Nel panorama della moda contemporanea, il tema della rappresentanza di genere continua a essere un nodo irrisolto. Nonostante la crescente attenzione alla pluralità e alla diversità, il settore sembra rimanere intrappolato in un sistema che, sebbene prometta innovazione, si nutre principalmente di una omogeneità che privilegia il maschile e il bianco. L’arrivo al vertice di designer come Louise Trotter, appena nominata direttore creativo di Bottega Veneta, rappresenta una breccia in questo muro apparentemente impenetrabile, ma la sua è una vittoria ancora troppo rara, che indica quanto il percorso verso un’industria realmente inclusiva e pluralista sia ancora lungo.
Il paradosso degli uomini bianchi in un settore che celebra l’innovazione
Quando, nell’ottobre del 2023, Kering, il gigante francese proprietario di marchi come Gucci e Bottega Veneta, ha annunciato la nomina di Seán McGirr alla guida di Alexander McQueen, il mondo della moda ha assistito a una coincidenza sorprendente. Un gruppo di direttori creativi, tutti uomini bianchi, ha attirato l’attenzione, scatenando un dibattito sulla mancanza di diversità in un settore che, paradossalmente, si pone come pioniere dell’innovazione. L’immagine di un “monocromo” di direttori creativi ha messo in luce una delle contraddizioni più evidenti della moda contemporanea: mentre la creatività e l’estetica sono fondamentali, le opportunità per le donne e per le minoranze etniche restano limitate.
Questa riflessione ha trovato conferma in altri casi: oltre alla nomina di McGirr, l’industria ha visto altre designazioni di uomini bianchi, con l’aggiunta di altre posizioni chiave assunte da uomini, come accaduto per Moschino, Tod’s e Rochas. La domanda rimaneva la stessa: dove sono le donne, in un settore che si rivolge principalmente a loro, o ancora, dove sono i designer neri, asiatici e delle altre etnie?
La realtà della moda milanese e parigina: donne in numero esiguo
Al di là delle dichiarazioni di principio e delle mostre che celebrano la diversità, la situazione è ancora scomoda e squilibrata. Nella settimana della moda milanese del 2023, solo venti delle oltre sessanta sfilate erano dirette creativamente da donne. La maggior parte di queste era co-fondatrice o fondatrice di marchi, e solo due erano state effettivamente assunte da case di moda consolidate: Lucie Meier, co-direttrice di Jil Sander, e Grazia Malagoli, direttrice creativa di Sportmax. Questo dato, purtroppo, riflette un quadro inquietante: la disparità di rappresentanza tra uomini e donne continua ad essere uno dei temi più urgenti da affrontare.
Anche se il 2023 ha visto un lieve miglioramento a Parigi, dove tre delle quattro case di moda con il fatturato più alto avevano una donna al vertice – Virginie Viard (Chanel), Maria Grazia Chiuri (Dior) e Nadège Vanhee-Cybulski (Hermès) – il panorama di mercato non ha esentato queste figure femminili dalle critiche. Le loro collezioni sono state accusate di essere troppo commerciali, talvolta poco innovative, e la loro rappresentanza è stata trattata come una sorta di “questione di stile”, senza considerare appieno il valore del loro contributo.
La figura femminile nella moda: un ruolo ancora sottovalutato
In effetti, la storia della moda è stata forgiata da menti femminili, anche se raramente riconosciute come tali. La storia della moda, sebbene dominata da nomi maschili come Dior, Yves Saint Laurent e Balenciaga, è anche profondamente legata alle donne, da Madame Vionnet, pioniere del taglio sbieco, a Elsa Schiaparelli, innovatrice nell’uso del surrealismo. Tuttavia, questi nomi non sono altrettanto celebrati. La storia del Delphos, il celebre abito di Mariano Fortuny, è un esempio di come l’invisibilità femminile sia stata sistematicamente registrata anche quando le donne erano le vere artefici delle innovazioni.
La disparità di riconoscimento non riguarda solo il passato, ma si riflette ancora oggi nella gestione dell’industria. Molti studi suggeriscono che le donne sono meno propense ad accedere alle posizioni dirigenziali, nonostante rappresentino una grande parte del corpo studentesco nelle scuole di moda. In Italia, ad esempio, le donne costituiscono oltre il 70% degli studenti nelle scuole di moda, ma le posizioni manageriali sono dominate da uomini, spesso bianchi.
L’intersezione tra moda e femminismo: un cambiamento che non basta
La crescente attenzione sulla diversità di genere non è però sufficiente a cambiare l’equilibrio di potere nell’industria della moda. Oggi, la domanda che molti si pongono è se sia possibile essere femministi e al contempo amare la moda, un settore che, nel suo cuore, è stato costruito attorno alla figura della donna. È un tema trattato anche in numerosi dibattiti, dove la moda è vista da alcuni come un’attività superficiale, priva di consapevolezza sociale, mentre da altri è un’opportunità per rivalutare il ruolo delle donne nell’industria.
Maria Grazia Chiuri, una delle poche figure femminili al vertice, ha cercato di introdurre un messaggio esplicitamente femminista nelle sue collezioni per Dior, ma è stata spesso accusata di ridurre la questione femminile a una semplice strategia di marketing. Eppure, la sua collaborazione con artiste donne, come Penny Slinger e Claire Fontaine, ha contribuito ad aprire nuove riflessioni sul ruolo della donna nella cultura contemporanea.
Un futuro ancora incerto, ma possibile
Il recente incremento di nomine femminili, come quella di Louise Trotter da Bottega Veneta e il crescente numero di mostre dedicate a designer donne, come “Women Dressing Women” al MET, testimoniano una volontà di riabilitare la figura femminile nella moda, ma siamo ancora lontani dal poter parlare di parità reale. Se da un lato ci sono segnali di cambiamento, dall’altro il gap tra ciò che si dice e ciò che si fa rimane evidente.
Il futuro della moda dipenderà dalla capacità di cambiare il sistema di selezione e di formazione dei suoi leader, favorendo una maggiore apertura a diversità non solo di genere, ma anche etniche, culturali e sociali. Solo così sarà possibile restituire alla moda la sua vera essenza di innovazione e creatività, una forza capace di abbracciare tutte le sfumature dell’umanità.
Vincenzo Ciervo
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