesi negativa sull’operato di Vincenzo De Luca – richiamare i dati di Confindustria, dello Svimez, di Unioncamere, dell’ANCI, delle Università, delle Organizzazioni Sindacali, di Lega Ambiente e delle varie organizzazioni di categorie i quali (pur provenienti da ambiti culturalmente e politicamente diversi tra loro) certificano le carenze afferenti la qualità e le condizioni di vita e di lavoro nella nostra regione. Anzi – come dato di una certa valenza simbolica – c’è quello relativo all’emigrazione dei cervelli che colpisce per il suo costante trend in ascesa.

Persino sul piano delle “aspettative di vita”dei cittadini  – dunque sull’intreccio scientifico tra salute, qualità della vita e crescita socio/economica/ambientale – la Campania mostra un dato allarmante più basso rispetto alla media nazionale come indicato dall’ultima rilevazione ufficiale effettuata. Il tutto con buona pace del mare, del sole, della Campania Felix e della squallida iconografia con cui viene accreditata la nostra regione nella propaganda Deluchiana e non solo!

Morte della Politica e desertificazione del dibattito e dell’impegno pubblico

Vincenzo De Luca ha potuto affermarsi, crescere e prosperare nel corso degli anni in Campania in quanto ha beneficiato della vera e propria morte della politica ossia della lenta ma inesorabile opacizzazione e cancellazione di tutte le istanze critiche politiche, sociali e civili.

L’attacco ai  vari contrappesi istituzionali svuotati di ogni potere reale, agli organi di controllo e soprattutto l’annichilimento di quel protagonismo attivo e popolare che rappresenta il motore dinamico dei processi di democrazia e di affermazione dei coefficienti di autonomia necessari per difendersi dalle involuzioni -dirette ed indirette – verso l’autoritarismo ed il dispotismo: questa è stata la filosofia e la conseguente prassi del De Luca/pensiero e dei suoi interessati apologeti per oltre un decennio.

Persino sul versante politico dove, periodicamente, Vincenzo De Luca conduce delle incursioni i risultati presentano una plateale sproporzione tra quanto agitato a gran voce e ciò che è stato conquistato come “risultato politico”. Ci riferiamo agli strali di De Luca, particolarmente nell’ultimo anno, contro i progetti nordisti di Autonomia Differenziata.

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Ebbene – tanto per essere chiari – Vincenzo De Luca può agitarsi quanto vuole contro Calderoli, contro Zaia, contro la Meloni o anche contro qualche personaggio del Partito Democratico. Se la sua idea/forza di “federalismo regionale e/o di autonomia territoriale” sono le Zone Economiche Speciali, le Aree defiscalizzate, i Contratti d’Area ed altre diavolerie normative e giuridiche siamo dal punto di vista dei risultati materiali – sempre al netto della comunicazione deviante che camuffa la vera essenza di tali provvedimenti – su un terreno squisitamente antisociale ed antipopolare che non produrrà benefici certi per i ceti subalterni.

La svalorizzazione della forza/lavoro, la revoca dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, la sottrazione autorizzata ai vincoli ambientali, urbanistici e paesaggistici, lo scavalcamento delle Autonomie locali e della decisionalità delle Comunità Locali sono – da sempre – i desiderata di Vincenzo De Luca, di una consistente parte del sistema delle imprese operante in Campania, dei vari padroni del ciclo edilizio e del relativo movimento terra, di alcune consorterie di urbanisti, progettisti e pezzi di potentati economici e baronali cresciuti nelle università, negli studi professionali e nei legami con gli istituiti di credito ed assicurativi  i quali non aspettano altro che avviare una nuova epoca di Mani sulla Città.

Un nuovo ed inedito bengodi foraggiato da fondi comunitari, dai soldi del PNRR, dai proventi dell’economia nera e grigia e dal complesso di un sistema finanziario che non predilige, in alcun modo, la crescita sociale, l’innovazione scientifica al servizio del Bene Comune, la qualità del lavoro, della vita e dell’ambiente.

L’anno che si apre – il 2025 – sarà l’anno in cui la Campania affronterà una nuova tornata regionale. Non ci appassiona la querelle circa il terzo mandato a De Luca e il relativo futuro tra questo personaggio e il suo perverso rapporto con il Partito Democratico.

Notiamo lo scontato rinfocolamento del mercato dei voti e dei cambi di casacca che si vanno producendo in questa o quella direzione partitica e assistiamo – con attenzione e crescente preoccupazione – al consistente consolidamento di lobby affaristiche, speculative e clientelari le quali si stanno rinverdendo e predisponendo per la nuova fase consapevoli dell’afflusso di notevoli risorse finanziarie verso (ed oltre) Palazzo Santa Lucia.

La Destra – ovviamente – scalpita e vorrebbe rimettere le mani nel piatto dell’Amministrazione Regionale. Il crescente attivismo in Campania – ben oltre le competenze specifiche e particolari del suo dicastero – del Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, originario di questa regione, autorizza “cattivi pensieri” in tale direzione.

Anche il Campo Largo o come amerà definirsi tale escrescenza politicista sta affinando i suoi appetiti. La tentazione di replicare a Palazzo Santa Lucia l’alleanza che amministra (malamente) la città di Napoli è forte.

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Il Partito Democratico, i Cinque Stelle, i seguaci di Bonelli/Fratoianni in unità con lo Sceriffo di strada, Francesco Borrelli e le varie comitive appendici/clienti del Terzo Settore e del No Profit auspicano di liberarsi – in un modo e in un altro – della pesante presenza di Vincenzo De Luca che ritengono consumato politicamente e non sussumibile tranquillamente nella loro alchimia politica e nei vari codici che muovono questo mondo.

Ovviamente tali prefigurazioni sono da intendersi in presenza di un dato oggettivo da molti rimosso – che andrebbe scandagliato analiticamente con rigore – il quale riguarda le cifre dell’Astensionismo elettorale nella nostra regione e nel Sud e che riflette una significanza politica ben oltre il dato statistico e numerico immediato.

Insomma lo scenario che si prospetta è tutt’altro che foriero di significative novità in direzione di un cambio di paradigma politico/programmatico e di nuove modalità di governance di una importante regione come la Campania.

Non nascondiamo che la tentazione di sottrarsi a questo piano della Politica esiste ma – da materialisti – dobbiamo sapere che le contraddizioni e le complicazioni politiche vanno affrontate e non sono evitabili/aggirabili con escamotage ideologici o immaginifici dalla materialità dei processi per quanto ostici possono configurarsi.

Nonostante una condizione culturale e sociale paludosa e inibente di ogni possibilità di un immediato nuovo protagonismo popolare la nostra regione presenta – ancora – alcuni coefficienti sociali che mostrano la possibilità di ricostruire percorsi di attivizzazione, di mobilitazione e di lotta attorno all’infinita gamma delle contraddizioni che attanagliano il nostro territorio.

Insomma siamo ancora lontano da una società totalmente pacificata, omologata e passivizzata nonostante i poderosi processi antisociali di segmentazione/scomposizione produttiva e sociale, di parte capitalistica, hanno profondamente segnato in negativo la nostra terra.

Le elezioni – qualsiasi passaggio elettorale particolarmente in una società complessa come la nostra in cui vigono leggi elettorali antidemocratiche che penalizzano la proporzionalità e la rappresentanza – sono, comunque, un passaggio che occorre affrontare con un attitudine non elettoralista ma come occasione di agitazione/propaganda/organizzazione/sedimentazione delle forze.

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Potere al Popolo – nonostante l’ancora incompiutezza del suo processo di costruzione di una adeguata Rappresentanza Politica degli interessi popolari della società – è interessato alle prossime elezioni regionali ed intende discuterne con quanti (dall’associazionismo indipendente, al sindacalismo conflittuale, dall’attivismo civico, alle organizzazioni anticapitaliste, ai diversi movimenti di lotta) intendono imprimere un possibile cambiamento di rotta nella nostra regione.

Le prossime settimane saranno l’arco temporale dove – in continuità con la recente convention programmatica che Potere al Popolo ha tenuto ad inizio dicembre a Roma – potranno realizzarsi momenti di confronto, approfondimento, di scambio e socializzazione delle esperienze e delle competenze tra quante e quanti non intendono chinare la testa nei confronti dei vecchi e dei nuovi podestà.

– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO


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