Mondi Lontanissimi, poetica minima di Franco Battiato

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di Cristoforo Lavore

Mi chiamo Cristoforo Lavore, sono siciliano del ’77, l’anno in cui uscirono “Low” e “Heroes” di David Bowie. Vivo e lavoro a Milano, dove oltre alla musica mi dedico alla letteratura per l’infanzia: scrivo, leggo e registro audiolibri per bambini.

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 Come si fa a scrivere di Franco Battiato in un articolo? La sua discografia è vastissima, tra album in studio (sperimentali, pop e rock), live e colonne sonore, Battiato ha pubblicato 42 dischi. Le sue tematiche toccano tutti i campi della scienza, della filosofia, della religione, dell’evoluzione umana. La risposta è una sola: non si può.  Cosa si fa in questi casi? Davanti ho un foglio bianco, tante idee, mille suoni, centinaia e centinaia di link che si diramano nella mia testa. Non voglio arrendermi, voglio provarci. È una promessa, non posso tirarmi indietro. Medito un po’, mi fermo e dopo qualche giorno trovo la risposta.

Ne scelgo uno! Non uno a caso. Non il mio preferito L’ombrello e la macchina da cucire, non quello che la critica musicale reputa il suo album migliore Gommalacca, non quello più amato dal grande pubblico L’imboscata.  Scelgo il primo che ho ascoltato: Mondi lontanissimi. Il quattordicesimo album in studio; 32 minuti di musica in cui si condensa l’essenza della poetica del maestro.

 Avevo 16 anni, il mio carissimo amico Emilio era neopatentato e passavamo le domeniche pomeriggio in macchina girando a zonzo, senza meta, solo per il gusto di muoverci e di ascoltare musica in un contesto privatissimo, l’abitacolo dell’auto. Con Emilio condividevano la passione per P.J. Harvey, per i Nirvana, i Led Zeppelin, ma sapevo che da buon chitarrista melodico quale lui fosse, ascoltava tanta musica italiana. Devo a lui la mia passione per Franco Battiato e Angelo Branduardi.

 Ma ora è di “Franco” che dobbiamo parlare. Sì, Franco. Lo chiamo spesso con il nome di battesimo, Franco è stato ed è un amico, un compagno di viaggio, un dispenser di stimoli, di saperi, di cultura, ma soprattutto è un compagno, nel significato più antico del termine: mi fa compagnia.  Una domenica salgo in macchina, saluto, chiudo la portiera. Le casse dell’auto diffondono Personal Computer. Rimango rapito dalla “stranezza” di alcune frasi: “Mi son comprato un personal computer, ma il cuore soffre un poco di aritmia, non so come curare i reumatismi”. Mi catturò quella sequenza di frasi apparentemente illogiche, ma che producevano senso dal loro semplice accostamento.  “Se non ti piace apri il cruscotto e scegli tu una cassetta”, mi disse Emilio. Le autoradio con i lettori cd non erano ancora così diffuse. “No, lascia”, rispondo. Ero sedotto da quelle sequenze linguistiche che esprimevano un pensiero trasversale, non lineare, molto vicino al modo di funzionare della mia mente, al dispiegarsi del mio pensiero, al mio universo percettivo. Mi era famigliare quel senso critico verso la società e quella tensione verso la spiritualità, verso la voglia di evolversi e migliorarsi. Ho sentito sin da subito una comunanza, una vibrazione capace di colmare la mia solitudine. Una manciata di canzoni “pop” stava colmando la mia solitudine. In quell’istante ho smesso di sentirmi un adolescente isolato, avevo scoperto un amico che mi parlava, mi tendeva una mano, mi indicava una strada.

 La sera, quando Emilio mi riaccompagnò a casa, gli chiesi di prestarmi la cassetta. Per un mese intero ho ascoltato solo quell’album, un mese in compagnia di Mondi lontanissimi. Mi sdraiavo sul letto, al buio e partiva il mio viaggio mentale. Da lì, forse, è cominciato il mio viaggio di scoperta interiore.  Via Lattea esplode con la frase “Ci alzammo che non era ancora l’alba, pronti per trasbordare…”. Parole impressionanti, cariche di forza e di volontà. Ci si alza sempre presto per fare cose importanti, cose che ci spostano da una condizione all’altra, era questo il suggerimento di Battiato, abbandonare “migliaia di prigionieri immobili” e tendere verso un mondo meno trafficato, più intimo.

 L’album parte in quarta incalza brano dopo brano. La musica martella con ritmiche possenti e a tratti selvagge, portandoci in uno spazio astratto e senza tempo. Le sezioni di archi sembrano tagliare l’aria, amplificando la sensazione di straniamento creata dai testi. Fino ad allora non avevo sentito la musica pop contaminata dalla musica classica, la musica acustica espansa dalla musica elettronica. Tutto amalgamato da un suono compatto, solido, preciso.  Quando il crescendo ritmico arriva all’apice con Chan-Son Egocentrique, il pezzo successivo I treni di Tozeur ci spiazza. Il disco rallenta bruscamente: “E per un istante ritorna la voglia di vivere ad un’altra velocità, passano ancora lenti i treni per Tozeur”. Il brano ci mette calma, come fosse un invito ad accogliere ed elaborare l’intero flusso di suoni e di parole.  Se con il penultimo brano il disco rallenta, con l’ultimo brano, l’album si ferma. La voce di Franco sovrasta il minimalismo dell’arrangiamento, quasi a volerci dire di ascoltarlo, di concentrarci sul testo. “Vivere non è difficile” canta ne  L’animale. Sarà vero? Forse non è difficile, ma neppure facile.

 Le domande di Chan-Son Egocentrique a 47 anni, qualche decennio dopo il primo ascolto, tuonano ancora nella mia mente: “Chi sono? Dove sono? Da dove vengo? Dove vado?” Interrogativi sempre inchiodati nella mia testa.  So da dove vengo, so dove mi trovo, ma non so ancora chi sono, non so, soprattutto, dove vado. Sembrano giochi linguistici, filastrocche facili da ripetere a memoria mentre si prepara la cena. Invece le domande sono ancora lì ed ho solo la metà delle risposte. La scoperta del mio mondo interiore sembra ancora lontanissima.

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