Il 2025 segnerà il decollo degli Eltif (European Long Term Investments Fund)? Alcuni segnali emersi di recente sostengono l’ipotesi che questi strumenti nati per incanalare i capitali degli investitori europei (anche retail) verso asset di lunga durata nell’economia reale, pmi non quotate comprese, potrebbero essere tra i temi dominanti dei prossimi mesi. Si tratta di fondi di investimento creati dall’Ue che, a differenza dei fondi tradizionali, possono mettere in portafoglio una quota ampia di attivi non quotati. Le iniziative varate tra la fine del 2024 e l’inizio del nuovo anno sono indicatori importanti in tal senso: a metà dicembre Zurich Bank, la banca rete della compagnia assicurativa svizzera Zurich, ha avviato il collocamento sul mercato italiano del suo primo Eltif (Zurich Private Debt), che investirà nel mercato del debito europeo. «L’introduzione di soluzioni sul segmento dei private market offrirà ai clienti di Zurich Bank l’opportunità di diversificare il portafoglio attraverso fonti di performance alternative», sottolinea Stephan van Vliet, chief investment officer di Zurich Insurance Group. Un’altra nuova proposta arriva da Mediobanca Premier: la banca del gruppo Mediobanca dal sette gennaio fino al 13 marzo 2025 ha in distribuzione il fondo Amundi Eltif Agritaly Pir III Lux.
Dieci anni di storia, due restyling
A dieci anni dal debutto, nel 2015, gli Eltif non hanno mai davvero preso slancio per via di alcuni ostacoli normativi che ne hanno frenato lo sviluppo. Per questo motivo sono stati oggetto di una recente rivisitazione della normativa con l’intento di raggiungere il mercato retail. L’Ue nel 2023 ha ridisegnato gli Eltif sotto diversi aspetti con un Regolamento che è entrato in vigore un anno fa, il 10 gennaio 2024, creando la nuova versione di Eltif ribattezzati 2.0. Tra le novità (si veda tabella in pagina) c’è stata l’eliminazione della soglia minima di investimento originaria di 10 mila euro per il retail e del limite del 10% all’esposizione a Eltif in portafoglio per gli investitori con capitali inferiori a 500 mila euro, spianando quindi la strada per la loro introduzione anche tra i risparmiatori con disponibilità più ridotte che possono trasformarsi in una sorta di investitori di venture capital o private equity, al pari dei grandi operatori istituzionali con tutti i rischi e le opportunità che ne conseguono. Inoltre le norme in materia di diversificazione, concentrazione e assunzione di leva sono state rese più flessibili per gli Eltif destinati al dettaglio. Un’altra modifica sul fronte delle possibilità di investimento riguarda l’abbassamento del limite minimo delle attività ammissibili (attività tipicamente meno liquide) dal 70 al 55% del capitale: in questo insieme sono compresi asset non quotati oppure quotati con una capitalizzazione di mercato fino a 1,5 miliardi di euro, con conseguente possibilità di investire fino al 45% del capitale in attività liquide, ovvero quelle su cui investono anche i fondi comuni tradizionali come azioni e obbligazioni quotate.
Il nuovo quadro normativo è però stato oggetto di ulteriori ritocchi. Lo scorso 25 ottobre è infatti stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue il Regolamento delegato 2024/2759 del 19 luglio 2024, che introduce alcune norme tecniche di regolamentazione (Regulatory technical standards o Rts) che dettagliano il funzionamento degli Eltif. Tra le novità più importanti ci sono limitazioni nell’uso dei derivati e una disciplina più analitica delle politiche di rimborso, nel caso in cui il fondo lo preveda.
Le regole per i rimborsi
Su questo ultimo fronte è importante sottolineare che la sottoscrizione di un Eltif avviene all’interno di finestre di collocamento e, trattandosi di fondi chiusi, il rimborso non avviene come nei fondi comuni aperti in qualsiasi momento il risparmiatore lo richieda. In generale i partecipanti all’Eltif non possono liquidare le quote possedute prima della scadenza del termine di durata del fondo che in media è attorno ai sette anni. Ma ci sono comunque alcune possibilità di uscita anticipata. Ad esempio il fondo Eurizon Pir Italia Eltif, che ha durata fissata al 30 settembre 2031, prevede la facoltà dei partecipanti di chiedere il rimborso anticipato delle quote nell’ambito di ciascun periodo di sottoscrizione che la sgr che lo gestisce, Eurizon Capital, ha aperto. In questo caso l’Eltif ha avuto come finestra di sottoscrizione iniziale il periodo tra l’8 giugno e il 30 settembre 2021 e poi ha avuto negli anni successivi, tra il 2022 e il 2024 altre tre finestre di nuove sottoscrizioni nell’ambito delle quali i sottoscrittori hanno potuto chiedere il rimborso anticipato. Ma non è detto che la società di gestione riesca con le risorse disponibili a far fronte a tutte le richieste di rimborso, in tale ipotesi l’investitore dovrà aspettare la scadenza del fondo. Nel caso dell’Eltiplus di Credem Private Equity Sgr, il fondo non prevede che i sottoscrittori possano chiedere il rimborso delle quote prima della fine del ciclo di vita, fissato in sette anni.
Focus sui costi
Un altro capitolo importante cui gli investitori dovrebbero fare attenzione sono i costi. E dall’analisi condotta da MF Milano Finanza sui kid (key information document, le note che le società di gestione sono tenute a consegnare al cliente prima della sottoscrizione e che sono a disposizione anche nei rispettivi siti Internet con tutta la restante documentazione informativa) emerge che una buona fetta, anche fino al 30%, del rendimento può andare in commissioni, mentre le performance attese hanno una forchetta di oscillazione ampia. Ad esempio il fondo Amundi Eltif Agritaly Pir (classe A per il retail), come riporta il regolamento, prevede costi di ingresso massimi del 2% e una commissione di gestione annua dell’1,60%, oltre a costi di transazione da calcolare sulla base della compravendita degli asset. In più c’è una commissione del 15% sulla sovraperformance annua. Mentre Eltiplus ha una commissione di collocamento fino al 3%, una commissioni di gestione annua dell’1,8% più una di performance del 20% calcolata sull’extra rendimento rispetto all’obiettivo del 6% su base annua.
Rendimenti attesi
Mentre sui costi il dato è noto in partenza, quanto ai rendimenti degli Eltif ci si deve affidare alle stime perché per ora non c’è uno storico dal momento che i fondi sono ancora in fase di investimento essendo nati negli ultimi due-tre anni e un bilancio si avrà tra cinque-sei anni quando i primi chiuderanno e tireranno le somme. Da segnalare che gli Eltif possono assumere la forma di un Pir (Piano individuale di risparmio) alternativo e quindi godere di tutti i vantaggi fiscali previsti per questi strumenti a partire dall’esenzione fiscale dei rendimenti (altrimenti tassati con aliquota del 26%) e dell’imposta di successione se rispettati i limiti d’investimento previsti dalla normativa sui Pir. E’ questo il caso ad esempio del fondo Amundi Eltif Agritaly Pir. Un’indicazione dei rendimenti attesi c’è nei kid che contengono gli scenari di performance in diverse condizioni di mercato: ad esempio in quello dell’Eltif Private Equity 2023 di Schroders è riportato, per il periodo di detenzione di otto anni che coincide con la durata del veicolo, un rendimento medio al netto dei costi nello scenario sfavorevole del 2,5% all’anno, nello scenario moderato l’11% e in quello favorevole del 14,5% (i vari scenari sono stati modellati in base alle performance passate degli indici di private equity). Il kid segnala anche che a scadenza l’incidenza annuale dei costi è del 4,6%: ciò vuol dire che nello scenario moderato l’11% di performance netta attesa diventa il 15,6% lordo, dunque in questo caso i costi incidono per oltre il 29% sul rendimento.
Il ruolo del consulente
Le nuove iniziative, a partire dall’Eltif di Zurich, sono specializzate sul debito piuttosto che sull’azionario del private equity: negli ultimi tempi l’attenzione si è spostata sull’obbligazionario per via del ribasso dei tassi che ha aumentato il premio di illiquidità del private debt. E’ fondamentale quindi il supporto del consulente in grado di accompagnare il risparmiatore nelle scelte per comprendere, non soltanto le opportunità , ma anche vincoli e rischi sottostanti. L’apertura al retail degli investimenti illiquidi non è un cammino che va intrapreso a tutti i costi dagli investitori, ma va realizzato tenendo presenti specificità e criticità tipiche di questi investimenti e del contesto in cui avviene. (riproduzione riservata)
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