Campania, De Luca ha in pugno Schlein (e il centrodestra può vincere) – Libero Quotidiano

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Fosse per lui, governerebbe fino quasi alla soglia dei novant’anni. Questo almeno secondo la legge regionale che si è inventato prima di Natale, che dà al presidente della Regione la facoltà di candidarsi per un terzo, e anche un quarto, mandato. Il Pd campano, malgrado quello nazionale sia da sempre per il tetto invalicabile dei due incarichi massimo, gli ha votato la norma, come ultimo atto di sottomissione al governatore sceriffo, più panza che sostanza come amministratore. In realtà sarebbe più corretto definirlo estremo atto di sottomissione, perché l’ultimo non è già più. I dem continuano a inghiottire bocconi amari, subire piccole umiliazioni da parte di Vincenzo De Luca, che alza sempre la posta con il partito di Elly Schlein, da prima che la signora ne diventasse segretaria, senza però mai pagare dazio.

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Ha scritto un libro auto-encomiastico, il governatore, e l’ha titolato “Nonostante il Pd”, come a dire che lui da solo basta e avanza e gli alleati che da sempre sostengono la sua maggioranza gli sono quasi d’intralcio, non fosse per i numeri. La prospettiva realistica però è un’altra. L’opera dovrebbe intitolarsi “Grazie al Pd”, che da dieci anni si fa strapazzare da questo suo vecchio, antico dirigenti di scuola bolscevica, il cui regno ha di fatto prodotto l’azzeramento dei dem in Campania; se non dal punto di vista numerico (alle ultime Amministrative 2020 il partito si è fermato sotto il 17%), da quello del peso politico.

 

Idem un paio di settimane fa hanno cacciato dal partito il presidente del Consiglio Regionale, Gennaro Oliviero, indomito alfiere del governatore, per una storia di tesseramenti fasulli. Tuttavia, tanto sono implacabili con tutti gli altri, quanto sono tolleranti con De Luca, che continua ad annunciare ai quattro venti di volersi ricandidare, malgrado i ripetuti veti di Schlein, e anche quelli di Stefano Bonaccini, che in teoria dovrebbe essere il suo capo corrente, e che ieri ha ribadito alla stampa che in Regione, due senza tre, come da regola rispettata anche da lui.

Entro quarantott’ore qualcosa potrebbe sbloccare l’impasse. Il governo con ogni probabilità ricorrerà alla Corte Costituzionale contro la deroga ai due mandati prevista dalla legge campana. Già il centrodestra, all’opposizione in Consiglio Regionale, è ricorso al Tar pochi giorni fa contro la norma, per questioni procedurali, chiedendo l’annullamento della legge perché approvata lo stesso giorno di quella sulla programmazione economica, ma i tempi della decisione del tribunale amministrativo sono lunghi. La Consulta invece potrebbe arrivare a sentenza in tempi relativamente rapidi, sebbene oscuri: dai 60 giorni ipotizzati dagli ottimisti ai dieci mesi messi in conto dai realisti.

Che farà De Luca, in caso di ricorso? Circola sempre più insistente, a Napoli, la voce che il governatore provocherà una crisi della propria maggioranza per bruciare tutti sul tempo e andare al voto a primavera, prima del verdetto. Sarebbe una mossa che spaccherebbe inevitabilmente la sinistra e apparecchierebbe uno scenario con tre candidati: il presidente uscente contro l’esponente del campo largo progressista e quello del centrodestra. Fdi, Lega e Forza Italia già si fregano le mani alla sola idea che questo avvenga, ma gli osservatori più attenti sostengono che la battaglia per Giorgia Meloni e alleati sarebbe tutt’altro che vinta in partenza. Lo sceriffo viene dal Partito Comunista, ma non è uomo di sinistra da un pezzo. Più che un governatore rosso, egli è diventato il vertice di un sistema di potere capace di raccogliere consensi ovunque, tant’è che nel 2020 ha vinto con il 69,4% dei consensi, contro il modesto 18% raccolto da Caldoro, il candidato del centrodestra. Le sue liste sono un crogiuolo di mestieranti passati decine di volte da una parte all’altra; navigatori, nessuno dei quali mai tentato da derive estreme.

Se dovesse correre in solitaria, sfidando i due poli, il governatore infarcirebbe la sua squadra, oltre che di fedelissimi, e negli anni sono diventati tanti, di progressisti alla Renzi e di uomini culturalmente affini al centrodestra. Il Pd, alleato con M5S, risponderebbe buttandosi a sinistra ma non ha uomini particolarmente forti o rappresentativi sul territorio, perché quelli che contavano se li è presi tutti De Luca negli anni. Quindi, poiché in Campania c’è il voto disgiunto e don Vincenzo è candidato forte, il suo nome potrebbe attrarre più l’elettorato moderato di centrodestra piuttosto che quello che a sinistra si riconosce in Schlein o nei grillini. Anche le sue liste peraltro sarebbero forse più idonee a pescare tra gli ex berlusconiani piuttosto che tra i sostenitori delusi di M5S, formazione politica della quale il presidente ha sempre detto peste e corna.

Illuminante a riguardo la vicenda di Pino Bicchielli, deputato di origine salernitana di Noi Moderati, che alle Politiche del 2022 ha vinto il suo collegio uninominale malgrado diciotto Comuni su venti, Salerno e i suoi 126mila abitanti inclusi, siano governati dal Pd, mentre uno solo, di cinquemila anime, è guidato da una giunta di centrodestra. La prova che in Campania larga parte dell’elettorato di centrodestra vota De Luca. Mentre lo sceriffo sembra giocare a carte scoperto, quello che non si capisce è la strategia del Pd, che puntualizza, si logora nel tentativo di logorare, mette i paletti, ma non sfida il presidente.

È opinione comune che i dem si crogiolino nell’illusione di riuscire a far fare a Don Vincenzo il passo indietro che in Puglia ha fatto Michele Emiliano, l’altro cacicco meridionale al quale Schlein ha dichiarato guerra dal primo giorno del suo mandato, che alla fine ha deciso di non ricandidarsi e si vedrà cosa otterrà in cambio. A Roma qualcuno è convinto che il Nazareno la spunterà perché tiene in ostaggio l’onorevole Pietro, il figlio di De Luca, che Elly, tra le prime mosse da leader, declassò dal ruolo di vicepresidente del gruppo parlamentare a quello di segretario. A Napoli però, tutti si fanno una grande risata al pensiero che qualcuno possa credere che il governatore accetti di ritirarsi, magari candidandosi l’anno prossimo a sindaco di Salerno, per uno storico ritorno nella città che ha amministrato per quasi vent’anni, in cambio di un seggio sicuro per il suo erede al prossimo giro di giostra delle Politiche. Pie illusioni, è il commento più delicato a riguardo.

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Un colpo a sorpresa però, che rompa la sua indolenza campana, il Pd sembra che lo stia studiando. Logica e geometria della politica vorrebbero che il campo largo destinasse la Regione ai grillini. L’ex presidente della Camera, Roberto Fico, sta scaldando i motori e blandendo Giuseppe Conte da un anno almeno, all’idea di candidarsi. Altro nome che potrebbe uscire dal cappello a Cinque Stelle è quello di Sergio Costa, vicepresidente della Camera ed ex ministro dell’Ambiente, pure lui napoletano e un tantino più presentabile.

Non tutto potrebbe però filare così liscio per i pentastellati. I sondaggi infatti dicono che, con Fico candidato, il campo largo sarebbe sconfitto. E allora ecco il terzo papabile, più gradito dai dem ma che sarebbe accettato in casa grillina, il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che libererebbe il Comune per l’ex presidente della Camera. La guida dell’Anci, che il primo cittadino in carica ha assunto di recente, parrebbe però allontanare l’ipotesi. Piuttosto però che tornare su Fico, che verrebbe comunque risarcito con Piazza Municipio, il Pd proverebbe a puntare su qualcun altro, magari un candidato civico, un nome comunque già individuato, tenuto rigorosamente coperto per non bruciarlo.

Quanto al centrodestra, sta alla finestra, in attesa di capire se davvero la sinistra si dividerà; perché se De Luca non rompe, per Fdi e alleati non c’è partita. Il nome vincente c’era, ed era quello di Gennaro Sangiuliano, idolo di casa e la cui popolarità in Campania non è stata intaccata dalla vicenda che ne ha comportato le dimissioni da ministro della Cultura. Però la strada non è più percorribile, è passato troppo poco tempo. È pronto l’europarlamentare Fulvio Martusciello, ma è di Forza Italia, che già governa in cinque Regioni, quattro delle quali meridionali, e complicherebbe gli equilibri tra i partiti della maggioranza. Fdi ha pronto l’onorevole Edmondo Cirielli, viceministro agli Affari Esteri, già presidente della Provincia di Salerno e padre dell’omonima controversa legge in materia di diritto penale, che il suo autore sconfessò dopo che venne modificata. Ma è una candidatura da spendere solo in caso di concrete possibilità di vittoria.

 

 

 

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