Cresce l’incidenza dei bambini con genitori non italiani ma anche le famiglie migranti iniziano a fare meno figli
Anche le famiglie straniere ora fanno meno figli, ma guai se non ci fossero, perché quasi un bimbo su cinque, oggi in Veneto, non ha i genitori italiani. Il dato macro è che in vent’anni, è sparito un Comune di 13 mila abitanti. Detta così fa parecchia impressione perché è la dimensione di molti dei nostri Comuni, ma nel 2003 in Veneto nascevano 43.898 bambini (il picco è stato nel 2008 con oltre 48 mila) mentre nel 2023 ne sono nati 30.438. Più di tredicimila culle vuote negli ospedali, camerette vuote nelle case. Un numero che sarebbe ancor più drammatico se non ci fossero, appunto, le famiglie straniere, perché 5 mila di quei trentamila bimbi sono nati da mamme e papà immigrati (e non saranno italiani prima di 18 anni, con la legge attualmente in vigore). E in questo caso non è un’immagine o una metafora, a dare il segno dei tempi, ma una serie di fotografie: quelle dei primi nati del 2025. Foto multietniche e multiculturali, famiglie asiatiche e africane in molti ospedali veneti hanno dato alla luce un bimbo nella notte di Capodanno, e la prima in assoluto è stata Aiza, secondogenita di una coppia di origini pakistane.
L’analisi
I dati elaborati dalla Fondazione Moressa confermano quello che si vede nelle città e nelle scuole. Nel 1999 i nuovi bimbi italiani erano stati 39 mila, poco più di 2 mila quelli stranieri. Nel 2002 la distanza si era già accorciata, 39 mila bimbi italiani e 4 mila stranieri. Ma è la proporzione che fa riflettere: nel 2003 i nati con genitori stranieri erano il 10,3%, nel 2023 sono stati il 18,6%. E a differenza dei bimbi italiani, hanno continuato a crescere numericamente dal 1999 al 2009, mentre in quello steso arco temporale già le coppie italiane con un nuovo figlio diminuivano. Adesso sono in calo anche loro, ma non è un crollo così repentino. E bisogna considerare anche che quei numeri raccontano solo bambini con entrambi i genitori stranieri: se un genitore è italiano, di nascita o per naturalizzazione, il bimbo è italiano. Quindi, quel 18% è da considerarsi sottostimato, per capire il contributo reale.
Crisi demografica
Resta il fatto che le nascite, in Veneto, subiscono un calo progressivo e inesorabile. Nemmeno i genitori stranieri bastano a invertire la tendenza, le loro famiglie sono meno numerose. E i paesi si svuotano. «Siamo sul crinale del punto di non ritorno, nel primo semestre 2024 i numeri sono calati ancora – analizza Adriano Bordignon, trevigiano, presidente nazionale Forum delle Famiglie -. Oltre alla denatalità, lo spopolamento è dovuto a flussi diversi, penso a quelli dalle aree montane alle aree metropolitane, fenomeno europeo e nazionale. Le famiglie – e non solo – cercano aree più coperte da servizi sociosanitari, viabilità, trasporti, prossimità ai centri produttivi. Ed è un effetto valanga: il piccolo paese chiude una sezione della scuola, facile che a ruota chiuda il panificio». E siccome invertire la curva è un’utopia, bisogna pensare almeno a come rallentare quella discesa così preoccupante. «Servono interventi coordinati – continua Bordignon -. Una gestione dei flussi appropriata, persone accolte in modo programmato e adeguato, come “persone intere” e non come operai o braccianti, con i propri bisogni, le proprie relazioni. E poi politiche per la natalità di ordine vasto e trasversale che siano generose, universali e strutturali. Non è con un bonus che si aiuta una famiglia che vuole un bambino. Bisogna trasformare l’idea del figlio da costo individuale a investimento della comunità. E devono essere azioni orientate in un lungo periodo. Come per un grande progetto industriale».
Meno figli anche tra i migranti
Il presidente sa bene che il problema riguarda tutti i grandi Paesi europei, nessuno si sente escluso dalla glaciazione demografica. E oggi riguarda anche gli immigrati che abitano in Veneto. «Le famiglie straniere fanno meno figli rispetto al passato – rileva -. Un po’ perché seguono le abitudini del Paese che le accoglie, ma anche per questioni economiche, dato che i loro redditi sono più bassi, e per questioni relazionali. Non hanno una rete parentale nè accesso al patrimonio familiare, come può essere l’aiuto per una casa». Ma guai abbandonare le speranze, si può ancora fare qualcosa: «Con risorse ingenti e una grande alleanza. Lo Stato deve essere convinto di spostare le risorse da ambiti di diritti acquisiti a politiche per le famiglie e i giovani, investendo su una gestione adeguata dei flussi. Regioni e Comuni, assieme alle forze produttive, possono creare un equo sistema in cui sia fattibile e bello mettere al mondo un figlio e farlo crescere. Non una corsa a ostacoli. E il tema del lavoro femminile ancora non è risolto. Partiamo da qui».
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