La scoperta del caso Sala in Iran: «C’è solidarietà»

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«È ridondante parlare di diritti ora che la collega italiana giace in carcere. Come se fosse una novità che i diritti non valgono nulla da noi quando vai contro il potere, mentre anche a Roma si spartiscono attentamente tra amici e non amici. Il caso si consuma al margine di un conflitto internazionale tra gli Stati Uniti e il nostro paese che impone una soluzione politica», dice amareggiato Amir, uno dei rari giornalisti iraniani che stanno seguendo il caso di Cecilia Sala in Iran.

MENTRE IN ITALIA le notizie sul caso di Cecilia Sala si affievoliscono, a Teheran si comincia a parlarne. Ieri il quotidiano economico Jahan-e-Sanat, nella sua seconda pagina, ha riportato sinteticamente la vicenda sotto una foto di Cecilia Sala, pubblicando il messaggio di Antonio Tajani su X senza associare la vicenda al caso dell’ingegnere iraniano arrestato a Milano. Tuttavia, il giornale evita qualsiasi commento. Diverso è l’approccio di altri cinque quotidiani, che riportano esclusivamente la versione dal punto di vista iraniano, sottolineando l’arresto di Mohammad Abedini Najafabadi. Sembra che la notizia, inizialmente, sia stata censurata dai media locali su ordine dello stesso Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico, il medesimo ente che ha comunicato l’arresto di Sala per «violazione delle leggi della Repubblica Islamica».

«CERCANO di non allargare la discussione tra il pubblico, anche perché è difficile giustificare la presa di un ostaggio innocente per liberarne un altro, nell’opinione pubblica iraniana, che non ha un minimo di fiducia nei suoi governanti», dice ancora Amir. È evidente che, se non fosse per i canali televisivi in lingua persiana e i social media che trasmettono all’estero, il grande pubblico iraniano non sarebbe venuto a conoscenza della vicenda. C’è una diffusa empatia e solidarietà tra il pubblico, che accusa il potere di arrestare innocenti per salvaguardare i propri operativi o simpatizzanti all’estero. Tuttavia, questa opinione non è condivisa da accademici e professionisti, che considerano Abedini una delle figure scientifiche più brillanti nel campo dell’ingegneria meccanica del paese.

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«IL DOTTOR ABEDINI è uno stimato professionista e accademico che svolge il suo lavoro con la massima serietà e onestà. I risultati di alcune sue ricerche sono stati pubblicati in diversi articoli scientifici, che hanno ricevuto un notevole riconoscimento dalla comunità scientifica mondiale. È anche cofondatore di una start up registrata presso il Swiss Federal Institute of Technology di Losanna», afferma un docente dell’Università di Sharif, dove Abedini ha conseguito il dottorato in ingegneria meccanica. Certo Abedini non ha il profilo di passati personaggi ombrosi che la Repubblica Islamica ha tentato scambiare con le presunte spie occidentali prese in ostaggio. Il quotidiano Sharvandieri, ieri, ha scritto che «le aziende di Abedini, sia in Iran sia in Svizzera, operano sotto leggi trasparenti e all’interno dei sistemi fiscali. I loro prodotti vengono venduti legalmente nei mercati specializzati. Queste aziende sono chiaramente parte dei progressi tecnologici e scientifici del nostro paese. Gli Stati Uniti hanno più volte utilizzato strumenti simili per fare pressione sulle élite iraniane, e questo caso non fa eccezione».

OVVIAMENTE, ciò non può significare che l’accusa del procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick B. Garland, secondo cui uno dei prodotti delle aziende di Abedini sarebbe stato utilizzato in un drone che ha colpito una base militare americana, sia infondata. «Ammettiamo per un attimo che si possa accettare che un paese ostile sia al contempo accusatore, esaminatore e giudice, e che abbia anche ragione. Ma come si può dimostrare che Abedini fosse a conoscenza del fatto che il pezzo fabbricato sarebbe stato usato per i droni? Ammettiamo persino che ne fosse a conoscenza e che passeggiasse tranquillamente per l’Europa. Nel nostro paese, dove praticamente tutte le arterie vitali della produzione e dell’economia sono controllate dall’Irgc come avrebbe potuto rifiutare di dare il pezzo all’Irgc?», sottolinea Amir.

NEL FRATTEMPO, i gruppi di opposizione iraniana all’estero, cogliendo l’occasione attraverso i loro media e i potenti gruppi di lobby negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, soffiano sul fuoco e cercano di condizionare le decisioni politiche per impedire che lo scambio tra Abaedini e Sala avvenga.



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