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Il Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan si sta occupando di Tarhuna: è il nome di una città che ancora non dice molto, ma è da lì che si sta dando corpo a quanto accaduto in una parte di Libia dove, a partire dal 2020, si continuano a scoprire fosse comuni. Si parla di oltre 50 siti individuati in vaste aree rurali di questa città a 90 km da Tripoli, cui secondo le rilevazioni satellitari potrebbero aggiungersi altri 100, ma gli scavi devono procedere con cautela e ad ogni resto umano devono corrispondere analisi dei Dna, procedure di identificazione e altri rilievi forensi per giungere a un nome e ricostruire storie di dolore e morte.

I resoconti fotografici e video delle ricognizioni documentano il ritrovamento di corpi con mani legate, proiettili penetrati nelle teste o al torace, genitali mutilati e altri segni di fratture, sevizie e violenze sessuali. Molti sono anche i rinvenimenti di resti di bambini, donne e intere famiglie i cui corpi risultano gettati insieme, alcuni forse sepolti vivi.

A poco a poco la verità sugli anni di terrore a Tarhuna è cominciata ad emergere, anche grazie alle testimonianze di chi si è liberato della paura: si cominciano a ricostruire uccisioni, sparizioni, violenze sessuali, rapimenti, torture, maltrattamenti, esodi forzati e altre gravi violazioni e abusi dei diritti umani, tutte gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalla milizia Al-Kaniyat tra il 2013 e il 2022.

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Hanno testimoniato molti migranti sub-sahariani: erano questi ad essere arruolati con la forza e costretti a gettare i corpi in fosse comuni durante la notte, o ad abbandonarli nella discarica della città. Le testimonianze parlano anche delle torture perpetrate in centri di detenzione non ufficiali: fattorie, fabbriche e garage adibiti a prigioni.

I mandati della Corte 

In forza della Risoluzione 1970 (2011) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan ha ricevuto il mandato di indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Libia: una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza lo può consentire anche nel caso della Libia, che non ha ancora aderito al sistema della Corte, come previsto all’articolo 13 sub b) dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998.

Per le stragi di Tarhuna in questi giorni il Procuratore dell’Aja ha deciso di rendere pubblici i 6 mandati di arresto emessi nel 2023, ma che erano stati secretati per agevolare le ricerche dei criminali di guerra e non compromettere altre indagini in corso: «Ora è mia opinione che l’arresto e la consegna possano essere perseguiti nel modo più efficace attraverso la pubblicità di questi mandati», ha chiarito il prosecutor Khan in uno statement apparso sul sito della Corte.

Nella dichiarazione viene precisato che i primi tre mandati riguardano un appartenente alla potente famiglia Al-Kani, Abdelrahim al Kani, e due importanti affiliati all’omonima milizia Al-Kaniyat, Makhlouf Douma e Nasser al Lahsa, mentre gli altri tre provvedimenti riguardano funzionari della sicurezza libici legati alla milizia, Mohammed Salheen, Abdelbari al Shaqaqi e Fathi al Zinkal.

Le accuse alla base di provvedimenti introducono ad uno scenario tragico di crimini di guerra protrattisi per un decennio, tra cui «omicidio, oltraggi alla dignità personale, trattamenti crudeli, torture, violenze sessuali e stupri». Khan ricorda anche la visita che ha compiuto con lo staff investigativo a Tarhuna nel 2022, nel corso della quale ha visto fattorie e discariche trasformate in fosse comuni, e ha ascoltato le testimonianze di persone tenute in condizioni disumane e molti altri racconti strazianti: «Ho sentito di madri che non volevano più vivere nelle loro case, per il dolore causato dal ricordo dei loro figli portati via davanti ai loro occhi».

Sino ad oggi le ricerche dei sei criminali di guerra non hanno avuto esito, probabilmente per la rete di complicità e l’ancora confusa situazione libica che purtroppo consentono a molti altri responsabili di atrocità di sottrarsi alla giustizia. Diversi esponenti della famiglia Al Kani sono deceduti, e le autorità locali non sono state del tutto inerti dopo il ritrovamento delle fosse comuni: i tribunali più solerti hanno già emesso decine di sentenze di condanna, anche se molte non hanno trovato esecuzione per il sospetto, molto plausibile, che molti imputati si siano riciclati negli stessi nuovi apparati di sicurezza, dove potrebbero anche aver cambiato identità.

Un report dettagliato

Le principali autorità libiche interessate alle verifiche sulle fosse di Tarhuna sono l’Autorità Generale per la Ricerca e l’Identificazione delle Persone Scomparse (GASIMP) e il Centro di competenza e ricerca giudiziaria del ministero della Giustizia (JERC).

A partire da gennaio 2024, GASIMP ha riferito di aver dissotterrato 353 corpi da Tarhuna e dintorni, 235 di cui sono stati identificati, mentre lo JERC ha indicato di averne raccolto e conservato 262, 88 dei quali sono stati identificati. I due organismi si stanno ancora coordinando perché in qualche caso ci potrebbe essere stata qualche sovrapposizione dei dati, che rimangono comunque inquietanti e non sono conclusivi. L’attività è sostenuta dal Servizio per i diritti umani della United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) e dall’ United Nations Human Rights Office (OHCHR), a cui si deve un report che ha delineato lo scenario delle atrocità commesse nel periodo compreso tra il 2013 e il 2022.

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Con il crollo del regime di Muammar Gheddafi, dal 2011 il conflitto libico si diffuse in una miriade di focolai di ostilità con protagoniste le fazioni armate dei vari clan che si contrapponevano in tutta la Libia. È in questo contesto che la milizia Al-Kaniyat retta dai membri della famiglia al-Kani ha tratto vantaggi dal vuoto di potere di Tarhuna, città a 90 chilometri a sud-est della capitale Tripoli, che all’epoca contava circa 150.000 abitanti ed era nota per essere fedele a Gheddafi.

La famiglia al-Kani godeva infatti delle cosiddette “credenziali rivoluzionarie” ottenute dal colonnello del ’Libro verde’, e gradualmente ha saputo stringere la presa su Tarhuna, allargando le alleanze con le altre tribù combattenti dell’area. Le violenze di Al-Kaniyat sono iniziate nel 2013, quando un membro della famiglia al-Kani era stato ucciso e il gruppo ha deciso di intraprendere il ciclo della vendetta sulle famiglie rivali, fra cui le tribù al-Hibshi e al-Na’aji e Basbousa, comunità destinate ad essere prese come bersaglio anche negli anni successivi.

Dopo gli eccidi, i corpi delle vittime venivano deliberatamente mostrati in pubblico per diffondere il terrore nella città e affermare il primato della milizia. Al- Kaniyat è ancora ricordata per avere inscenato nel 2017 una parata nella città e nei villaggi per sottolineare il proprio dominio: risaltò un pick-up bianco con a bordo i miliziani armati e due leonesse tenute al guinzaglio, accovacciate sul tettuccio, simbolo della paura che i fratelli Kani volevano incutere.

Ma oltre al terrore, erano la disoccupazione e l’emarginazione a spingere i giovani ad affiliarsi alla fazione della famiglia al-Kani. Con l’ evolversi delle dinamiche politiche nel paese, tra il 2013 e il 2020 al-Kaniyat ha cambiato le alleanze. Dapprima si è schierata con il General National Congress (GNC), poi si è appoggiata al Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli. Nel 2013, già il GNC aveva creato il Joint Security Room di Tarhuna: la Delibera del Consiglio dei Ministri n. 857 del 2013 di fatto delegava la milizia Al-Kaniyat a «partecipare e mantenere la sicurezza nella regione di Tarhuna e nelle aree circostanti».

La milizia del terrore senza limiti

Nell’implosione libica “mantenere la sicurezza” è stata a lungo sinonimo di “gestione del potere” tout court: dal 2013 la fazione Al Kani assume il controllo di polizia, militari, consiglio comunale e sistema giudiziario, nonché del prelievo delle tasse per i servizi pubblici che pure sono sotto la sua ingerenza. Al-Kaniyat lucra anche ricchezze sul “Triangolo del petrolio” – dove le imprese petrolifere europee (non avendo alternative) si devono affidare ai servizi di sicurezza locali – guadagna dal contrabbando, come dal cementificio della città e dall’impianto idrico, la c.d. “Fabbrica dell’acqua”, utilizzati insieme alle discariche anche come lugubri destinazioni degli oppositori scomparsi.

Durante questo periodo i membri di al-Kaniyat continuano ad attaccare brutalmente intere famiglie e chiunque sia percepito come una minaccia al loro potere, compresi sindaci, capi tribù e intere famiglie, in particolare delle tribù Na’aji e Marghana.

Nel 2018 la milizia sceglie di passare sotto il controllo del minaccioso Esercito nazionale libico (Enl) del generale Khalifa Haftar, ma nell’anno successivo – il 16 settembre 2019 – i due fratelli al-Kani, Mohsen e Abdel Hakeem rimangono vittime di uccisioni mirate, che portano il clan familiare a un nuovo ciclo di vendette, in particolare contro la tribù al-Na’aji e contro numerosi detenuti.

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Nel 2020 accade l’irreparabile: lo sconfitto Haftar deve ritirarsi dall’area di Tripoli e pure la milizia Al- Kaniyat arretra in seguito alla pressione vincente delle forze del Gna: anche se in silenzio per timore di ribaltamenti e ritorsioni, buona parte della popolazione esulta per la fine del potere degli Al Kani. In quel momento si scoprono le prime fosse comuni, con oltre 200 corpi di civili, tra cui donne e bambini. Inizia un’altra storia per la gente di Tarhuna: quella di un momento di speranza, anche per la verità e la giustizia su dieci anni di terrore.

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