Quest’anno non è stato solo contraddistinto dalle due guerre più note: dall’Africa ad Haiti violenze, morti e distruzione imperano.
Roma – In primo piano nel 2024 ci sono stati due conflitti. Russia e Ucraina, una guerra che sta per compiere tre anni: i leader Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin non indietreggiano. In Medio Oriente si è ancora in attesa del cessate il fuoco e di un accordo per il ritorno degli ostaggi tra Israele e Hamas. Ma non sono le uniche guerre in corso nel mondo. Ci sono anche conflitti sanguinosi lontani dai riflettori, dal potere e dall’attenzione dei media. I conflitti ‘dimenticati’ ricostruiti da Adnkronos, dall’Africa ad Haiti. C’è il Sudan: dall’aprile del 2023 infuria la guerra tra l’esercito sudanese e le forze paramilitari di supporto rapido (Rsf). Decine di migliaia i morti e circa 26 milioni di persone – circa la metà della popolazione del Sudan – sono vittime di una grave insicurezza alimentare.
Entrambe le parti sono state accusate di crimini di guerra, tra cui l’uccisione di civili e il blocco degli aiuti umanitari. In particolare, le Rsf sono accusate di pulizia etnica, saccheggi e violenza sessuale sistematica. A ottobre le Nazioni Unite hanno denunciato la ”sconcertante portata” delle violenze sessuali che hanno accompagnato il conflitto. Nella carrellata degli orrori c’è anche Haiti: la situazione, già complicata da decenni di instabilità politica, è precipitata alla fine del febbraio scorso, quando gruppi armati hanno lanciato attacchi coordinati nella capitale, rovesciando l’ex premier Ariel Henry. Da quel momento le bande sono riuscite a prendere il controllo dell’80% della capitale Port-au-Prince. Donne e ragazze mutilate col machete, lapidate, decapitate e bruciate. A novembre l’Onu ha attestato che il bilancio accertato delle vittime della violenza delle bande è finora di 4.544 morti, ma quello reale ”è probabilmente ancora più alto”.
Neppure il Congo sfugge al conflitto. Ricca di minerali, ospita decine di gruppi ribelli rivali. Da quando ha lanciato un’offensiva nel 2021, una milizia in gran parte tutsi nota come Movimento del 23 marzo o M23 – che deve il nome al precedente accordo di pace – si è impadronita di ampie porzioni del territorio. Il ritorno dell’M23 ha peggiorato la decennale catastrofe umanitaria della regione, segnata da conflitti, epidemie e povertà. Oltre mezzo milione di persone sono fuggite nei campi che circondano la capitale regionale, Goma, portando il numero totale di sfollati nel Nord Kivu a circa 2,4 milioni, secondo quanto riportato da Human Rights Watch.
E ancora, da quando nel 2021 i militari hanno spodestato il governo democraticamente eletto guidato dal premio Nobel Aung Sang Suu Kyi, il Myanmar non ha mai smesso di essere in conflitto. L’aspra guerra
civile ha causato la morte di oltre 5.300 persone e lo sfollamento di circa 3,3 milioni, secondo le stime Onu. I militari stanno ora affrontando una crescente resistenza da parte dei gruppi ribelli in tutto il Paese. Negli ultimi mesi i ribelli hanno attaccato Mandalay, la seconda città più grande del Paese, e hanno preso il controllo della strada chiave che collega il Myanmar alla Cina – il suo principale partner commerciale – privando così la giunta di una fonte di reddito fondamentale.
Il quinto conflitto dimenticato raccontato da Adnkronos è quello in Sahel: la regione è afflitta da instabilità cronica, sottoposta al dominio di gruppi islamisti, organizzazioni ribelli e bande armate. Nel 2009, Boko Haram, una delle principali organizzazioni jihadiste della regione, ha lanciato un’insurrezione che ha causato più di 40.000 morti e due milioni di sfollati. Da allora Boko Haram si è diffuso nei Paesi limitrofi dell’Africa occidentale, e oggi le vaste distese d’acqua e le paludi degli innumerevoli isolotti della regione del Lago Ciad fungono da nascondiglio per Boko Haram e la sua propaggine Stato Islamico in Africa Occidentale (Iswap), che compiono regolarmente attacchi contro l’esercito e i civili del Paese.
Anche Mali, Burkina Faso e Niger sono soggetti a frequenti attacchi jihadisti, mentre qualsiasi opposizione
ai governi a guida militare viene repressa. Da gennaio, gli attacchi jihadisti hanno causato quasi 7.000 morti tra civili e militari in Burkina Faso, più di 1.500 in Niger e più di 3.600 in Mali, secondo l’Ong Acled. L’Africa è il continente per eccellenza dei conflitti endemici e dimenticati, perché è lì che le disuguaglianze hanno i risvolti più tragici, tanto che si parla di cinquanta milioni di africani che si spostano a causa delle guerre. I colpi di Stato si moltiplicano, basti pensare al cosiddetto “triangolo della jihad” Burkina Faso, Mali e Niger. La sua ricchezza di materie prime, tra le quali le terre rare e quanto serve a produrre tecnologia civile e militare per i Paesi ricchi, la lascia nella condizione di terra di conquista, dove agli europei si sono sostituiti negli ultimi decenni russi, cinesi e turchi.
E ancora, Sudamerica e Centroamerica: i Paesi dove regna la paura. Qui non si segnala la presenza di conflitti tra Paesi, ma ve ne sono una decina nei quali sono perennemente in corso piccoli conflitti interni molto violenti e mortali. In cima alla lista Messico, Brasile, Colombia. Le situazioni di estrema violenza sono il più delle volte legati allo strapotere della criminalità organizzata, alla quale spesso lo Stato garantisce l’impunità e la sopravvivenza data dal forte impoverimento della popolazione attraverso politiche neoliberiste. Spesso si tratta di apparati amministrativi corrotti, che reprimono ogni tentativo di resistenza e di lotta per la difesa dei diritti e contro le violazioni ambientali del territorio.
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