«Vado avanti». Il pasticciaccio del campo largo

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La presidente della regione si oppone alla decadenza chiesta dai giudici contabili. Pd e M5s la blindano: solo «inadempienze formali». La destra strilla alle dimissioni: ma in realtà teme il voto 

«Sono serenamente al lavoro», l’atto amministrativo «seguirà il suo percorso e sarà gestito dai miei avvocati», nel frattempo «piena fiducia» verso «la magistratura» ma anche verso «le azioni fatte dal comitato che mi ha rappresentato per le elezioni»; morale, la presidente sarda Alessandra Todde tira dritto: «Ho la piena legittimazione di continuare a lavorare per i sardi e così farò». A Cagliari, la contiana di ferro in mattinata convoca una conferenza stampa per esibire la sua tranquillità. Ma c’è poco da fare finta di nulla: l’atto «amministrativo» piombatole in testa è l’ordinanza-ingiunzione del Collegio regionale di garanzia elettorale della Corte d’appello, ed è una dichiarazione di decadenza da consigliera regionale; se andasse a segno, con lei, in quanto presidente, verrebbe giù tutto il consiglio. E si tornerebbe al voto.

«Solo rilievi formali»

Tutto nasce da un accesso agli atti dell’ufficio elettorale dell’ex deputato forzista Pietro Pittalis, che ha ricevuto, dice, «segnalazioni» e ha chiesto ai magistrati contabili di accendere un faro sulle spese elettorali di Todde. Il faro si accende, e finisce con la contestazione di sette inadempienze nella rendicontazione delle spese della campagna elettorale, inviata alla Corte di Roma e di Cagliari, e firmata dal senatore Ettore Licheri, tutte spese sostenute dal «Comitato elettorale del M5S per l’elezione del Presidente della Regione Sardegna 2024». Le riassumiamo: la dichiarazione «non è conforme» alla legge; non è nominato un mandatario la cui nomina è obbligatoria; né è stato aperto un conto dedicato esclusivamente alla raccolta dei fondi della campagna; né è stato prodotto lo stato del conto corrente. I chiarimenti successivi, per la Corte, non hanno chiarito nulla: risultato, 40mila euro di sanzione, ingiunzione di decadenza, 30 giorni per fare ricorso, e invio delle carte al tribunale. Questioni «solo formali», assicura la presidente, «tutto in regola» ribadiscono dallo staff.

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Ora che succede? Todde farà ricorso, anche se a ieri ancora la strategia di difesa legale era incerta. Per legge il presidente del consiglio regionale Piero Comandini, del Pd, deve trasmettere l’ingiunzione di decadenza alla giunta delle elezioni e poi portarla in consiglio. Qui altre incertezze: si vota, dunque si respinge, o no? Per il costituzionalista Stefano Ceccanti sì. «Ma non subito», dicono da Cagliari: Comandini avrebbe 90 giorni per attendere l’esito del ricorso.

Campo largo senza bussola

Il centrosinistra è entrato in confusione, il campo largo sardo naviga in mare aperto, e un po’ senza bussola. La destra attacca, i giornali amici dichiarano Todde già «decaduta», ma la sua maggioranza – Pd, M5s, Progressisti e sinistre civiche – tiene e la sostiene. Epperò i malumori per un pasticcio annunciato, e fino a ieri mai condiviso, sfuggono da ogni parte. Anche perché, viene spiegato, è il suo stile di conduzione della giunta: solitario e accentrato. Quanto ai leader nazionali, la presidente riferisce di aver sentito Giuseppe Conte ed Elly Schlein che l’hanno invitata ad andare avanti. Mancherebbe. Che fine farebbe tutta l’epopea della vittoria del campo largo in Sardegna, un terno al lotto vinto peraltro grazie a una manciata di voti?

Poi c’è anche il fatto che non sarebbe bello, a Cagliari come a Roma, giustificare un no all’ordinanza della Corte. Tantomeno per i Cinque stelle, pasdaràn dei magistrati. Ieri sulla rete ha cominciato a circolare l’ideuzza di un complotto politico: la magistrata che guida il collegio, la presidente Gemma Cucca, è sorella di un ex segretario regionale Pd, renziano approdato ad Azione, partito che in Sardegna ha il dente avvelenato con Todde (si era schierato con Renato Soru). Ma il venticello è stato duramente soffocato: accusare la magistratura sarebbe un boomerang. Meglio assicurare che tutto sarà chiarito. Anche perché in fin dei conti anche la destra sarda, ancora in piena faida fra FdI e Lega, con il PsdAz in decomposizione, teme il ritorno al voto come la peste: i consiglieri che hanno agganciato un seggio nonostante il disastro Truzzu se lo tengono stretto. A chiedere le dimissioni di Todde sono gli esponenti nazionali: ai quali ieri da Cagliari arrivavano telefonate apprensive.

Ma non basta a mettere in sicurezza Todde. L’esito del ricorso ha tempi lunghi, nel frattempo le penderà sulla testa la spada di Damocle della decadenza. Un’incertezza che complica la già non facile navigazione. C’è il tema caldo della sanità: l’8 gennaio sarà ascoltato in commissione l’assessore Armando Bertolazzi, tecnico in quota M5s, romano, ex sottosegretario del governo gialloverde. Poco amato dall’esordio: si è autoproclamato il «rombo di tuono» della sanità sarda. Ma nell’isola Gigi Riva è una fede, non un nome da nominare invano, tantomeno per avocare a sé, e alla presidente, tutte le nomine. E siamo al primo mese di esercizio provvisorio.

Sulla fiducia

Il movimento corre ai ripari e stende su Todde uno scudo stellare. La deputata Vittoria Baldino si complimenta con la presidente per aver reagito con «rispetto e fiducia nella magistratura». Dal Pd Davide Baruffi, responsabile enti locali (e uno dei padri dell’accordo Pd-M5s alle regionali, all’epoca contestato da mezzo partito), esprime «piena fiducia» in Todde ma anche fiducia «che le questioni segnalate possano essere chiarite». Marco Meloni, senatore dem cagliaritano, aggiunge una postilla: giusto rispettare la magistratura ma anche «continuare ad operare con serenità e determinazione nell’interesse dei sardi, in attesa della pronuncia dei giudici sull’annunciato ricorso», augurandosi che «in tali sedi possa essere garantito il rispetto della volontà degli elettori».

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