Vittorio Mezza: jazz, improvvisazione e libertà

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Vittorio Mezza: jazz, improvvisazione e libertà
Fonte: www.vittoriomezza.com

Incontriamo Vittorio Mezza, affermato pianista jazz già molto conosciuto sia in Italia che all’estero, all’indomani dell’uscita del suo ultimo lavoro “Dances In My Mind”. L’album, che vede la collaborazione di Dominic Mancuso (cantante, chitarrista, produttore, vincitore del Juno Award per la World Music), è un progetto internazionale, attraverso il quale sono stati coinvolti nomi di spicco della scena canadese e non.

Vittorio Mezza ha partecipato a molti eventi, ha alle spalle numerose collaborazioni musicali tra cui segnaliamo quella, come consulente musicale, alla realizzazione de “I promessi sposi” per la regia di Michele Guardì presso lo stadio Meazza di Milano. Ha lavorato nello stesso ruolo presso la RAI.

Come definiresti “Dances In My Mind”? In cosa questo nuovo lavoro di Vittorio Mezza si differenzia dai precedenti?

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«In questo progetto dal sapore internazionale, ho ricomposto e riarrangiato la musica di Dominic Mancuso in un’ottica modulare. L’album non è altro che una sintesi di un grande lavoro di squadra, il risultato di scambi di idee, durati anni e anni. Siamo riusciti a coinvolgere musicisti provenienti da mondi musicali diversi e a unirli, con coerenza, sotto il segno del jazz, senza comunque tralasciare la tradizione italiana legata alla cinematografia e alla musica di alto rango

Come è nata in Vittorio Mezza la passione per la musica? E per il jazz in particolare?

«Ero ragazzino. Mia madre mi iscrisse a una scuola, mi appassionai alla musica e, col tempo, quella passione si è trasformata in una professione. Il jazz mi ha affascinato dalla prima volta che lo ascoltai: si basa sull’improvvisazione, esprime libertà. Il jazz ha la caratteristica di poter sviluppare e creare un percorso improvvisativo logico nella totale libertà e coerenza, cosa che avviene un po’ meno in altri generi. Nel jazz è particolare anche il rapporto che si ha con altri strumenti musicali: deve esserci interazione totale, è gruppo.»

Vittorio Mezza e il pianoforte, un matrimonio lungo una vita. Perché proprio questo strumento?

«Il mio primo strumento fu il sassofono. Poi, per una serie di cause ignote, sono passato al pianoforte, strumento che mi è sempre interessato molto. Quegli ottantaquattro tasti non stanno lì solo per essere suonati, sono un’orchestra completa a disposizione. È uno strumento che sfida molto l’esecutore, un po’ come la batteria. Come lo tocchi suona subito ma, per produrre una melodia ce ne vuole! Lo paragono ad una bestia che va domata. Altri strumenti, come quelli a fiato, sono meno immediati: puoi soffiare, ma, se non li sai suonare, restano muti. Trovo il pianoforte uno strumento eccezionale dal punto di vista orchestrale e compositivo.»

Come hai scelto i brani da inserire nel disco?

«Nei miei dischi mi piace, solitamente, inserire qualche rielaborazione di Monk e di Coltrane, pilastri del jazz, del linguaggio improvvisativo. Scelgo pezzi che sono plasmabili, che possono essere ristrutturati, preservandone dei parametri; ne conservo delle molecole, per poi rielaborarle, rendendo viva una struttura che rispecchi il Vittorio Mezza, artista e uomo. Il mio interesse è la melodia in primis, il resto è secondario.»

Vittorio, che rapporto hai con la TV? Come coniughi la tua arte con le esigenze, più commerciali, del mezzo televisivo?

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«Io ho lavorato per anni alla RAI come consulente musicale. Lo facevo con entusiasmo. Riesco a scindere molto bene la parte artistica con quella meramente lavorativa. In televisione la musica ha un ruolo differente da come lo intendo nei miei lavori; difficilmente si ascoltano interi brani, difficilmente c’è spazio o attenzione per il jazz. In televisione c’è sempre meno musica dal vivo. Ritengo che ciò danneggi la musica, diciamo così.»

In quale paese al mondo, a tuo avviso, viene dato maggiore spazio alla musica jazz?

«Oggi, con la tecnologia e, in genere, con l’apertura alla globalizzazione ci sono sempre più paesi che gli danno spazio. Con un occhio al passato, direi gli Stati Uniti: il grosso dei musicisti jazz, i dischi storici provengono da lì. Ai giorni nostri, l’asse si è spostato verso l’Europa, sta risalendo l’Estremo Oriente, dove sono molto attenti alle nuove sonorità.»

Ci dici, in una parola, cosa rappresenta, per Vittorio Mezza, la musica?

«La musica è libertà, è uno stargate di accesso ad una nuova dimensione.»

Vincenzo Nicoletti

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