Ceprano, Ecomuseo Argil. Le radici, il presente e lo sguardo al futuro

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Ciociaria, museo, ecomuseo, Valle Latina. Sembrano parole messe alla rinfusa, in realtà dopo la conoscenza con la cepranese Ivana Orsini, neopresidente dell’Ecomuseo Argil, acquisteranno un nesso ben preciso e sintetizzeranno meglio un motivo di vanto della nostra terra.

Che cosa è un ecomuseo?
«Senza scomodare illustri museologi, penso molto semplicemente che sia lo strumento ideale per rendere consapevoli i cittadini della bellezza del paesaggio nel quale vivono e della ricchezza del suo patrimonio culturale, al fine di conservarlo al meglio delle loro possibilità per poterlo trasmettere. Ovviamente un ecomuseo comprende, nei suoi limiti fisici, valori che invece non hanno ostacoli, come la storia, la cultura, le tradizioni, le arti e il senso di appartenenza a una comunità. Quest’ultima, poi, diventa la protagonista del processo culturale, conservando e amministrando saggiamente le risorse per permettere un’esperienza immersiva della generazione presente nel passato. E, soprattutto, di quella futura…».

Come e quando nasce l’Ecomuseo Argil?
«La nascita ufficiale risale a ottobre 2004, quando il proposito è stato formalizzato con la firma di un protocollo d’intesa tra sei comuni, Arnara, Castro dei Volsci, Ceprano, Falvaterra, Pofi e Ripi, e l’Amministrazione provinciale di Frosinone. L’area dell’ecomuseo corrispondente alla superficie dei sei comuni, si estende per circa 180 chilometri quadrati e interessa una popolazione di 26.630 abitanti. In realtà la spinta propulsiva iniziale è stata data dall’archeologo preistorico Italo Biddittu, all’epoca direttore del museo preistorico di Pofi e attualmente presidente onorario e coordinatore scientifico dell’Ecomuseo Argil, dopo l’importante ritrovamento dei resti fossili di un ominide di 450.000 anni fa nel territorio di Ceprano. Nel 2002 presentò il progetto preliminare della costituzione dell’ecomuseo nel corso di un convegno tenuto nella sede del museo preistorico di Pofi “Pietro Fedele”, al quale parteciparono, oltre ai sindaci di Ceprano, Pofi e Ripi, anche Carlo Troccoli, presidente del circolo Legambiente “La Vite” di Ripi, e Annalisa Zarattini, funzionaria della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio».

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Perché nel sottotitolo del museo, “Uomo e ambiente nella Valle Latina”, si parla di Valle Latina e non di Ciociaria?
«Il riferimento è di Biddittu, che ben conosce la Ciociaria, avendo scoperto giacimenti paleolitici molto antichi non solo in diverse parti d’Italia ma anche in provincia di Frosinone, come ad Arce, Fontana Liri, Colle Marino ad Anagni, Campo Rosello e Colle della Pece a Castro dei Volsci, Isoletta, Fontana Ranuccio, Valleradice, Carnello… Riferendosi alla Valle Latina, ha voluto estendere la portata dell’evento e ricordare e valorizzare la ricca storia evolutiva, biologica e culturale che caratterizza l’ampia area che va dai Colli Albani a Cassino».

Inizialmente non si chiamava “Argil”, l’ecomuseo…
«No, il nome doveva essere “Ecomuseo del Meringo”, data l’area circoscritta interessata, cioè il Fosso del Meringo. In effetti i comuni aderenti erano inizialmente tre, Ripi, Pofi e Ceprano. Poi, però, quando ci si è accorti, con la partecipazione di altri tre comuni e della Provincia di Frosinone, che il progetto avrebbe avuto più ampio respiro, è stato scelto “Ecomuseo Argil”».

E allora perché “Argil”?
«Argil è il nome affettivo del cranio umano, risalente a circa 450.000 anni fa, rinvenuto proprio da Italo Biddittu nel 1994 a Campogrande, a Ceprano, scoperta che ha contribuito a formulare studi e proposte per istituire l’Ecomuseo. Mentre veniva costruita la superstrada che attualmente collega il territorio di Pofi con Ceprano, l’archeologo intensificò le sue ricerche. Le piogge di febbraio e marzo del 1994 fecero scivolare in basso il primo frammento del cranio dalla sezione di argilla in cui era sepolto. In seguito, perlustrando l’area all’interno dello strato di argilla e alla base della sezione stratigrafica, vennero rinvenuti gli oltre cinquanta frammenti di cui la calotta è composta. Proprio per la posizione in cui venne rinvenuto, il cranio venne battezzato dall’archeologo con il nome Argil. La scoperta non è stata casuale, il progetto di ricerca, durato più di cinquant’anni, sviluppato sotto l’egida dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, ha messo in evidenza l’importanza del Lazio meridionale per gli studi sulla preistoria europea. Dopo la scoperta, l’Università degli studi di Cassino nella sede distaccata di Frosinone attivò un corso di laurea in “Valorizzazione e promozione dei beni culturali nel museo e nel territorio».

Quali sono le principali bellezze comprese nell’ecomuseo?
«Il Lazio meridionale interno è particolarmente ricco di storia, dalla preistoria all’epoca moderna attraverso straordinarie testimonianze distribuite in un ambiente naturale, vario e in alcuni aspetti unico, definitosi nell’evoluzione geologica del settore appenninico dell’Italia centrale. I Volsci e gli Ernici, antiche popolazioni contemporanee agli Etruschi, ostacolavano a sud l’espansione dei Romani che, dopo averli sconfitti, qui fondarono diverse colonie, divenute poi centri urbani, domus private e ville imperiali. In alcuni di questi luoghi, le strutture in opera poligonale con la loro silenziosa maestosa presenza offrono un altro importante percorso identitario che, malgrado i dati scientifici sulla loro natura e datazione, sono ancora popolarmente assimilate a mistero e magia. A Falvaterra, oltre la bellezza del borgo rinascimentale, si ricorda il “Museo speleo subacqueo naturalistico” e il Monumento naturale grotte di Falvaterra e Rio Obaco, inaugurato proprio in questi giorni con la sua particolare grotta. Ad Arnara è notevole una passeggiata nel centro storico medievale sovrastato dal Castello Colonna, uno dei più antichi della Ciociaria, ancora in parte ben conservato, sorto su depositi piroclastici del vulcanismo ernico. A Castro dei Volsci, il “Balcone della Ciociaria”, oltre al centro storico medievale, si ricorda l’importanza della chiesa di S. Nicola, del XII secolo, appartenente a un monastero fondato dai Benedettini, con ciclo di affreschi del Vecchio e Nuovo Testamento di primitiva bellezza. A Castro vanno ricordate anche antiche strutture murarie e pavimenti a mosaico, adiacenti al Museo civico archeologico, nel quale sono conservati reperti che rappresentano un arco di tempo dalla preistoria all’alto Medioevo. Ceprano, crocevia di storia e natura, è una città che racconta il passato attraverso le sue radici antiche e le sue tradizioni vive, come il Museo Archeologico di Fregellae “Amedeo Maiuri”, la Riserva Naturale e l’archeologia industriale della cartiera sul fiume Liri. Pofi, un borgo affascinante, celebrato dai versi del poeta Giovan Battista Marino, custodisce storie millenarie e tradizioni vive, grazie anche alla Torre Civica, la Porta del Melangolo, la Chiesa di Sant’Antonino, antichi resti di un mulino a vento e di alcuni mulini ad acqua come Mola Sterbini, e il Museo Preistorico “Pietro Fedele”, dove si trova il calco di Argil. Ripi, che può essere definita “capitale dell’energia”, racconta una storia che intreccia tradizione, innovazione e memoria. Il Museo dell’Energia, la miniera con i pozzi di petrolio ancora attivi, le antiche chiese e le testimonianze archeologiche rendono unico questo luogo».

Nell’offerta sono previsti anche percorsi con guida?
«Sì, certo. Come ecomuseo parliamo ovviamente di turismo lento e responsabile che aiuta a rafforzare l’identità locale e che non richiede interventi di modifica dei luoghi per poter rispondere alla domanda del mercato turistico. In particolare sono già fruibili il percorso della preistoria e dell’archeologia; la via del petrolio con il percorso dell’energia dal museo di Ripi, ai pozzi di petrolio, dai mulini fino alle centrali idroelettriche; i percorsi escursionistici nei monti Ausoni e Aurunci; il percorso delle acque con i fiumi, le sorgenti, la risorgenza del Rio Obaco; le grotte di Falvaterra, con lo speleoturismo acquatico; il percorso del medioevo con il castello longobardo di Arnara, il centro storico di Pofi, e il borgo di Castro dei Volsci; i cammini religiosi e le vie del pellegrinaggio in chiese, abbazie e monasteri».

Dal punto di vista occupazionale il museo ha comportato conseguenze positive?
«Al momento ancora no, si auspica per il futuro che il percorso partecipativo attivato si possa consolidare per favorire la nascita di nuove forme di imprenditoria sociale, tipo cooperative di comunità, che potrebbero generare valore dalla bellezza creando posti di lavoro per rallentare il fenomeno dello spopolamento che purtroppo interessa tutti i comuni. Collegato a questo obiettivo c’è l’autosostenibilità di tutto il sistema, che può realizzarsi solo con il coordinamento con le istituzioni pubbliche, latrici di finanziamenti programmati per effettuare investimenti efficienti, utili per innescare un cambiamento grazie a una visione di sviluppo locale di medio e lungo termine».

Quali sono le conclusioni dopo l’esperienza del Lab Turismo, un laboratorio di micro- innovazione per operatori turistici attivato dalla Regione Lazio nel 2021?
«La maggior parte dei siti archeologici si trova in prossimità della linea ferroviaria Roma-Napoli ma non esistono i collegamenti tra le stazioni e i luoghi di interesse. Alcuni siti archeologici sono inaccessibili per mancanza di manutenzione o di personale addetto. Servono interventi degli enti pubblici per rendere fruibili i beni culturali ed una maggiore sinergia privato/pubblico/scuola/associazioni culturali per organizzare un’offerta turistica integrata e fare rete. Molti non hanno il sito web e soffrono di una carente divulgazione sui social. Questi sono solo alcuni dei problemi sui quali stiamo lavorando con impegno e determinazione, con un team multidisciplinare di professionisti competenti nei diversi settori, mettendo in campo tutte le risorse di cui disponiamo». Ma, forse, queste ultime sono poche e qualche buon amministratore della cosa pubblica…



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