PISA. Sono tanti i cardiologi che vanno in montagna. Ma a Pisa ne abbiamo uno speciale. Anzi una: Lorenza Pratali, cardiologa e prima ricercatrice al Cnr all’istituto di fisiologia clinica. Lavora nell’area Cnr di San Cataldo, ma il suo “ambiente naturale” sono i monti Pisani. Grazie alla passione per la montagna ha applicato le sue conoscenze mediche in studi realizzati in Nepal, Bolivia e Perù. Quest’anno è stata medico della spedizione femminile sul K2 e lo scorso mese dicembre protagonista del “Campo alta quota”, la campagna di sperimentazione scientifica dell’Esercito svoltasi sul massiccio del Monte Bianco, a 3.500 metri di altitudine. «Abbiamo – spiega – eseguito la fase due di una ricerca cominciata l’anno scorso, più o meno nello stesso periodo»
Vale a dire?
«Tanto nel 2023, quanto nel 2024 abbiamo testato l’acclimatamento di 18 soggetti sia al freddo sia alla quota. Abbiamo operato a temperature di meno 20, meno 22 gradi, con vento a 100 chilometri orari. Uno studio sul campo con giovani militari e giovani ricercatori che operano in un ambiente estremo».
Come ha cominciato a collaborare con l’Esercito?
«Io mi occupo di fisiologia degli ambienti estremi e sono responsabile del gruppo del Cnr che fa questi studi, in particolare la parte che si occupa della montagna. Collaboro inoltre con il Consiglio scientifico della Fondazione Montagna Sicura in Valle d’Aosta e con l’ambulatorio di medicina in montagna dell’ospedale d’Aosta. Sono stata contattata perché il generale Alessio Cavicchioli (Comandante del centro addestramento alpino, ndr) mi ha individuato come possibile figura in un gruppo ampio di studio di cui fanno parte anche altre realtà (la Società italiana di medicina di montagna, l’Università di Bologna, il Coni Valle D’Aosta-Scuola dello sport, l’Università degli Studi di Milano, l’Università della Montagna di Edolo e l’Università della Valle D’Aosta, ndr)».
Qual è stato il compito del Cnr?
«Valutare la risposta fisio-biologica del sistema cardio-vascolare e polmonare, associate a quantificazioni sistemiche di stress ossidativo, infiammazione e danno d’organo, e metabolomica con studi sull’acclimatazione e sull’adattamento a quota e freddo».
Perché si fanno queste ricerche?
«C’è un interesse militare per l’aspetto artico e antartico. Nell’Artico ci sono temperature estreme. In Antartide al freddo si aggiunge l’alta quota. Ma la ricerca ha anche altri scopi: studiare l’acclimatamento alle temperature rigide è sempre più importante perché con il cambiamento climatico fa sempre più caldo e non siamo più abituati al freddo. E queste ricerche vanno oltre il campo militare».
Ossia?
«In montagna non vanno solo militari. Anzi ad andarci sono soprattutto i turisti e i lavoratori della montagna. Questi ultimi sono spesso dimenticati ma, pensate a quelli che lavorano alla costruzione delle funivie, lavorano in alta quota e questo comporta tanto rischi di malattie acute, quanto una diminuzione della performance: quello che puoi fare in un giorno lo fai in tre giorni».
E i turisti?
«Oggi c’è la moda degli ambienti estremi, che vengono proposti come pacchetti viaggio. Pensate al Kilimangiaro o al Perù, dove tante persone vanno anche in viaggio di nozze. Però ci sono delle problematiche legate alla quota che devono essere considerate. È importante lanciare un messaggio e dire: attenzione, non sono ambienti per tutti».
In che senso?
«Pensiamo al Kilimagiaro. Andarci è relativamente facile e vengono offerti pacchetti viaggio di tre-quattro giorni. La salita è un sentiero senza difficoltà tecniche ma è comunque una montagna di 5. 800 metri. Stiamo parlando di quote importanti. Se tu nella vita non fai nessuna attività fisica, fare un viaggio di questo tipo è un rischio ed è bene che prima ti consulti con un medico, chiaramente esperto».
Perché?
«Perché potresti avere una malattia al punto di alta quota che ti causa un edema polmonare o un edema cerebrale. Perché magari soffri di anemia, ossia hai poca emoglobina che trasporta ossigeno: se vai in quota di ossigeno ce n’è nemmeno ed è chiaro che rischi di stare male».
Perché fa questi esempi?
«Perché tante persone dalla Toscana vanno a fare vacanze in montagna e quindi dobbiamo fare prevenzione. Alcuni pensano che basti un’applicazione sul telefonino per raggiungere qualsiasi vetta. Ma non è così. Anzitutto perché non ci si rende conto che, magari, il percorso è di pochi chilometri ma si deve fare un dislivello di 1.500 metri. Poi perché spesso si ignorano anche cose semplici come che in montagna la pressione aumenta. Occorre creare cultura della montagna. Ed esperimenti come quelli fatti a dicembre sul monte Bianco servono proprio a questo: a conoscere meglio le risposte per poi riportarle sulla popolazione generale».
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