di Donatella Lippi
Ci sono granduchi, medici e chirurghi: sono i busti del cortile della Samaritana dell’ospedale di Firenze. Restaurati e riportati nella loro sede naturale raccontano le vicende di un pezzo nobile della Toscana
Sono tornati a casa. Quattro Granduchi, tre chirurghi e otto medici. Scolpiti nel marmo o nel gesso, ornano adesso il cortile della Samaritana nell’Ospedale di S. Maria Nuova.Â
Se i Granduchi medicei — Cosimo II, Ferdinando II e Cosimo III — sono quelli che hanno vissuto il trascolorare della dinastia e il passaggio verso quella degli Asburgo Lorena, rappresentata dall’effigie di Ferdinando III, i professionisti raffigurati sono nomi che hanno segnato la storia della Medicina e della Chirurgia nella Firenze sette-ottocentesca.
Due di loro hanno origini romagnole, Bufalini e Regnoli, perché chi voleva intraprendere studi e professione laici varcava l’Appennino e sceglieva le Università toscane, matricolandosi a Firenze, dove, dal 1840, era attiva in S. Maria Nuova la Scuola di Complemento e Perfezionamento e, dal 1859, l’Istituto di Studi Superiori pratici e di perfezionamento, antesignano dell’Università .
Tutti sono accomunati dal ruolo di docenti, tutti erano affiliati ad Accademie e Società prestigiose, tutti hanno vissuto il complesso processo spirituale e politico e le trasformazioni economiche, sociali e culturali, che tra la fine del 1700 e il 1800 portarono l’Italia dal secolare frazionamento politico all’unità , guadagnando l’indipendenza nazionale, in uno Stato liberale e costituzionale, sotto la dinastia sabauda.
Se il più antico della lista è il chirurgo Angelo Nannoni (1715-1790), tre di loro sono stati personaggi di spicco del Risorgimento: Pietro Burresi, promotore di una colletta per finanziare la Seconda Guerra d’Indipendenza, Pietro Cipriani, che vi partecipò come medico, erede della cattedra dedicata alle malattie cutanee che era stata di Vincenzo Chiarugi, e Ferdinando Zannetti, responsabile dell’Armata Toscana in Lombardia, durante la Prima Guerra di Indipendenza, colui che estrasse la pallottola dalla gamba di Garibaldi, ferito in Aspromonte.
Una figura emblematica, quella di Zannetti, che, al ritorno dai campi di Curtatone e Montanara, rifiutando l’onorificenza attribuitagli per l’efficiente organizzazione dei servizi sanitari, pagò con la carriera la sua coerenza ideologica, venendo allontanato dall’insegnamento per dieci lunghi anni.
Molti di loro hanno combattuto il colera, che colpì Firenze e la Toscana in ripetute ondate, a partire dal 1835, aprendo un acceso dibattito sulla sua trasmissione: Angelo Nespoli, Federigo Ermanno Filippi, Maurizio Bufalini.
La vicenda professionale di Bufalini, in particolare, può considerarsi paradigmatica di un’intera comunità scientifica, quella della Scuola di S. Maria Nuova, i cui membri, che appartenevano al mondo della scienza e della medicina, riuscirono a condizionare anche la riflessione filosofica e la promozione di alcune riforme. La presenza di Bufalini a Firenze non fu, infatti, casuale e stupisce che, in una temperie culturale come quella della prima metà dell’Ottocento, in un periodo che avrebbe visto anche la soppressione dell’Anatomia microscopica, considerata destabilizzante per la preparazione degli studenti, venisse chiamato a ricoprire una delle cattedre più prestigiose, lui che si oppose tanto tenacemente al vitalismo, tanto da venire accusato di ateismo.
Bufalini venne considerato, infatti, una sorta di strumento di un programma politico preciso, quello di rendere il Granducato il centro ideale dell’Italia, grazie alla particolare tradizione letteraria, artistica e scientifica di eccellenza, che ne caratterizzava la storia. Divenne, così, l’avamposto di una prospettiva nazionale, quale era vagheggiata dai governanti della Toscana e da quel gruppo di intellettuali, che facevano capo a Capponi, Vieusseux, Antinori, Ridolfi, i quali cavalcarono la battaglia di Bufalini, trasformandolo nel riformatore della Medicina italiana. Il suo costante attacco contro i sistemi e la partecipazione attiva al percorso di riforma dell’insegnamento furono elementi determinanti, per favorire il salto di qualità della scuola fiorentina, avviando quella impostazione clinica, che invocava il primato dei fatti, l’importanza del metodo analitico, una nuova didattica e quello che lui chiamava «particolarismo clinico».
Se il diagnosta ha l’obiettivo di «0riconoscere», questi doveva procedere secondo un procedimento logico, prendendo le mosse da un sospetto, di cui avrebbe dovuto cercare la prova, attraverso i reperti anamnestici, i sintomi e i segni, i vari esami di laboratorio, per distinguere tra fenomeni morbosi essenziali, primitivi e semplici e perfezionare la conoscenza. Ma il punto di partenza doveva essere sempre il colloquio col malato…Â
Dal 1938, questi busti erano «in consegna» all’allora Istituto e Museo di Storia della Scienza, ora Museo Galileo: la saggia decisione del Museo ha consentito che questi personaggi, sapientemente restaurati grazie alla Fondazione Santa Maria Nuova, tornassero nel contesto che li aveva generati e costituiscono ora una teoria di volti e storie, che raccontano capitoli straordinari dell’eccellenza scientifica fiorentina e toscana.
Non sono solo una sequela prosopografica, quindi, ma testimonianze, voci, che, dal passato e dall’oggi, indicano la strada per il futuro.
*L’autrice è professore ordinario di Storia della Medicina e Medical Humanities
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità *****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link