Informazione: la grande malata che ci lascia il 2024, tra democrazie illiberali e leggi liberticide

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L’incertezza e i timori sulla sorte di Cecilia Sala arrestata e detenuta in un carcere iraniano, nelle spire di uno dei paesi più ostili all’attività giornalistica, ci porta all’amara considerazione che se proprio dobbiamo individuare una “grande malata” che ci lascia in eredità il 2024 è proprio l’informazione.

Nata come leva di emancipazione delle classi subalterne agli eterni, e forse mai del tutto sconfitti, poteri della chiesa e dell’aristocrazia nelle loro multiformi versioni, oggi l’informazione è afflitta da una vasta serie di problemi che per molti versi, la ritroviamo più facilmente come minaccia alla libertà degli individui e quando non è così attaccata brutalmente per essere ricondotta a un uso più possibile conveniente allo statu quo imperante.

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Un rapido excursus consentito anche dai dati riportati da “Reporter senza frontiere” annuncia quello che pare un vero e proprio bollettino di guerra: 141 i giornalisti uccisi dal 7 ottobre 2023 in Palestina (fonte Commetee to Protect Journalists), nell’anno in corso 104 nel mondo (fonte Federazione internazionale giornalisti), di cui 55 professionisti dei media a Gaza, un dato che conferisce alla Palestina, teatro del tragico eccidio in corso da parte delle forze militari israeliane ,il tetro primato del luogo più letale al mondo per i giornalisti. Nel resto del mondo la professione giornalistica resta comunque altamente rischiosa: 20 giornalisti uccisi nell’Asia meridionale e 8 in Africa.

520 sono i giornalisti attualmente dietro le sbarre nelle carceri del mondo: a detenere il primato è la Cina, seguita da Israele e Myanmar. L’Iran, dove attualmente è detenuta Cecilia Sala, è uno dei paesi più ostili all’attività giornalistica. Nell’anno in corso 181 giornalisti sono stati rinviati a giudizio nel paese degli Ayatollah, con accuse come: “diffusione di notizie false e tendenziose”, “attentato alla sicurezza dello Stato”, oppure per aver criticato personaggi del governo e vicini al regime e istituzioni e ufficiali delle Guardie della Rivoluzione.
Se è vero, come vedremo anche più avanti, che la guerra alla libera informzione, quindi alla possibilità dell’utente di poter accedere a tutte le informazioni la si fa pricipalmente colpendo la “carne” ovvero minacciando, intimorendo se non adrittura uccidendo coloro che svolgono la professione di reporter è altrettanto vero che nel “civilizzato” occidente il quadro non è meno allarmante.

L’accelerazione tecnologica prodotta dall’avvento di internet e del digitale aveva in un primo momento illuso sul possibile accesso alle innumerevoli fonti offerte dal web, ma nel giro di una ventina d’anni, i monopoli tecnologici e l’irruzione dei social hanno cambiato il segno di quell’ottimismo ponendo in essere problematiche gigantesche difficilissime da regolare per il legislatore. Il paradosso a cui assistiamo è l’ipertrofia dell’informazione, un’informazione che però non è verificata se non addirittura deliberatamente falsa, dentro al flusso ininterrotto dei vari “social” come Facebook, Instagram, Telegram e X (di proprietà di Elon Musk principale artefice della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali negli USA).

Un flusso talmente massiccio e preponderante da annichilire l’attenzione dell’utente, ma nello stesso tempo essere il principale avversario alla complicatissima conversione del mezzi di informazione, dalla carta stampata al Web. Concorrendo con l’editoria dell’informazione, i social, solo apparentemente gratuiti, impediscono o rendono estremamente difficile la possibilità alle diverse testate giornalistiche di poter recuperare economicamente con pubblicità e abbonamenti sulle loro produzioni on line, alla decennale emorragia delle vendite della carta stampata. Anche qui, alla fine dei conti, il soggetto che ne subisce le conseguenze è il giornalista. Costretto a spulciare e controllare altri siti per raccogliere notizie, dentro a una gara parossistica con giganteschi sistemi di produzione di fake news (molto attivi in Russia, altro paese allergico alla libertà di stampa), in “gara” con il deleterio sistema di gradimento dei “like” (premiante verso forme di pubblicazione gradite dall’algoritmo del social) pagato sempre meno, con contratti sempre più deboli, indifeso non solo da minacce e intimidazioni da parte dei soggetti “forti” diversamente intesi (politica, criminalità, tifoserie sportive), ma anche esposti a provvedimenti giudiziari come le “querele temerarie” (ovvero querele pretestuose da parte di soggetti entrati nell’attenzione del giornalista che però costringono quest’ultimo a pagarsi le spese dell’avvocato e essere più “prudente” nei suoi articoli) in grado di zittire ogni tentativo di indagare e riportare informazioni scomode per qualcuno.

Venendo in Italia, il varo della “legge bavaglio” ovvero l’impossibilità di riportare integralmente ordinanze preliminari o sotto forma di estratti fino al termine dell’udienza preliminare è un pessimo segnale per la libertà di informazione, non a caso l’Italia scende dal 43° posto al 46° nella classifica della libertà di stampa stilata da “reporter san frontières”. Una serie di dati che confluiscono, anche nel piccolo della dimensione italiana e territoriale, verso il venir meno della partecipazione attiva della cittadinanza, nello stravolgimento epocale dell’universo cognitivo del soggetto sempre più protagonista del palcoscenico virtuale e irreale del web e sempre meno nella realtà, e che favoriscono “statu quo” a simmetrie variabili, dove l’importante è rafforzare immaginari scenari di “confort (sempre meno) zone”.

Augurandovi un sereno fine 2024 e un 2025 carico di soddisfazioni, noi di GoodMorning Genova continueremo a esserci con la nostra informazione che piaccia o non piaccia ai “manovratori di turno” sempre a ricercare il coinvolgimento di tutti e come diceva un antico motto del giornalismo americano “a dare voce a chi non ha voce”. Auguri.



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