Costi quel che costi. Meloni da Trump per prepararlo allo “sgarbo”

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A Mar-a-Lago per lanciare un Sos e per aprirsi un varco. Ma anche per assicurarsi che, qualunque sia la decisione dell’Italia sull’estradizione di Mohammad Abedini, gli Usa non la vivano come il peggiore degli sgarbi, ma come un gesto doveroso. Necessario in un momento buio per il Paese. Giorgia Meloni nella dimora di Donald Trump è andata a giocarsi “il tutto per tutto”. Usa proprio questa espressione, riferendosi alla vicenda di Cecilia Sala, chi conosce bene la situazione. Nel bel mezzo di quelle che lei stessa ha definito “le ore più dure da premier”, Meloni, grazie all’aiuto del “genio” Elon Musk prende, all’insaputa di tutti – anche dei suoi stessi ministri – l’aereo e corre in Florida. “Devo incontrare il presidente”, dice all’amico, che fa da ponte ma non presenzia all’incontro. Trascorre nella lussuosa tenuta di Trump cinque ore appena: “Sono emozionato, è una donna fantastica, ha preso d’assalto l’Europa”, dice Trump ai suoi, che l’accolgono con un applauso. Meloni, che all’indomani sui social parlerà di “bella serata” in un video sembra sorridente. Ma il suo animo è tutt’altro che sereno.

I due hanno parlato di tanti temi, Trump le ha propinato la visione del documentario complottista sui presunti brogli durante le elezioni del 2020. Ma il motivo per cui Meloni corre in Florida è stato un altro. “Il vero motore della visita”, come l’ha definito il suo entourage è stato il caso Sala. Sul quale, riportano i media statunitensi, la premier ha “spinto insistentemente” con Trump.

La giornalista del Foglio e di Chora Media è ingiustamente detenuta nel carcere di Evin, in Iran, dal 19 dicembre. E il suo arresto è legato all’arresto a Malpensa, per conto degli Usa, dell’uomo dei droni di Teheran che gli Stati Uniti hanno accusato di terrorismo. Fino a pochi giorni fa il governo italiano era convinto di dover risolvere l’intrigo – che passa per la richiesta dell’Iran di scarcerare Abedini – entro il 20 gennaio. Entro, cioè, il giorno dell’insediamento ufficiale di Trump. La finestra era molto ristretta, considerando il governo avrebbe comunque intenzione di attendere la decisione del giudice sulla scarcerazione, che non arriverà prima del 15 gennaio. Nelle ore che hanno preceduto la missione di Meloni, però, è maturata piano piano nella maggioranza e nel governo una nuova consapevolezza: bisogna preparare Trump all’idea che l’Italia dica “no” alla richiesta, non ancora formalizzata dagli Usa, di estradizione di Abedini. Bisogna chiedergli di accettarla come una necessità e non come un’offesa agli Usa. Ed è più o meno quello che ha provato a fare Meloni nel corso dell’incontro.

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La convinzione all’interno del centrodestra è che Trump capirà. Che per quanto dopo il suo insediamento sarà molto duro con Teheran – anche in termini di sanzioni – non si impunterà sul singolo caso, sul singolo uomo. Darà una mano all’amica Giorgia, che considera “un ponte tra gli Usa e l’Unione europea”. “Trump è un uomo pragmatico”, è il mantra che ripetono vari autorevoli esponenti del centrodestra. “Ci aiuterà a tirarci fuori da questa situazione in cui ci troviamo anche a causa di un arresto chiesto dagli Usa”, continua chi azzarda maggiore audacia, facendo un chiaro riferimento all’amministrazione di Joe Biden, che nei prossimi giorni sarà a Roma. L’arresto di Abedini, infatti, compiuto dalla Polizia in una dinamica in cui l’intelligence è rimasta in secondo piano, è stato sollecitato dagli States. L’Italia – che, a differenza degli Stati Uniti, non considera i Pasdaran, con cui Abedin avrebbe collaborato, un’organizzazione terroristica – ha dovuto eseguire e basta. Accollandosi tutte le conseguenze del caso e non immaginando che Teheran potesse vendicarsi. E che potesse accadere l’imponderabile: l’arresto di Sala, che dall’Iran sarebbe dovuta tornare il 20 dicembre.

Per uscire dal labirinto serve, è evidente, un aiuto serio degli Usa. Un aiuto che l’amministrazione di Biden, che voleva Abedini in galera subito, non può dare più. Ma che Trump può dare, chiedendo in cambio a Meloni una mano nelle relazioni con l’Ue. Che si annunciano tutto fuorché semplici.

Ma è possibile che gli Usa possano mandare giù il no all’estradizione senza battere colpo? In parte sì. “Questo signore, (Abedini, ndr) – ragiona con HuffPost Andrea Di Giuseppe, parlamentare di FdI eletto in Nord America, amico personale di Trump e molto legato a Meloni – è un terrorista. Ci sono le prove che abbia contribuito a danneggiare gli Usa. E negli Stati Uniti l’atteggiamento nei confronti del terrorismo è quello della tolleranza zero. Naturalmente, all’interno di questa tolleranza zero si possono fare mille ragionamenti. Ci sono tante cose da tenere in considerazione, lasciamolo fare ai professionisti”. Ed è a questi “mille ragionamenti” che si sta aggrappando il governo italiano per riportare a casa Cecilia Sala. Nella consapevolezza che, in punto di diritto, il “no” all’estradizione sarebbe più che giustificato. In ogni caso, la premier sentirà il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per comunicargli la linea politica. Sugli aspetti giuridici, invece, via Arenula è al lavoro da giorni.

Ancora è presto per dire se Meloni è riuscita nell’impresa. Se la quadratura del cerchio è a portata di mano. Quel che è certo è che ad aiutarla in questo complicatissimo groviglio sono senza dubbio i rapporti che è riuscita a tessere con Trump. “Tra loro – spiega ancora Di Giuseppe – c’è molta stima, molta affinità caratteriale, comunanza di principi, quelli conservatori. Il fatto che siano buoni interlocutori è un bene per l’Italia, ma è anche un bene per l’Europa. A quest’ultima farà comodo avere una figura che faccia traduca il punto di vista dell’amministrazione Trump. Che si annuncia più muscolare di quella di Biden”.

In cambio di un minimo di collaborazione per la liberazione di Cecilia Sala, Meloni, insomma, offre a Trump una sponda nei suoi rapporti con l’Europa e collaborazione sullo scenario internazionale, ancora costellato di guerre. Ed è alle guerre che si riferisce Matteo Salvini che – dopo aver diffuso, nel silenzio quasi totale della premier sull’incontro, i temi di cui la presidente e Trump hanno parlato – in una diretta social afferma: “Bene, sono contento da italiano e da vice presidente del Consiglio perchè penso che Trump potrà riportare la pace tra Russia e Ucraina e tra Israele e il Medio Oriente”. Un modo per restare sul tema, per ricordare che con il tycoon ha un buon rapporto anche lui. Al punto che sta meditando di presenziare alla cerimonia di insediamento. Una delegazione di patrioti, apprende HuffPost, il 20 gennaio sarà quasi certamente a Washington. Il ministro è tentato, ma valuterà: “Per ora è tutto fermo, entro mercoledì sapremo”, dicono da via Bellerio.

Domani il sottosegretario Alfredo Mantovano riferirà al Copasir sullo stato della diplomazia per liberare Cecilia Sala. Per l’opposizione, che aveva chiesto di coinvolgere tutto il Parlamento, parlare in un organo dove vige il vincolo della segretezza non basta. 

Un altro tema che, secondo Bloomberg, avrebbe avuto un’accelerazione a seguito dell’incontro di Meloni con Trump riguarda Starlink: sembrano trovare conferma le voci – che avevano suscitato le preoccupazioni delle opposizioni – che parlavano di un contratto tra l’Italia e l’azienda di satelliti di Musk, SpaceX. L’Italia è in discussioni avanzate con l’azienda per un contratto di 5 anni che prevede la fornitura al governo di servizi di telecomunicazione sicuri. L’operazione valore di 1,5 miliardi di euro. Il progetto prevede un sistema criptato di massimo livello per le reti telefoniche e i servizi internet del governo, le comunicazioni militari e i servizi satellitari per le emergenze.

 

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