Uccise il figlio «Tita», perché Paolo Corna è stato condannato al minimo. I giudici: «Droga e alcol, anni di esasperazione»

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di
Giuliana Ubbiali

L’uomo, 78 anni, nel settembre 2023 accoltellò il figlio in casa a Bottanuco, dopo l’ennesimo litigio perché voleva 20 euro. La Corte ha riconosciuto l’attenuante della provocazione «per accumulo» e l’ha condannato a 9 anni e 4 mesi

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Questa è la storia di un uomo che non ce l’ha fatta a liberarsi delle dipendenze, prima le droghe e poi l’alcol. E di un padre che, alla lunga, non ha più retto l’esasperazione e l’ha ammazzato. Nelle motivazioni della sentenza di condanna, la Corte d’Assise non giustifica Paolo Corna, 78 anni, di Bottanuco, per l’omicidio del figlio Giambattista, di 56. Spiega perché gli ha riconosciuto l’attenuante della provocazione. Non è poca cosa, perché ha ridotto di un terzo la pena di 21 anni (chiesta dal pm Letizia Aloisio) abbassata di un altro terzo per le attenuanti generiche: sono 9 anni e 4 mesi, il minimo.

Cos’è l’attenuante della provocazione «per accumulo»

Uno commette un fatto ingiusto, l’altro lo uccide. Qui la provocazione non ha una reazione immediata, come nella maggior parte dei casi, ma è «per accumulo» come ha sostenuto l’avvocato Barbara Bruni e ha riconosciuto la Corte della presidente Patrizia Ingrascì, a latere la giudice Anna Ponsero. Il 3 settembre 2023 Giambattista, «Tita» per tutti, chiese 20 euro ai genitori con cui viveva dopo averne già voluti altrettanti. Era domenica, nel fine settimana beveva parecchio, per questo motivo gli gestivano loro lo stipendio. Litigò con il padre, spinse la madre, andò in camera mettendola sottosopra. Sarebbe finita lì, forse, se il padre non avesse preso un coltello di 35 centimetri, 20 di sola lama, e lo avesse raggiunto, colpendolo tre volte all’addome. Lì per lì, forse, la provocazione non c’era, ma il ragionamento dei giudici è più ampio e parte dall’inizio della strada in salita di Giambattista e, di conseguenza, dei suoi genitori.




















































Le droghe dai 17 anni, a comunità, il matrimonio

Iniziò con l’alcol a 14 anni, con l’eroina a 17 , con la cocaina e le amfetamine a 20. Tentò di liberarsene in comunità, per sette anni. Una volta uscito, si sposò e diventò padre. Andò male anche con la moglie (nel 2014 patteggiò per maltrattamenti), entrambi persero la responsabilità genitoriale. Andò a vivere con il padre e la madre, facendoli tribolare. Al Serd non era costante. Lavorava alla Magnetti di Carvico dal 2017 e durante la settimana rigava dritto.

La chiamata ai carabinieri e l’allarme rientrato

Nel fine settimana, invece, se esagerava con il bere «perdeva il controllo», si legge nella sentenza. La madre raccontò che in una notte il figlio spese 2.000 euro con il bancomat. Per quel motivo erano i genitori a gestirgli lo stipendio. Quando gli negavano i soldi, reagiva con «urla, spintoni, danneggiamenti di mobili». Loro chiamavano le figlie (ne hanno tre), che correvano. Una volta, nel 2023, «Tita» prese per il collo una sorella. Paolo Corna e Giuseppina Verzeni, quel 3 settembre rivissero una scena già vissuta molte altre volte. Alle 15.15 chiamarono i carabinieri, quando arrivarono Giambattista dormiva nel letto. Verso sera, ripartì tutto daccapo, anche se ormai era sobrio. «Cretino», gli disse il padre. Lui lo prese per il collo. L’anziano impugnò un coltello (più piccolo di quello poi usato per uccidere) e lo inseguì. «Provaci a colpirmi, vediamo se ci riesci», lo sfidò il figlio. Il padre lo raggiunse, l’epilogo furono le coltellate. Giambattista era un uomo «allo sbando», si legge nella sentenza. 

«Aggressivo quando beveva»

Nel fine settimana, negli ultimi mesi esagerava con l’alcol e diventava «prepotente, irascibile e aggressivo» generando «nei due anziani genitori un vero e proprio stato di allerta e di paura». Quanto a loro «si può ragionevolmente ipotizzare che non solo non abbiano mai assistito come spettatori estranei e indifferenti al dramma familiare» ma che «con il trascorrere degli anni la loro resilienza e capacità di affrontare il problema si siano affievolite». 

«Esasperazione, paura, senso di totale solitudine»

La Corte cita che quel giorno, con «Tita» che dormiva, i carabinieri «avevano potuto unicamente costatare che la situazione era rientrata». La sera stessa, l’ennesimo episodio e «la consapevolezza che nulla le Forze dell’Ordine potevano fare per aiutare lui e sua moglie a gestire le intemperanze del figlio». Si accese la miccia, suscitando nell’imputato «quel sentimento di esasperazione, paura, impotenza, ineluttabilità e totale solitudine di fronte alla drammatica e dolorosa situazione familiare che lo ha portato a commettere il delitto».

«Il padre non era lucido»

All’arrivo dei carabinieri sembrò «freddo e distaccato» ma è un atteggiamento che «non deve trarre in inganno». L’anziano «versando in uno stato di profonda esasperazione e sofferenza emotiva non era affatto lucido, ed è stato sopraffatto dallo stato d’ira determinato dall’ennesimo comportamento prevaricatorio e vessatorio del figlio». Questo «seppure in quel momento Giambattista ha attuato solo aggressività verbale e qualche spintone».

L’imputato è ai domiciliari a casa con la moglie

Corna è ai domiciliari, a casa con la moglie. Può uscire per un’ora, ogni martedì. La Corte ha revocato il divieto di vedere altre persone, oltre ai familiari (con lui il giorno della condanna, 7 ottobre 2024). L’avvocato appellerà la sentenza, non in termini di pena ma sollevando l’incostituzionalità della norma che prevede l’ergastolo con una sorta di automatismo nei casi di omicidio tra padre e figlio. Non impugnandola, diventerebbe definitiva a febbraio e per Corna significherebbe andare in carcere.

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