Cento anni dopo il delitto Matteotti e il celebre discorso di Mussolini, l’Italia rischia un ritorno delle pulsioni autoritarie tipiche del fascismo? (A.Tarquini)

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Il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini pronunciò il celebre discorso alla Camera dei Deputati, in cui rivendicò apertamente la responsabilità del regime per il delitto Matteotti e proclamò l’inizio di una dittatura che avrebbe segnato profondamente la storia italiana.

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“Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea, ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che assumo (solo io!) la responsabilità (politica! morale! storica!) di tutto quanto é avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il Fascismo non é stato altro che olio di ricino e manganello e non una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo é stata una associazione a delinquere io sono a capo di questa associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima, storico politico e morale, ebbene a me le responsabilità di questo. Perché questo clima storico politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi”.

Le parole di Mussolini é una presa d’atto di quanto é avvenuto in precedenza e di quanto seguirà. Il 03 gennaio 1925 é uno spartiacque tra ciò che restava della vecchia società e politica italiana del Risorgimento e dell’Unità d’Italia e della ricostruzione di una società liberare e democratica dopo la caduta del fascismo. Nel mezzo c’é l’orrore del Ventennio che qualche mostro oggi tenta di far risorgere per prenderlo come esempio di gestione del potere.

Oggi, esattamente cento anni dopo, l’Italia vive una situazione politica che solleva interrogativi preoccupanti su un ritorno delle pulsioni autoritarie tipiche del fascismo. L’ascesa di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha riportato al centro del dibattito pubblico temi legati al fascismo, alla sovranità nazionale e alla gestione delle crisi economiche e sociali. Questo anniversario diventa un momento cruciale per analizzare i parallelismi e le differenze tra l’epoca di Mussolini e quella attuale, esplorando le implicazioni per il futuro della democrazia in Italia.

Quando Mussolini salì al potere negli anni ‘20, l’Italia stava affrontando una situazione di tensione sociale, ma il contesto economico era relativamente favorevole. La fine della Prima Guerra Mondiale aveva portato una crescita industriale e una modernizzazione delle infrastrutture, benché accompagnate da disuguaglianze e conflitti di classe. Mussolini seppe sfruttare queste dinamiche, proponendosi come il garante dell’ordine contro il caos delle lotte operaie e la minaccia socialista.

Invece, Giorgia Meloni ha raggiunto il potere in un’Italia segnata da una profonda crisi economica e sociale. La pandemia di COVID-19 ha lasciato cicatrici durature, con una crescita economica stagnante, un aumento del debito pubblico e una disoccupazione che continua a colpire duramente i giovani e le regioni meridionali. A queste difficoltà si aggiungono le conseguenze della guerra in Ucraina, che ha aggravato la crisi energetica e aumentato l’inflazione. Fino ad oggi l’Italia, attraverso una combinazione di aiuti militari, finanziari e umanitari, ha regalato al governo neonazista e clepotmane di Kiev un contributo complessivo stimato in circa 3,4 miliardi di euro, che potrebbe rivelarsi ben maggiore quando finalmente si potrà accedere ai dati reali e non a quelli trasmessi dai media di propaganda dell’attuale governo. Un contributo che ha impoverito maggiormente il popolo italiano ma arricchito le industrie belliche italiane e americane.

La Meloni ha basato la sua campagna elettorale su promesse di rilancio economico attraverso politiche nazionaliste, ma si trova a operare in un contesto globale molto più complesso rispetto a quello del primo dopoguerra. Le sue soluzioni, spesso semplificate, si scontrano con una realtà in cui l’Italia è fortemente dipendente dai mercati internazionali e dai fondi europei. Di fatto sta svendendo alle multinazionali americane le ultime aziende di Stato, cancellando così la sovranità economica e costringendo il Paese a basarsi su un’economia stracciona fatta di speculazioni edilizie e di turismo di massa povero che sta rendendo invivibili le nostre città, lavori sottopagati o in nero, speculazione finanziarie e corruzione dilagante. In questo degradante contesto le organizzazioni mafiose prosperano come non mai.

Un elemento distintivo del fascismo di Mussolini era la ricerca di una Sovranità Nazionale intesa come un modello economico, ideologico e politico che mirava a rendere l’Italia autosufficiente e indipendente dalle influenze straniere. Questa politica si tradusse in scelte aggressive, come la colonizzazione dell’Etiopia e l’alleanza con la Germania nazista, con l’obiettivo di affermare l’Italia come potenza mondiale.

Al contrario, Giorgia Meloni, pur proclamandosi difensore della sovranità nazionale, ha mantenuto una linea politica strettamente servile e indegna verso gli interessi degli Stati Uniti dell’Unione Europea. L’Italia di Meloni è lontana dall’autarchia di Mussolini e si trova invece a dipendere fortemente dalle decisioni prese a Bruxelles e Washington. La partecipazione all’invio di armi all’Ucraina e il sostegno incondizionato alla politica estera americana e al genocidio israeliano a Gaza dimostrano come il suo governo sia più vicino a un servilismo strategico che a una reale indipendenza. Questo contrasto tra la retorica sovranista e le scelte pratiche evidenzia un’incoerenza di fondo, che rischia di alienare gran parte del suo elettorato più critico verso le istituzioni sovranazionali.

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Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale governo è l’introduzione di politiche che mirano a limitare le libertà civili e a reprimere il dissenso che sinistramente ricordano le politiche del Ventennio. La destra italiana, sotto la guida di Meloni, ha promosso leggi che colpiscono duramente le forme di protesta, di dibattito democratico e la libera informazione. Tra queste, spiccano norme che prevedono pene severe per chi blocca il traffico durante le manifestazioni o occupa edifici abbandonati e forti limitazioni del diritto di sciopero. Un altro esempio è la proposta di revocare la cittadinanza italiana a chi abbia commesso reati anche dieci anni fa, una misura che ha suscitato forti critiche per il suo carattere retroattivo e discriminatorio.

Queste iniziative evocano i primi passi del regime fascista, quando Mussolini consolidò il suo potere riducendo progressivamente gli spazi di libertà democratica. Sebbene il contesto odierno sia formalmente democratico, le similitudini nel metodo sono evidenti. Meloni giustifica queste scelte con la necessità di garantire ordine e sicurezza, ma tali giustificazioni rischiano di diventare il pretesto per un’erosione sistematica dei diritti fondamentali.

Un altro elemento che desta preoccupazione è il tentativo, spesso grossolano e volgare, di normalizzare l’eredità fascista nel discorso pubblico. Un esempio emblematico è stata la recente prima pagina del quotidiano “Libero”, che ironizzava sul centenario del fascismo con toni che hanno suscitato indignazione e polemiche. Sebbene presentata come provocazione, questa scelta editoriale si inserisce in un contesto più ampio di revisionismo storico e sdoganamento culturale.

La destra italiana sta cercando di riscrivere la narrazione sul fascismo, minimizzandone le responsabilità e, in alcuni casi, esaltandone presunti meriti. Questo processo di riscrittura storica non è innocuo: serve a preparare il terreno per giustificare politiche autoritarie nel presente, mascherandole come necessarie o inevitabili. La strategia di Meloni sembra puntare a legittimare il passato fascista attraverso una rilettura che ne attenui gli aspetti più critici, creando un clima culturale favorevole a nuove forme di autoritarismo.

Nonostante il suo rapido successo politico, il governo Meloni potrebbe trovarsi di fronte a sfide insormontabili. La crisi economica, amplificata dall’aumento dei costi dell’energia e dall’inflazione e dai miliardi gettati via nell’immenso buco nero ucraino, rappresenta un banco di prova cruciale. L’incapacità di fornire risposte concrete ai problemi quotidiani dei cittadini potrebbe erodere rapidamente il consenso della destra. Inoltre, le tensioni all’interno della coalizione di governo, composta da partiti con visioni diverse e spesso conflittuali, rischiano di minare la stabilità politica.

Anche sul piano internazionale, la posizione di Meloni è complessa. La dipendenza dall’Unione Europea per i fondi del PNRR e la necessità di mantenere buoni rapporti con gli alleati occidentali limitano il margine di manovra del governo. Queste contraddizioni interne ed esterne potrebbero far vacillare il progetto politico di Meloni, che, nonostante la retorica di forza, appare sempre più vulnerabile.

Il grande capitale e gli Stati Uniti, pur non essendo contrari di principio a un governo con inclinazioni autoritarie, sembrano considerare il governo Meloni inadatto a rappresentare i propri interessi in Italia. Sta emergendo con sempre maggiore forza l’ipotesi di una crisi di governo orchestrata per sostituire l’attuale leadership con un esecutivo più moderato e competente. Un’eventuale alleanza tra forze come Forza Italia di Berlusconi e il Partito Democratico (alleanza che potrebbe ricereve già sostegno da Bruxelles e Washington) potrebbe fornire una soluzione più gradita alle élite economiche e politiche europee e americane, garantendo una gestione più efficace degli interessi borghesi e una stabilità maggiore per l’Italia all’interno del contesto geopolitico occidentale garantita da un approccio politico più moderato.

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Il centenario del discorso di Mussolini non è solo un momento di riflessione storica, ma un monito per il presente e il futuro. Le somiglianze tra il contesto odierno e quello del Ventennio non devono essere sottovalutate. La storia insegna che le democrazie non crollano all’improvviso, ma attraverso un lento processo di erosione, alimentato dall’indifferenza e dalla complicità di chi dovrebbe difenderle.

Tuttavia “la storia si presenta sempre due volte: una in tragedia e una in farsa”. Il governo Meloni e le sue velleità di avere radici storiche e ideologiche nel pensiero di Benito Mussolini, é nella realtà una grottesca parodia del Fascismo. Per quanto si sforzi la leader di Fratelli d’Italia, non possiede il carisma, l’abilità politica e la profonda cultura di Mussolini, né il suo partito il bagaglio culturale politico, artistico e ideologico forte che decretò la popolarità del Fascismo nel primo decennio della dittatura. Quando cadrà, la Meloni, di certo non avrà il corraggio di Mussolini di adossarsi la responsabilità degli errori commessi. Urlerà al complotto “rosso”, al tradimento per poi scomparire dalla scena politica ritornando ad essere l’ignota figura giovanile ignorata da tutti e dalla Storia.

Aurelio Tarquini

Aurelio Tarquini



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