“È giusto che si emigri, ma bisogna poter tornare”: così i nomadi digitali riportano vita nel cuore spopolato della Sardegna

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Il territorio di Laconi inizia dove l’ultimo tornante della strada statale 128 si apre sul verde. Per chi è originario di quel luogo, per chi vi è nato e da lì è emigrato, quel confine ufficioso segnala il ritorno a casa: è il “canali mraxani”, la valle stretta e lunga delle volpi. In quel paese dell’entroterra sardo, in provincia di Oristano, la popolazione si è ridotta della metà nell’arco di sessant’anni, fino ad arrivare agli attuali 1600 residenti. E in altri sessant’anni, se la decrescita dovesse rimanere costante, come molti altri paesi della Sardegna, Laconi potrebbe quasi non esistere più. Eppure i primi segnali di un’inversione di rotta ci sono: nel centro storico del borgo, tra le mura di un’antica casa con il cortile, dal 2020 esiste Treballu (in sardo “lavoro”), il primo spazio di coworking e coliving rurale dell’isola. Che in quasi cinque anni ha innescato un circolo virtuoso di ritorni, arrivi e scambi culturali. E che ora vuole investire sui giovani del territorio.

Leonardo dalla Colombia, Evgeniya dalla Russia, Ardeena dall’Australia. Sono tanti i nomadi digitali che negli anni si sono fermati a Laconi, comune al di fuori dei principali circuiti turistici dell’isola – che da sempre è vista soprattutto come una meta di mare – e che non vuole convertirsi al turismo “mordi e fuggi”. “Volevamo avere un impatto reale sulla comunità, innestando nuove storie e nuovi incontri, che durassero nel tempo e che portassero nuova vita nel paese”, spiega Carlo Coni, fondatore e project manager di Treballu. “Con tutti i nomadi digitali si è creato un rapporto profondo, di amicizia e di connessione con il territorio. E spesso ritornano”.

Come Leonardo: “È un ragazzo colombiano che vive in Canada e lavora per un’azienda del nord degli Stati Uniti. È venuto l’estate scorsa e alla fine è rimasto per due mesi. I primi giorni era molto timido, credevo non si stesse integrando – ricorda Carlo – poi un giorno ha deciso che doveva farci provare il suo mojito”. Carlo in quell’occasione prova a dargli consigli sui negozi del paese, così che Leonardo possa recuperare il necessario: rum bianco, zucchero di canna, menta. Non sa che quel timido ragazzo del nuovo continente conosce bene persino i commercianti del borgo. Li cita per nome, poi dalla tasca estrae un foglietto un po’ stropicciato: “Il signore della bottega locale gli aveva disegnato una mappa per trovare il punto in cui cresce la mentuccia selvatica – racconta Carlo – Abbiamo bevuto quel mojito un po’ fusion, e al brindisi ha promesso che sarebbe tornato: voleva rivedere tutti”.

Del gruppo di Treballu fa parte anche Annalisa Zaccaria, europrogettista e garden designer permacultrice, insieme a tanti altri che supportano e collaborano con lo spazio. “Il progetto è nato anche da un bisogno personale: vogliamo vivere a Laconi, ma anche incontrare persone sempre diverse, che ci ricordino che non siamo unici e che il modo in cui facciamo noi le cose non è necessariamente il migliore – spiega Carlo – E questo scambio di visioni, fondamentale per crescere, vorremmo coinvolgesse sempre di più anche i ragazzi di Laconi e della Sardegna. Per questo guidiamo Giovani Iddocca, un’associazione che si occupa di mobilità giovanile”.

Perché secondo il fondatore di Treballu emigrare è positivo, ma può esserlo anche tornare. “Non credo nella retorica del bloccare lo spopolamento, è giusto che la gente emigri. Ciò che si può fare è offrire prospettive di ritorno, lavorare concretamente perché un luogo come questo non si rassegni né all’estinzione, né all’essere solo una meta turistica o una località nota per le sue tradizioni”. E spiega: “Il folclore, il costume sardo, i balli, sono sì una parte di ciò che siamo, ma non bastano a definire la nostra identità”. Proprio come in una poesia dello scrittore sardo Marcello Fois: “Io ho visto bene me stesso col costume della festa. E mi sono visto come gli altri mi vedevano, non com’ero. Perché adattarsi allo sguardo altrui può diventare una forma di sopravvivenza, ma anche una forma di eutanasia”.

Su queste premesse è nato anche il progetto Ammonte dell’associazione Giovani Iddocca, con il supporto della European Youth Foundation e il patrocinio del Comune di Laconi. Partendo da un processo di progettazione partecipata, l’obiettivo è quello di creare uno “spazio creativo rurale”, un punto di riferimento per la comunità, soprattutto per i giovani, in collaborazione con enti locali, imprese del territorio e associazioni culturali. Un luogo dove tutti possano essere liberi di organizzare workshop, eventi, presentazioni. “Sentiamo che Treballu non è abbastanza. Serve un luogo che sia di tutti. Così uniremo la dimensione internazionale e la dimensione locale”.

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Il 7 dicembre per il progetto Ammonte si è tenuto un evento di restituzione e confronto. Molte tra le realtà presenti – Treballu compresa – fanno parte di Nodi, una rete di connessione fondata e coordinata da Federico Esu. Nodi vuole unire il capitale culturale di chi è emigrato e poi tornato, di chi non se n’è mai andato, ma anche di chi si è trasferito in Sardegna per la prima volta: “È importante collaborare, coesistere. Ci si sente meno soli e si cresce insieme – riflette Carlo – Io stesso so cosa significa viaggiare e poi portare le proprie scoperte a casa, un’esperienza che condivido con Esu e con alcuni degli amici che collaborano a Treballu. L’idea stessa di coliving rurale l’ho avuta in un’esperienza di scambio giovanile in Spagna”. Perché il cambiamento non si attua da soli: nasce con l’incontro e si sviluppa con lo scambio.



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