Perché il sistema industriale italiano è di una bellezza e di una forza uniche al mondo e innova in modo originale

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


di ANTONIO GOZZI

Da mesi, a fronte del piagnisteo praticato da più parti sulla situazione dell’industria italiana, e in particolare di taluni settori, forse anche per strumentalizzazione politica, mi sforzo di spiegare che una rappresentazione negativa dell’industria del nostro Paese è profondamente sbagliata.

Continuo a sentir ripetere, anche in sedi di rilievo e da protagonisti autorevoli, la parola ‘crisi’, e vedo fare una grande confusione tra dato congiunturale e struttura. Ciò non giova alla comprensione e rappresentazione della situazione reale, che al contrario vede l’industria italiana, con le sue caratteristiche e specificità, essere la più vitale d’Europa, come ci sentiamo ripetere da mesi anche da tedeschi e francesi.

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Certo non si può non essere preoccupati per la fase di grave declino dell’economia e dell’industria europea all’interno della quale siamo immersi, per il declino demografico, per lo scollamento generazionale, per l’ipertrofia delle pubbliche amministrazioni, a partire da quella Comunitaria, preoccupata più di regolare che di innovare: tutti fattori che avranno influenza anche sul futuro dell’Italia.

Ma se si esaminano da vicino i dati, in particolare quelli dell’export e dell’occupazione, dell’estrema diversificazione del nostro tessuto industriale, della sua capacità di innovazione e delle sue straordinarie eccellenze, si ha della nostra realtà industriale una rappresentazione ben più positiva, che deve diventare narrazione e farsi impegno del sistema Italia tutto a recitare un ruolo da protagonista nel contesto europeo.

Il nostro sistema industriale ha infatti caratteristiche di originalità uniche al mondo, che ne fanno probabilmente un caso irripetibile. Quando dico queste cose spesso mi sento accusato di eccesso di ottimismo, di scarso spirito critico, di partigianeria confindustriale.

Per questa ragione voglio proporvi una visione terza, di un intellettuale e docente universitario, un esperto di innovazione, che per i titoli della Luiss ha pubblicato un libro interessantissimo, che consiglio a tutti. Si tratta di “Eppur si innova. Viaggio alla ricerca del modello italiano”, Roma 2022, di Luca De Biase.

Di questo libro riporto l’introduzione al capitolo secondo, ‘Le radici del modello italiano’, perché in maniera impareggiabile descrive ciò che penso e che sento.

“Un viaggio in questo Paese è anche un viaggio in territori che mostrano indomite e inattese capacità di innovare, in forme che hanno il difetto di non assomigliare molto a quelle che si danno altrove. Da noi si fanno robot e biotecnologie. Si studiano le neuroscienze e l’intelligenza artificiale. Si lavora per le opportunità della nuova economia dello spazio e si fa agricoltura avanzata. Si realizzano prodotti di consumo di altissima qualità, di origine artigiana ma potenziati con eccellenze nel design a livello mondiale e un’ingegneria che non teme concorrenza.

Si fa ricerca sulle frontiere e si incominciano a intravedere startup che conquistano l’attenzione globale. Dall’alto delle Dolomiti si può guardare lo stivale e le luci dell’innovazione si vedono un po’ ovunque. Nelle città metropolitane e nei borghi. Nelle valli meno connesse e di fronte al mare aperto. Verrebbe voglia di nominare queste realtà brillanti a una ad una e i brand che le sintetizzano. Un po’ di nomi si incontreranno nel corso di questo libro, ma ne mancheranno sempre molti altri. E non ci si può che scusare per ciò che non verrà ricordato. Servirebbe una descrizione che va dalla geografia alla società, dalla tecnologia all’economia, dalla cultura all’arte alla scienza, senza specializzazioni in una chiave olistica, per non dire rinascimentale.

Una sovrapposizione della cartina dell’Italia della bellezza e della cartina dell’Italia dell’innovazione potrebbe riservare sorprese straordinarie.

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Almeno spiegherebbe come possa avvenire che l’innovazione continui a svilupparsi anche in luoghi decentrati e non tali, all’apparenza, da consentire alle aziende di inserirsi in meccanismi sistemici per l’attrazione di talenti e di capitali. Emergerebbe un panorama unico. Forse, appunto un modello di innovazione molto particolare. Esserne consapevoli potrebbe rafforzare la conoscenza degli italiani che sono protagonisti di quella strana, diversificata, innovazione: perché le parole creano consapevolezza e la consapevolezza rafforza la fiducia e la fiducia attrae, soprattutto investimenti e talenti”.

Nella breve sintesi del pensiero di Luca De Biase c’è un tema che sta al centro della specificità italiana e del suo successo: noi non siamo riducibili al modello di business dominante anglosassone, delle grandi corporation manageriali, della finanziarizzazione spinta, della concentrazione e delle economie di scala.

Noi siamo un intreccio inestricabile di piccole e medie imprese soprattutto familiari, di filiere guidate da imprese più grandi, di innovazione, di territori. Questo modello così atipico performa e attrae sempre di più capitali anche dall’estero.

Bisogna proteggerlo, capirne i punti di forza e i vantaggi competitivi e le loro sorgenti, che vanno difesi con le unghie e con i denti, bisogna diffonderlo e farlo conoscere per quello che è: uno straordinario strumento di creatività e inclusione sociale.

Bisogna farlo con orgoglio e creatività, consapevoli di essere un grande Paese.



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