Da Microsoft e Amazon alle start up. Le big tech e i consorzi di piccole e medie imprese, anche italiane, hanno iniziato a investire miliardi nel nostro Paese per costruire sempre più data center. Quei centri di elaborazione dati oramai indispensabili per sostenere l’avvento delle nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale e il machine learning, al supercalcolo dei big data e il cloud potenziato. Governo e Parlamento si muovono per attrarre oltre 10 miliardi di investimenti in tre anni (l’impatto potenziale sull’economia è di 15 miliardi), con una legge bipartisan che dovrebbe essere approvata nei prossimi mesi. Conterrà autorizzazioni uniche e snelle da parte dei Comuni, semplificando l’iter burocratico, e un codice Ateco dedicato agli elaboratori. Ma si punta anche a facilitare l’utilizzo di milioni di metri quadrati tra siti industriali dismessi, tra cui le miniere, e aree libere inutilizzate, già mappate dal ministero delle Imprese, soprattutto al Sud e nelle Isole.
Quest’anno secondo Ida, l’associazione italiana dei costruttori e operatori di data center, il mercato degli elaboratori nel nostro Paese raddoppierà di valore, passando da circa 600 milioni a oltre 1,2 miliardi ed entro il 2028 potrebbero essere creati 100mila nuovi posti di lavoro. Degli investimenti in arrivo (50 progetti entro il 2026 e 83 infrastrutture già quest’anno), un 10-15% saranno dedicati a strutture capaci di ospitare l’intelligenza artificiale, che oggi in Italia non ci sono. In tutto il mondo, secondo un report di Dla Piper e Tmt Finance, il mercato dei data center crescerà del 60% a quota 460 miliardi (solo Microsoft investirà quest’anno 80 miliardi).
In Italia ci sono 154 data center, la maggior parte al Nord. Ma, come segnala il Politecnico di Milano, sono per lo più di piccola o media potenza, non in grado di supportare le nuove tecnologie. È quindi necessario un salto di qualità. Le big tech si sono già mosse, con Amazon e Microsoft che hanno annunciato rispettivamente 1,2 e 4,3 miliardi di investimenti su Ia e cloud dal prossimo anno, concentrandosi in primis sul Nord Italia. L’iniziativa del colosso fondato da Jeff Bezos è stata dichiarata dal governo di interesse nazionale, con un commissario ad hoc. L’interesse delle big tech si sta infatti spostando dal Nord Europa, dove le aree sono quasi sature, verso l’Est e il Mediterraneo. In Irlanda c’è un problema di sovraccarico energetico, con i data center che hanno consumato il 21% di tutta l’elettricità nazionale.
Ci sono poi anche aziende più piccole, italiane e non, che si stanno unendo in consorzio e puntano a riqualificare aree inutilizzate. Le “aree vergini” più grandi si trovano in provincia di Bari, Sassari e Cagliari, mentre le maggiori tra le zone industriali dismesse sono nell’hinterland di Nuoro e Napoli. Roma, invece, si candida al ruolo di secondo polo italiano dopo Milano.
Per attrarre più investimenti ed evitare un problema di sovraccarico energetico anche in Italia in Commissione trasporti alla Camera sono stati presentati quattro disegni di legge, di maggioranza e opposizione.
IL PROVVEDIMENTO
La prima a presentare una proposta è stata la deputata e candidata alla guida di Azione, Giulia Pastorella. «Prevede – spiega – la creazione di un codice Ateco per questi centri, un inquadramento urbanistico e procedure autorizzative semplificate, anche uniche». Il codice Ateco è la combinazione alfa numerica che identifica l’attività economica svolta dall’impresa e che semplificherà la richiesta dei permessi presso i Comuni. La norma c’è anche nel testo proposto dal Pd. Il ddl di Enzo Amich (FdI) aggiunge la creazione di una task force a Palazzo Chigi e uffici locali dedicati alla creazione dei centri. Infine il testo di Giulio Centemero (Lega) prevede più poteri per l’Agcom per garantire la sicurezza delle masse di dati e provare a impedire che vengano date troppe capacità predittive alle big tech. Tutte le proposte, poi, puntano a rafforzare la rete elettrica.
Rimane però il problema inquinamento e spreco dell’acqua. I data center più grandi arrivano a utilizzare ognuno circa 1,7 milioni di litri di acqua al giorno. Mentre, solo con il consumo elettrico, i centri esistenti contribuiscono già allo 0,3% delle emissioni inquinanti globali. La questione, quindi, è come alimentare i data center senza aumentare i livelli di anidride carbonica.
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