Starlink è necessità in Italia, ma dobbiamo tutelarci: ecco come

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Tra le principali applicazioni della cosiddetta “new space economy” rientra a pieno titolo la comunicazione satellitare, il cui mercato globale dovrebbe più che quadruplicare entro il prossimo decennio, soprattutto grazie alla crescente necessità di superare il digital divide tra aree rurali – o comunque difficilmente raggiungibili tramite la connettività via cavo – e urbane.

Così come per la gestione di emergenze o comunque di situazioni nelle quali la connettività convenzionale assicurata da reti terrestri e cavi sottomarini potrebbe rendersi indisponibile oppure non essere sicura per determinati scopi.

In questo scenario, si colloca il dibattito che si è acceso negli ultimi giorni nel nostro Paese circa la conclusione (poi smentita ufficialmente da Palazzo Chigi) di un accordo del valore di 1,5 miliardi di euro tra il Governo italiano e la società americana Starlink, avente ad oggetto la fornitura di servizi di comunicazioni sicuri via satellite da impiegare in campo militare e diplomatico o in situazione di emergenza.

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Naturalmente, l’esposizione politica del fondatore, CEO e principale azionista di SpaceX, di cui Starlink è una filiale, Elon Musk, ha determinato una ridda di polemiche basate spesso su una lettura strumentale e ideologica della situazione in campo. Il che non aiuta a capire la posta in gioco e un’eventuale roadmap da sviluppare nell’interesse del Paese, al di là delle affinità elettive di turno.

E’ utile pertanto mettere a confronto i servizi offerti da Starlink con eventuali strumenti alternativi e quali vantaggi potrebbe garantire il loro utilizzo e a quali condizioni dal punto di vista dello Stato italiano.

L’Europa e i satelliti a bassa orbita

Negli ultimi anni anche l’Unione Europea sta muovendo passi importanti in questo settore, con particolare attenzione per le costellazioni satellitari in orbita bassa (LEO). Quest’ultima è oramai tendenzialmente preferita alle altre – come la più tradizionale orbita geostazionaria (GEO) – per i risultati raggiunti in termini di riduzione della latenza e del costo del servizio per l’utente finale, sia esso civile o istituzionale.

Iris2

Per questi motivi, l’UE sta avanzando, in partnership col settore privato e l’ESA (European Space Agency), verso la realizzazione del programma spaziale denominato “IRIS²”, nell’ambito del quale l’Italia giocherà un ruolo di primo piano gestendo uno dei tre centri di controllo della nuova costellazione di connettività sicura europea.

Tale programma è stato approvato con il Regolamento (UE) 2023/588 a valere sui fondi del quadro finanziario pluriennale dell’UE 2021-2027 (per una cifra di circa €3 miliardi), con l’obiettivo di assicurare una quota rilevante anche sulla programmazione successiva (2028-2035). L’Italia partecipa con 750 milioni di euro.

Il costo complessivo, che ricomprende sia le infrastrutture in orbita, sia a terra, è stimato in €10,6 miliardi, di cui €6,5 miliardi provenienti da fondi pubblici – tra cui €550 milioni messi a disposizione dall’ESA – e oltre €4 miliardi provenienti dal comparto privato, con un ruolo cruciale affidato al consorzio di operatori europei denominato “SpaceRISE”, il cui contratto di concessione della durata di 12 anni è stato finalizzato lo scorso mese.

L’obiettivo sta nel mettere in orbita circa 290 satelliti, distribuiti prevalentemente nell’orbita bassa (LEO) e in minor misura nella media (MEO), così da garantire servizi di connettività sicura per gli Stati Membri e le autorità governative, come pure una connessione performante per cittadini e imprese in UE, con particolare attenzione per quelle aree non coperte adeguatamente via cavo.

La piena operatività di IRIS² era stata inizialmente prevista per il 2027 ma, complice anche la crisi dei lanciatori europei, i primi satelliti saranno messi in orbita non prima del 2029, mentre la costellazione dovrebbe essere completata dopo il 2031 (al momento non è disponibile una timeline ufficiale).

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Govasatcom

Nel frattempo, quantomeno a beneficio delle autorità governative (civili e militari) dei singoli Stati Membri e dell’UE, si punta a rendere operativo il programma spaziale Govsatcom – istituito nel 2021 – già nell’anno in corso. Si tratta di un’iniziativa – avente una dotazione inferiore ai €400 milioni – per garantire l’accesso a comunicazioni satellitari sicure, le quali risultano sempre più utili in situazioni che possono minare in maniera significativa i sistemi di comunicazione terrestri come nel caso di disastri naturali, pandemie, cyberattacchi su larga scala, situazioni di instabilità e conflitti armati. Rispetto a IRIS², il programma Govsatcom non porta con sé – almeno in questa prima fase – la realizzazione di un’infrastruttura ad hoc in orbita, bensì si fonda sul mettere in campo un sistema comune delle capacità e dei servizi già disponibili a livello nazionale, aggregando il tutto tramite appositi hub per collegare gli utenti governativi con i centri operativi in maniera rapida e sicura (si parla, quindi, di “un sistema di sistemi” di comunicazione satellitare). In quest’ottica, le capacità di Govsatcom saranno integrate da quelle di IRIS² una volta a regime, come previsto esplicitamente dal relativo regolamento istitutivo.

Il progetto italiano

A dicembre 2024, l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ha ricevuto dal Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio (Comint) l’incarico di sviluppare uno studio di fattibilità per una costellazione nazionale di satelliti in orbita bassa dedicata alle telecomunicazioni sicure.

Questa rete mira a garantire comunicazioni criptate per la Difesa e altri usi civili, con particolare attenzione alla copertura del Mediterraneo allargato. Lo studio dovrebbe essere completato entro l’estate del 2025.

Sappiamo che sempre in low orbit è in corso un altro progetto italiano, Iride, per l’osservazione della terra.

Se per un verso la differenza tra il sistema messo in piedi da Starlink rispetto al programma europeo Govsatcom è abbastanza immediata, poiché quest’ultimo non prevede – come accennato, almeno in una prima fase – la messa in orbita di un’infrastruttura satellitare ad hoc, la questione è leggermente diversa per IRIS².

Innanzitutto, da un punto di vista tecnico la costellazione europea è pensata – quantomeno in prima battuta – per coprire il vecchio continente, a differenza di Starlink (o della costellazione Kuiper di Amazon, così come della cinese Qianfan che ne rappresentano in prospettiva i due principali competitor a medio termine) che mira a fornire un servizio di connettività in tutto il globo.

Nonostante ciò, salta subito all’occhio come vi sia una differenza importante in termini quantitativi: 290 satelliti complessivi per IRIS² e non meno di 12 mila (già autorizzati) per Starlink, di cui oltre 6850 già operativi in orbita, e altri 30mila in via di autorizzazione.

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Inoltre, i satelliti di IRIS² saranno suddivisi tra orbita bassa e media, con il fine di ottenere i vantaggi dell’una (latenza, ridondanza) e dell’altra (copertura geografica, vita dei satelliti), mentre quelli di Starlink sono predisposti essenzialmente per l’orbita bassa (attualmente intorno ai 550 km sopra la superficie terrestre ma è stato chiesto un abbassamento a 340-360 km), il che risulta ottimale se si vuole garantire un servizio performante a bassa latenza e senza soluzione di continuità – a patto di avere un adeguato quantitativo di infrastrutture in orbita – e che sia altresì resiliente in caso di guasti o interruzioni del servizio dovute a cause di altro tipo.

Satellitare per emergenza, integrazione con altri sistemi

A questo punto, appare opportuno soffermarsi sugli altri strumenti – anche diversi dalla tecnologia satellitare – utilizzabili in situazioni di emergenza in campo civile e militare.

Innanzitutto, va preso atto che in queste ipotesi (alluvioni, terremoti, situazioni di instabilità interne, conflitti armati), le infrastrutture critiche a terra (o in mare) sono decisamente più esposte a danneggiamenti imputabili a cause naturali e azioni umane di sabotaggio, come dimostrano i diversi episodi che hanno colpito i cavi sottomarini negli ultimi anni. Pertanto, il ricorso alla connettività via cavo o al 5G con frequenze dedicate appositamente alla situazione di emergenza del caso di specie non può costituire l’unico mezzo a disposizione.

In quest’ottica, la NATO ha recentemente dato il via al progetto HEIST (“Hybrid Space and Submarine Architecture to Ensure Information Security of Telecommunications”) che, oltre a rafforzare il rilevamento di anomalie e interruzioni ai cavi sottomarini, mira a reindirizzare rapidamente il traffico dati verso i satelliti disponibili, così da garantire la continuità delle comunicazioni sia in ambito civile che militare. Peraltro, almeno allo stato attuale, è indubbio che le attività malevole di natura fisica o cyber nello spazio extra-atmosferico siano meno frequenti di quelle a terra o in mare e in ogni caso sia più agevole portare a termine un’attribuzione di responsabilità per gli incidenti verificatisi in orbita.

In questo scenario, appare certamente incoraggiante che il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di economia dello spazio” (ddl spazio), attualmente all’esame della Camera dei Deputati, preveda all’art. 25 la costituzione di una riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari da attivare in situazioni critiche o di indisponibilità delle principali dorsali di interconnessione delle reti terrestri, con l’appunto che sia composta da costellazioni gestite esclusivamente da soggetti UE o NATO.

Allo stesso tempo, l’utilizzo di sistemi TETRA (Terrestrial Trunked Radio) non si presta agevolmente a situazioni critiche o di soccorso in aree remote o in alto mare, poiché ha bisogno di una stazione base terrestre nelle vicinanze, la quale potrebbe essere stata danneggiata a sua volta dall’evento specifico per cui si sta intervenendo. Per di più, rispetto ai satelliti, tali sistemi sono caratterizzati da una copertura più limitata, il che li rende ottimali più che altro per ambienti circoscritti localmente e con un numero ridotto di utenti da supportare.

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Sicral

Tornando al nostro Paese e all’ambito satellitare, si potrebbe obiettare che l’Italia abbia già a disposizione un’infrastruttura satellitare per questa tipologia di situazioni grazie al sistema SICRAL (Sistema Italiano per Comunicazioni Riservate e Allarmi), che dal lontano 2001 garantisce l’interoperabilità tra le reti della Difesa e degli altri attori istituzionali della sicurezza pubblica e dell’emergenza civile. Questo è attualmente costituito da 2 satelliti (Sicral 1B – 2009 e Sicral 2 – 2015), mentre nel 2021 si è dato mandato a Telespazio e Thales Alenia Space di realizzare due ulteriori satelliti. In ogni caso, si tratta di infrastrutture operanti in un’orbita molto più distante dalla superficie terrestre, situata a 36 mila chilometri di altezza, il che – come accennato precedentemente – si traduce in una latenza maggiore, oltre a una copertura geografica e bande limitate, come ha sottolineato lo stesso Ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel corso del question time alla Camera dei Deputati dello scorso 8 gennaio.

In questo contesto è da tenere in considerazione anche che, a partire dallo scorso 6 giugno, i servizi satellitari di Starlink sono stati inclusi nel portafoglio commerciale di Telespazio, la joint venture tra Leonardo e Thales, il che dovrebbe rendere evidente come la società di Musk sia stata ritenuta affidabile da una società facente di uno dei gruppi di riferimento per il settore spaziale nazionale ed europeo. Peraltro, i sistemi Starlink sono già stati utilizzati in una di quelle ipotesi che sarebbero ricomprese nell’accordo citato dalle notizie di stampa e nel comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri degli scorsi giorni.

Difatti, a seguito dell’alluvione che colpì l’Emilia-Romagna a maggio 2023, il gruppo Unipol – col supporto della partecipata regionale Lepida ScpA – ha fornito ai territori che versavano nelle condizioni più critiche (provincia di Ravenna e collina da Ravenna a Rimini) oltre 100 terminali Starlink da destinare ai cittadini e alle autorità locali per garantire una connessione stabile a Internet in ospedali, uffici pubblici e scuole, come pure in quelle zone in cui si trovavano gruppi di cittadini isolati o sfollati.

Al momento, dunque, non si può non evidenziare l’enorme vantaggio attuale, in termini tecnologici e di capillarità di Starlink, in attesa che altri operatori pubblici o privati oppure pubblico-privati possano colmarlo o più realisticamente avvicinarvisi. L’Italia può scegliere nel medio-lungo termine di perseguire programmi nazionali o (decisamente meglio) europei per favorire questo avvicinamento ma nella migliore delle ipotesi saranno necessari molti anni perché questo possa avvenire (con possibilità di insuccesso o quantomeno di parziale successo che sono comunque piuttosto elevate).

Appare dunque realistico assicurarsi almeno soluzioni ponte che traguardino il 2030 e che poi, a seconda degli scenari, possano essere alla scadenza rinnovate oppure sostituite da tecnologie alternative (nella più rosea delle ipotesi made in Italy o made in Europe). Naturalmente, come diremo alla fine, il modo in cui lo si fa non è irrilevante ma è parte essenziale della soluzione al problema oggettivo di cui non possiamo negare l’esistenza.

Caso ben distinto da quello fin qui ipotizzato (comunicazioni sicure per il personale civile e militare dello stato e/o in situazioni di emergenza pubblica) è quello dell’eventuale uso delle tecnologie satellitari (e dunque ancora di Starlink, che al momento ne è di fatto il monopolista) per connettere alcune aree remote del Paese (a beneficio principalmente di cittadini e imprese).

A questo riguardo, si è ipotizzato di destinare alcune risorse del Piano Italia a 1 Giga, che utilizza 3,65 miliardi di euro di fondi PNRR e la cui tabella di marcia, quantomeno in una prima fase, ha fatto registrare ritardi significativi. Dunque, il pensiero di qualcuno è che in questa maniera si potrebbe concentrare il lavoro dei due soggetti attuatori del Piano, Fibercop e Open Fiber, sui traguardi più raggiungibili e per i quali ha più senso assicurare connettività attraverso la fibra ottica (c’è peraltro un’ovvia correlazione tra i due aspetti), lasciando a Starlink il compito di connettere le aree più remote. Il ragionamento, che a una prima impressione potrebbe apparire sensato (posto che davvero i traguardi annunciati siano davvero irrealizzabili nelle tempistiche attese), si scontra però con due grossi ostacoli. Innanzitutto, si devierebbero risorse spettanti a Fibercop e Open Fiber, in base a gare regolarmente svolte. Peraltro con un danno anche per lo Stato, che è azionista di entrambe le società.

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Inoltre, all’Europa era stato promessa una velocità di connessione che i servizi di Starlink non assicurerebbero, non andando per ora oltre i 150 Mbit/s. Dunque, a parità di spesa, che grava su fondi europei, si garantirebbe un servizio inferiore rispetto allo standard inizialmente garantito.

Nel frattempo, qualcosa si sta già muovendo a livello territoriale, lo scorso 3 dicembre la Giunta regionale della Lombardia ha approvato una delibera contenente l’accordo di collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la Trasformazione Digitale per la realizzazione di uno studio innovativo sulle performance di reti ibride per l’erogazione dei servizi di banda ultra-larga. In particolare, l’accordo – dal valore di 6,5 milioni di euro – prevede l’avvio di un programma sperimentale in Lombardia per integrare soluzioni di connettività satellitare e terrestre in aree remote. Facile ipotizzare che Starlink sia l’ovvio candidato per integrare questo tipo di soluzioni.

Allo stesso tempo è da registrare la dichiarazione ufficiale del Sottosegretario Butti, che riferendosi alla domanda di una giornalista nella conferenza stampa del premier Meloni dello scorso 9 gennaio, ha ribadito che “la spina dorsale della connettività ad alta velocità in Italia resta e resterà la fibra ottica” aggiungendo che “il satellite è uno strumento aggiuntivo per accelerare il processo di digitalizzazione laddove necessario”. Una prospettiva dunque più complementare che sostitutiva, che peraltro si può anche rinvenirenel “Piano strutturale di bilancio di medio termine. Italia 2025-2029”, nella parte in cui recita: “Il Governo intende incentivare e sostenere reti per telecomunicazioni sicure e resilienti, mediante la costituzione di un IPCEI da presentare alla Commissione, al fine di supportare l’integrazione tra le reti terrestri e reti satellitari”.

Un bilancio

In definitiva, al di là delle possibili simpatie o antipatie ideologiche o caratteriali verso Elon Musk e anche prescindendo dall’episodio che ha riguardato il diniego alle forze armate ucraine di utilizzare i servizi di Starlink per operazioni in territori occupati dai russi (nel caso specifico, la Crimea), che pure sono stati citati a nostro avviso strumentalmente e a sproposito per attestare una presunta inaffidabilità della società americana, è bene distinguere i due casi principali di applicazione dei servizi di Starlink (ambito govsatcom e connettività B2C e B2B).

  • Rispetto al primo, sebbene un possibile futuro affidamento delle comunicazioni governative e militari di un Paese sovrano (e strategico) come l’Italia in capo a una società extra-europea (seppure riferibile a un Paese alleato e facente parte della NATO) richiami questioni da non sottovalutare in termini di sovranità e indipendenza tecnologica, è pur vero che in situazioni critiche ed emergenziali, almeno per il momento, non pare palesarsi all’orizzonte una soluzione alternativa che permetta di coprire bene le aree marine e sopperire ad anomalie o sabotaggi significativi delle reti terrestri e sottomarine. Sulla base di queste premesse, è indubbio che lo standard più alto oggi disponibile nel settore delle comunicazioni satellitari sia detenuto da Starlink. Questo evidentemente non significa che non si debbano rispettare le normali procedure previste per l’aggiudicazione del contratto e non esenta (semmai il contrario) dal rispettare criteri di trasparenza. Che non devono riguardare solo i termini effettivi del contratto ma anche la strategia complessiva del Governo di medio e lungo termine rispetto ai programmi europei o nazionali avviati o ipotizzati. Peraltro, un eventuale contratto con Starlink potrebbe contenere clausole di trasferimento tecnologico o quantomeno di promozione della filiera industriale italiana.
  • Discorso diverso riguarda invece l’uso delle tecnologie satellitari in ambito telco. Qui, oltre agli ostacoli evocati rispetto ad un eventuale inserimento last minute nel Piano Italia a 1 Giga, siamo in presenza di un mercato competitivo di servizi nei quali si colloca con una propria offerta commerciale rivolta a privati la stessa Starlink. Dunque, se da un lato è utile favorire la concorrenza non solo tra operatori ma anche tra tecnologie diverse (che dunque meglio completano le differenti caratteristiche dell’offerta e della domanda), dall’altra è compito dell’attore pubblico non distorcerla, favorendo un operatore rispetto a un altro. Peraltro, mentre Fibercop e Open Fiber sono soggetti wholesale, Starlink si rivolge (anche) al mercato retail.

In ogni caso, anche qui la forma è sostanza e dunque qualsiasi coinvolgimento in programmi finanziati da fondi pubblici (europei, nazionali o regionali) deve necessariamente passare da procedure trasparenti e conformi alle leggi. Al di là di come la si pensi su Musk.



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