Da eroi a farabutti. E’ stato brusco e traumatico, il passaggio dagli altari alla polvere di medici, infermieri e personale sanitario: portato in palmo di mano durante l’esplosione del Covid dal popolo delle terrazze, lodato sperticatamente dalla politica, promosso a pieni voti dalla società.
Oggi, di loro si parla per le aggressioni ormai seriali cui vengono sottoposti; e delle quali si sono registrati urticanti episodi anche in questi giorni nel Padovano, da Abano a Cittadella. I numeri dell’apposito Osservatorio Nazionale sul fenomeno non lasciano adito a sottovalutazioni di sorta: nel dopo Covid, gli episodi sono aumentati del 30 per cento, e oltretutto sono in continuo aumento. Nell’ultimo anno per cui si dispongono i dati completi, il 2023, le segnalazioni giunte da tutta Italia sono 16mila; più il sommerso.
Le cifre in Veneto e Friuli Venezia Giulia
Il Nord Est concorre in notevole quota parte a questa Caporetto della salute. In Veneto, a settembre le aggressioni erano arrivate a sfiorare le 1900, e se questo trend è continuato come pare il bilancio del 2024 chiuderà a 2500, superando il livello raggiunto nel 2023, quando si era arrivati a 2229. In Friuli Venezia Giulia si arriva vicino ai 500 casi. In prima linea sono i pronto soccorso, i più esposti, diventati un autentico Far West della sanità: in Veneto nell’anno appena concluso si sono registrati in media sette aggressioni a settimana, come dire una al giorno. Nella stragrande maggioranza dei casi, le violenze si sono verificate nelle strutture pubbliche.
La risposta a questa deriva è arrivata con la nuova legge che inasprisce le pene a carico degli aggressori: sicuramente valida, ma insufficiente. Non si può contrastare efficacemente il fenomeno solo militarizzando gli ospedali, né si può fare affidamento sul pur esemplare impegno delle forze dell’ordine.
Occorre una vasta, capillare campagna di educazione civica che valga ad arginare la marea di minacce, percosse, vandalismi, insulti, perfino violenze a mano armata messe in atto da troppi pazienti e dai loro familiari: indice di una deriva civile e sociale in atto ormai da ben prima del Covid, e che fa leva sulla logica aberrante del “prima io”: in base alla quale il mio raffreddore è più importante del tuo tumore, ed ha la priorità.
Guai a te se non mi guarisci
Il murale di Codogno con la Wonder Woman anti Covid
Non soltanto. Da anni si è venuta affermando una non-cultura della centralità dell’individuo, che tende a negare la sofferenza e la morte stessa: con la pretesa di non ammalarsi, o se accade di essere comunque guariti. E se questo non accade, ce la si prende con chi dovrebbe curarti. Per questo occorre un’azione di larga portata che aiuti a capire, e soprattutto ad accettare, che la vita è limitata in tutti i sensi: soffrire, e alla fine morire, fa parte di un percorso inevitabile, che non si può contrastare solo con i farmaci; quello che si può e si deve fare è invece un’azione di accompagnamento che aiuti la persona sofferente e chi gli sta attorno, troppo spesso lasciati completamente soli a gestire eventi traumatici.
Alla guerra degli ospedali concorrono anche altri fattori: a partire dalla stessa organizzazione sanitaria, che ha aumentato a dismisura i carichi burocratici dei medici, a scapito del rapporto col paziente: negli uffici delle Usl prevale la logica dei numeri da esibire a fine anno, dimenticando che la comunicazione col paziente rientra a pieno titolo nel percorso di cura. A questo si accompagna un impianto strutturale che relega a un ruolo marginale la medicina del e nel territorio, scaricando carici di lavoro sulle realtà ospedaliere, a partire dai pronto soccorso: tanto più deleterio in una società in cui la vita media si allunga e aumentano gli anziani, con i relativi bisogni.
Vinco la causa, mi paghi solo dopo
C’è infine un ultimo fattore devastante da segnalare, in Italia apparso di recente, ma già diffuso da tempo negli Stati Uniti: la propaganda direttamente dentro gli ospedali o negli immediati paraggi di studi legali che offrono consulenza in caso di problemi con i pazienti, aggiungendo che il pagamento avverrà solo in caso di successo della causa.
E’ una pratica apertamente condannata dal Consiglio Nazionale Forense, e che va ad incentivare un clima di conflitto tra cittadini e sanità, facendo strame di quello che dovrebbe essere un rapporto di piena fiducia. Monetizzare perfino la salute è l’ennesimo vulnus a un clima sociale in cui la persona viene vista solo come oggetto: per la quale la terapia si riduce a quella dei soldi. L’eccesso di quell’”auri sacra fames” denunciata già duemila anni fa da Virgilio: l’esecranda bulimia di denaro, autentico Covid sociale.
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