L’attività fisica favorisce la formazione di nuovi neuroni e allontana il declino cognitivo. No alla solitudine: può innescare stress cronico e contribuisce all’innalzamento dell’infiammazione
Mantenere una mente sana e brillante è l’ingrediente chiave per invecchiare in salute e vivere a lungo. Ma come si fa a tenere lontane malattie neurodegenerative e a conservere una buona memoria anche quando si è avanti con l’età? Non esiste una sola strategia per mantenere in forma il cervello, ma un insieme di buone abitudini che, tutte insieme, concorrono all’obiettivo. La scienza continua a dimostrarlo con innumerevoli nuovi lavori. Il punto chiave è che mantenere la mente attiva e praticare regolarmente attività fisica allontana il declino cognitivo, contribuendo a mantenere più a lungo la capacità di pensiero. Una vita attiva stimola lo sviluppo compensatorio di nuovi neuroni, che iniziano a diminuire fra i 20 e i 30 anni (ne perdiamo all’incirca 100 mila ogni giorno).
Muoversi (e non è mai troppo tardi)
Lo si sente dire in continuazione: l’attività fisica è fra le scelte migliori che si possono fare per mantenere sano in cervello. Subito dopo un allenamento le persone riferiscono di sentirsi meglio, sono più contente e le loro prestazioni nei test di memoria migliorano. Ma è l’esercizio costante nel tempo a fare la differenza: le persone che praticano sport in modo continuativo hanno un rischio inferiore di sviluppare depressione e decadimento cognitivo. E i benefici sono presenti anche in chi ha già segni di demenza. Ma come può lo sport fare tutto questo? Anche una semplice passeggiata (ancora di più nella natura) aumenta la produzione di endorfine, l’ormone del buonumore, che favorisce così il benessere mentale, diminuendo ansia e stress.
Tra i motivi di tanti benefici derivati dall’attività fisica, secondo gli scienziati, c’è il fatto che il movimento aumenta il flusso sanguigno in aree cerebrali che svolgono un ruolo importante per la memoria e l’apprendimento. Inoltre il movimento agevola il rilascio del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale, il Bdnf, una proteina che ha un effetto neuroprotettivo e favorisce la formazione di nuovi neuroni e sinapsi. Sia nella depressione che nella demenza molte di queste connessioni vengono perse quindi, un cervello «rinforzato» può limitare il suo declino. Infine è provato che l’esercizio fisico costante migliora le prestazioni cognitive riducendo la neuroinfiammazione, nemico numero uno del cervello. Muoversi tra l’altro aiuta a tenere sotto controllo la pressione: l’ipertensione non controllata può aumentare drasticamente il rischio di malattia di Alzheimer per chi ha più di 60 anni secondo un recente studio pubblicato su Neurology.
L’alimentazione
Altro caposaldo per mantenere un cervello sano è l’alimentazione, seguendo una dieta sana, senza esagerare con l’alcol e abbandonando il fumo. La dieta mediterranea è il modello ideale con abbondanza di legumi, cereali, pesce, frutta, ortaggi, olio extravergine di oliva e frutta a guscio come noci e mandorle: tutti questi alimenti, uniti ai chili in eccesso, sono correlati alla diminuzione della neuroinfiammazione. Per orientarsi si può fare riferimento al cosiddetto «piatto sano» , immaginando il pranzo e la cena come un piatto da riempire:
– metà piatto è composta da frutta e verdura (quest’ultima più abbondante)
– un quarto di piatto è destinato a cereali e derivati, meglio se integrali
– un quarto include proteine (variando con legumi, uova, pesce, latticini, frutta a guscio). La carne rossa e i salumi vanno limitati
– il condimento prevede olio extravergine di oliva, spezie, erbe aromatiche e poco sale.
– per nutrire il cervello serve anche acqua: esso è infatti formato per l’80% da acqua e se si ritrova «a secco» è meno capace di concentrazione e attenzione.
Non bisogna esagerare con il sale, gli zuccheri, i grassi saturi perché, oltre ad aumentare l’incidenza di infiammazione cronica, ipertensione, malattie cardiache, diabete 2 aumenta anche il rischio di demenza vascolare . Particolare attenzione va posta ai cibi ultraprocessati di origine sia animale che vegetale: sono tutti quei cibi pronti che in etichetta presentano adittivi che non si trovano nelle nostre cucine (ad esempio E210- acido benzoico; E64-gutammato monoammoniaco ecc). I chili di troppo fanno male anche al cervello: essere sovrappeso atrofizza il cervello e aumenta la probabilità di demenza di circa il doppio.
Vita sociale
Sentirsi soli e isolati può danneggiare la nostra salute mentale e anche cambiare il nostro cervello. La ricerca mostra prove sempre più convincenti di un legame tra la solitudine e la malattia di Alzheimer. Gli esperti pensano che ciò possa essere dovuto al fatto che la solitudine innesca la risposta allo stress del corpo, che aumenta l’infiammazione. Con il tempo lo stress cronico e l’infiammazione possono danneggiare le cellule cerebrali e le loro connessioni, condizione che può portare a demenza. Sentirsi soli aumenterebbe la probabilità di morte prematura addirittura del 26%. Negli over 65 la solitudine si associa a una riduzione della durata della vita simile a quella provocata dal fumare 15 sigarette al giorno e superiore a quella associata all’obesità. Un’altra ricerca pubblicata su Heart ha dimostrato che l’isolamento sociale aumenta del 25 per cento e del 32 per cento il rischio di morte prematura in chi aveva già sofferto rispettivamente di infarto e ictus. Nuovi studi affermano inoltre anche l‘importanza della socialità minore, come parlare con il barista o con qualcuno che aspetta il bus.
La solitudine, battezzata dalla rivista Economist come «la lebbra del ventunesimo secolo» è dunque un vero e proprio veleno per la salute del cervello e va evitata. Gli esseri umani per vivere hanno bisogno del contatto con gli altri e la solitudine minaccia la salute mentale. Si stima che almeno 1 caso di depressione su 5 sia direttamente provocato proprio dall’isolamento sociale. Una rete di relazioni articolata, con buoni punti di riferimento per i momenti difficili, protegge dal declino cognitivo e dalla depressione, riducendo il rilascio di ormoni dello stress deleteri per il cervello, come il cortisolo, e migliorando capacità che servono per stare con gli altri come linguaggio, memoria, attenzione.
Stimolare la mente
Cruciverba, sudoku e giochi di allenamento del cervello sembrano contribuire a ridurre in modo significativo il rischio di demenza. Sebbene finora gli studi abbiamo dimostrato solo un collegamento tra hobby cognitivamente stimolanti e il rischio ridotto di demenza e non una causa-effetto diretti, certamente queste attività possono essere un toccasana per l’elasticità mentale. E lo sono anche giochi da tavolo, imparare una nuova lingua, visitare musei e leggere libri e giornali.
Diversi studi hanno suggerito che più spesso le persone si impegnano in attività cognitivamente stimolanti, minore è il rischio di deterioramento cognitivo o più tardi ricevono una diagnosi di demenza . Ad esempio, uno studio ha scoperto che, tra gli adulti che hanno sviluppato demenza, coloro che completavano regolarmente cruciverba ritardavano l’insorgenza del declino della memoria di oltre due anni rispetto a coloro che non lo facevano. Per spiegare il meccanismo gli scienziati fanno riferimento alla teoria della «riserva cognitiva». L’idea è che più il «muscolo mentale» è sviluppato più la persona è resiliente alla demenza. Queste attività molto probabilmente non impediranno il danno cerebrale che porta alla demenza, ma la riserva cognitiva può ritardare l’insorgere dei sintomi per anni mascherando gli effetti della malattia.
La creatività
L’alto livello di istruzione è associato a un minor rischio di demenza e a più elevate abilità cognitive. Tuttavia secondo un recente studio pubblicato sulla rivista Neurology, i titoli accademici proteggono solo in parte dal rischio di demenza in tarda età perché la grande difesa di una mente creativa è cià che si fa dai 3o ai 65 anni. Le abilità cognitive acquisite a scuola sarebbero pareggiate da attività cognitive stimolanti che poi si fanno nella vita. E la forza di questa stimolazione quotidiana si fa sentire ancor di più in chi ha un livello di scolarità basso. Chi è laureato, ma fa un lavoro routinario e poco stimolante si difende dalla demenza alla pari con chi ha solo la licenza media o il diploma ma fa un lavoro creativo e stimolante, come per esempio orafi o sarti.
Anche e tassisti e autisti di ambulanze sembrano essere più protetti dalle malattie neurodegenerative: si tratta infatti di occupazioni che richiedono attività di navigazione ed elaborazione spaziale e il loro declino è coinvolto nello sviluppo della malattia di Alzheimer.
Il sonno
L’impatto del sonno sulla salute del cervello è cruciale. Durante il riposo notturno le connessioni cerebrali si riorganizzano, viene data forma ai ricordi, vengono eliminate informazioni considerate superflue per fare spazio a nuove esperienze. Durante il sonno lavora il sistema glinfatico, lo «spazzino» del cervello che rimuove i prodotti di scarto e i detriti tra cui la proteina beta-amiloide, coinvolta nello sviluppo dell’Alzheimer.
Dormire bene è dunque indispensabile per il buon funzionamento del cervello tanto che è sotto gli occhi di tutti che dopo una notte poco ristoratrice le prestazioni sono meno brillanti, si hanno problemi di concentrazione e attenzione. Uno studio del 2021 ha scoperto che le persone che dormivano meno di cinque ore a notte avevano il doppio del rischio di sviluppare demenza. Dormire poco può infatti favorire deficit cognitivi, specie se il debito di sonno si ha fra i 50 e i 60 anni: stando a dati raccolti su oltre ottomila persone da ricercatori dell’University College di Londra, riposare meno di 6 ore per notte in questa fase della vita può aumentare fino al 30% la probabilità di andare incontro a disturbi cognitivi e demenza nei 30 anni successivi.
Quando i disturbi del sonno perdurano è opportuno rivolgersi a uno specialista ed evitare il fai da te: farmaci che inducono il sonno come le benzodiazepine, usati da molti per combarttere l’insonnia possono peggiorare e compromettere proprio le prestazioni cognitive.
L’ottimismo
Anche pensare in modo positivo può aiutare a conservare una mente sana vivere più a lungo. Essere ottimisti migliora l’umore, riduce lo stress e la produzione degli ormoni correlati. Chi guarda alle cose in modo positivo ha più risorse per adattarsi agli eventi stressanti, è più flessibile e capace di affrontare le avversità. L’ottimista cerca soluzioni e ne immagina di più grazie a una maggior capacità di risoluzione dei problemi e di pensiero strategico, inoltre controlla meglio le emozioni negative che potrebbero ostacolarlo. L’approccio ottimista alla vita comporta un maggior benessere generale e cerebrale, riflettendosi anche in una funzione cognitiva migliore.
Non trascurare l’udito
Non sentire più triplica il rischio di decadimento cognitivo perché accresce l’isolamento sociale. Da diversi anni la comunità scientifica ha evidenziato un legame tra sordità e Alzheimer. La perdita dell’udito ha poi effetti diretti sul cervello, perché provoca una riduzione del volume della corteccia cerebrale uditiva e una diminuzione delle diramazioni dei neuroni, che quindi hanno più difficoltà a comunicare fra loro e a svolgere le loro funzioni. La ridotta stimolazione delle aree attivate dai suoni poi favorisce l’impoverimento cognitivo. Secondo studi recenti gli anziani con problemi di udito hanno maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer rispetto a chi ha l’udito nella norma. La perdita di udito può comparire in età avanzata ed è una condizione che può spingere le persone ad isolarsi viste le difficoltà a relazionarsi con gli interlocutori.
La salute dell’intestino
Negli ultimi anni è emerso in modo chiaro che esiste una connessione tra la flora batterica intestinale e i disturbi dell’umore, l’ansia e la depressione. I meccanismi non sono del tutto chiariti anche se sono stati fatti molti passi avanti. Ad esempio è stato scoperto che la maggior parte dell’ormone serotonina, che ha la funzione di stabilizzare l’umore, è prodotta dall’intestino e non dal cervello. Inoltre molte recenti ricerche hanno messo in relazione il microbiota intestinale con malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer: lo squilibrio tra batteri buoni e cattivi avrebbe un ruolo cruciale nella salute del cervello. Alcuni batteri intestinali avrebbero un ruolo nelle varie forme di demenza. Lattobacilli, Bifidobatterio, Probiotici e Prebiotici contribuiscono a ridurre l’infiammazione nel cervello, rafforzano l’immunità intestinale e rallentano la progressione della neurodegenerazione.
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