La teoria sulla fine dei nuragici: «Civiltà distrutta dagli uragani innescati dal clima impazzito»

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Sassari Sergio Frau aveva immaginato uno tsunami, “s’unda manna” che dodici secoli prima di Cristo aveva spazzato il Campidano inondando “l’isola dei portenti” e accendendo il mito dello schiaffo di Poseidone raccontato da Omero nei dialoghi “Timeo” e “Crizia”. Oggi è l’ingegnere e geofisico Gaetano Ranieri a riproporre una teoria affascinante che ricorda quella di Frau ma che si stacca per tempistiche e modalità. Perché secondo Ranieri a segnare le civiltà nuragica non fu uno tsunami ma gli effetti di rapido e brusco un cambiamento climatico.

La teoria I primi passi sono stati mossi più di vent’anni fa: «Dal 2002, insieme ai miei allievi, ho iniziato a studiare e catalogare i nuraghi. Lo facevamo nel tempo libero – ricorda Ranieri – ma siamo comunque riusciti a indagarne 120 tra Sarcidano, Trexenta e Marmilla». Un numero sufficiente a mettere in mostra una serie di similitudini: «Erano tutti collassati sul lato esposto a sud-est, dove ci sono gli ingressi. Quella è anche la parte più fragile – continua il geofisico – insieme al termine della tholos, la cupola. E non credo che fosse un caso, perché in Sardegna il vento dominante è il maestrale, che arriva da nord-ovest. Quindi a causare la rovina dei nuraghi potrebbe essere stato un evento o una serie di eventi meteorologici di grande forza». Secondo Ranieri, la teoria dello tsunami non starebbe in piedi: «Perché si sarebbero trovate le tracce dell’evento scatenante, cosa che non è accaduta».

Dunque, i responsabili potrebbero essere stati fenomeni meno impattanti ma comunque violenti: «Abbiamo fatto alcune simulazioni, ipotizzando venti molto forti, come quelli di un uragano, che possono raggiungere i 250 chilometri all’ora. Il risultato è che i nuraghi della simulazione collassavano nello stesso modo di quelli che abbiamo indagato sul campo». Restano due zone d’ombra, una è legata alle cause di questi eventi estremi, l’altra alla datazione: «Difficile dire con certezza quando possa essere accaduto – dice Ranieri –. L’unica cosa assolutamente certa, ritornando a Mont’e Prama, è che la zona di Cabras e molto esposta ai venti di maestrale, che ancora oggi creano problemi. E non stiamo certo parlando di uragani. Per il resto, invece, non abbiamo potuto fare altro che affidarci agli studi degli specialisti di questo campo».

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I dati Così Ranieri è riuscito a unire i puntini che oggi formano la sua teoria: «Oltre agli studi del climatologo Cliff Harris, dell’Università dell’Illinois, e del meteorologo Randy Mann, dell’Università di Melbourne, che hanno descritto un “rapido” passaggio dal caldo estremo al freddo estremo, tra i 3.600 e 3.100 anni fa. Ci siamo basati anche sulle deduzioni di Sturt Manning, della Cornell University, che ha pubblicato un articolo su “Nature” in cui spiega come le indagini isotopiche fatte sui tronchi degli alberi e sui loro anelli di accrescimento li abbiano condotti ad immaginare uno scenario simile a quello descritto da Harris e Mann, aggiungendo che questi eventi potevano verificarsi anche da un mese all’altro, sottoponendo il territorio a violente escursioni termiche». Dunque, non sarebbe azzardato dedurre la formazione di eventi climatici catastrofici: «Perché la Sardegna era quasi nell’occhio del ciclone – spiega Ranieri – da ovest arrivavano correnti freddissime, quasi polari, che sfruttavano la spinta atlantica. Da est si muovevano invece enormi masse di aria calda, direi torride, che ci sono state raccontate anche dalla Storia, perché è possibile che l’impero Ittita sia stato cancellato da un’enorme carestia che avrebbe reso la vita impossibile, soprattutto in quelle epoche. E qua, rifaccio una domanda: dove si trova Cabras? Proprio al margine della costa ovest, esposta alle prime reazioni dello scontro di questo tipo di “correnti” che potevano generare uragani di una forza spaventosa, in grado di radere al suolo strutture possenti ma anche primitive, come i nuraghi».

Rimane un altro aspetto da chiarire, perché le tracce di questi sconvolgimenti climatici sarebbero visibili solo nei crolli dei nuraghi, e magari anche nella distruzione delle ipotetiche città nuragiche: «All’epoca non c’era molto altro da distruggere. Il Mediterraneo è la culla della civiltà e se volessimo riscontrare i segni di questi enormi disastri naturali non potremmo cercare altrove». Dunque, a distruggere la civiltà nuragica, o perlomeno a confinarla nelle aree interne dell’isola, non furono le armi dei “conquistadores” ante litteram e nemmeno il grande tsunami del Mediterraneo: «Questo non posso dirlo, la mia è una teoria. Ma posso dire un’altra cosa: scoprirlo non è impossibile. Sarebbe sufficiente fare dei carotaggi sul fondo dello stagno di Cabras, dove ho rilevato la presenza di sei nuraghi, sperando di recuperare qualche fossile che possa darci una data certa», conclude Gaetano Ranieri.



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