dov’è la “Terra d’Oro” di Sicilia

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Una passeggiata in un paesaggio sperduto, ma incantevole, che vuole rinascere. Prezioso già dal nome, se si arriva in cima al suo Castellaccio la vista è straordinaria

“C’è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno, e che fermare non potrai. E viva e viva il mondo, tu non girargli intorno, ma entra dentro al mondo, dai […].” Questo è un mondo dove i piccoli fanno la parte dei leoni e le comunità – quelle “minute” – trovano (provano) spazio. Il testo dei Matia Bazar non fa una grinza e l’estate scorsa, in una delle caldi notti siciliane, l’esibizione a Grisì ha destato tanta emozione.

La piccola frazione monrealese è teatro d’incontri, in un paesaggio sperduto nell’entroterra siciliano. Sì, quello dell’Alto Belice, dove distese di uliveti e vigneti sono fertili testimoni di un passato glorioso e un presente da… scrivere.

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Nel mezzo del cammin incuriosito, la gente è vivace, ha voglia di parlare, scambiare due parole. «Un tempo eravamo almeno 1500 persone, oggi, causa lavoro, siamo ridotti a quasi mille, anzi 995 per la precisione».

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«Il rapporto con il Comune di appartenenza, appunto Monreale, è migliorato negli ultimi anni. In passato ci siamo sentiti traditi, soli e abbandonati dalle istituzioni. Avremmo voluto, fatto richiesta per essere un Comune, adesso è impossibile solo pensarlo».

L’introduzione in terra grisiota merita le dovute attenzioni. Spirito di osservazione e lucidità mentale sono elementi indispensabili per ripercorrere le tappe fondamentali di un luogo silenzioso. L’inverno grisiese è avvertito ovunque.

Dalle “eterne” campagne provengono folate a lunga gittata e, tra un passo e l’altro, inizia la passeggiata. Nuove e vecchie abitazioni si frappongono come fieri predicatori di quel che fu… e sarà. Improvvisamente, in una delle viuzze della zona alta, una lapide ricorda una vicenda dai forti contenuti emotivi.

Correva il 20 agosto del 1921 quando un incendio – dalle proporzioni importanti – investì l’abitazione di una giovane famiglia. A perdere la vita fu Isabella Catalano, mamma e in attesa di un bambino. Si accorse che uno dei figli era rimasto intrappolato nelle fiamme e provò con tutte le forze a salvarlo. Purtroppo per lei, le fiamme si diffusero velocemente in tutto l’edificio causando la morte della giovane.

In ricordo di una donna pura, il Giornale l’Ora manifestò vicinanza con una lapide e partì una donazione spontanea per aiutare i superstiti. Sono attimi scanditi dal dolore, impossibile non spendere un pensiero.

Pochi metri ancora e una piccola scalinata è il preludio di una “sorpresa”: la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù. L’edificio religioso – l’unico presente a Grisì – ha una storia abbastanza giovane. I lavori iniziarono nel 1890 e terminarono nel 1897 grazie alle donazioni della comunità.

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La struttura presenta un ingresso ad arco a tutto sesto, con un orologio nella zona centrale e un frontone (alla sinistra si erge il campanile). L’interno, in stile neoclassico – a una navata – custodisce una lapide in pietra dell’Antico Ordine dei Gesuiti e quattro opere del pittore Puntorno.

La religiosità incontra i colori, provocando curiosi pensieri positivi (e riflessioni). “Ni lu Tritticu di la Spiranza” dell’artista Igor Scalisi Palminteri abbondano (i colori) di vivacità. I murales sono segno di grande civiltà e senso pratico, forma espressiva odierna di un problema importante come il cambiamento climatico (con eventuali incendi).

La passeggiata continua delicatamente, avvolti dalla leggerezza dell’aria. I cinquecento metri di altezza fanno il loro dovere, ma non ostacolano i nostri incontri. Sono testimoni di fatti storici.

Il nome Grisì, secondo gli studiosi affermati, deriva dal greco antico “chrysos”, cioè oro. Tra mutamenti bizantini ed epoche successive, oggi il territorio prende il nome di “Terra d’Oro”.

Terra di insediamenti antichi nel periodo ellenistico, greco, romano e arabo, il tempo ha riportato alla luce i ruderi delle fondamenta di un vecchio maniero. Questi si trovano in cima al Castellaccio (o Campana). La visita della vetta è un’opportunità unica per immortalare immagini splendide di un ambiente rimasto intatto.

Le epoche successive hanno dato lustro alla comunità grazie ai Gesuiti. Purtroppo, una volta espulsi dal Regno di Sicilia, il feudo venne “sequestrato“ letteralmente e ceduto a Giuseppe Beccadelli di Bologna Gravina. Tra licentia populandi e mero et mixto imperio, fu concesso in enfiteusi perpetua.

Un “lungo” giro storico che determinò la cessione alle famiglie nobili di Montelepre. Un percorso controverso che scrisse la parola fine nel 1911 quando, finalmente, Grisì divenne frazione del comune di Monreale. È tempo di fermarsi, assaporare qualche dolcetto tipico e ascoltare la melodia proveniente dalle colline.

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Quei luoghi nascondono un tesoro introvabile. Non ha padroni né umili conquistatori. “Lu Bancu di Disisa” provoca timori infausti. Alla domanda di un Re turco ai siciliani: “Si sbancò ‘u Bancu di Disisa? – e alla risposta negativa esclamò: «Allora la Sicilia è ancora povira».

Narrasi leggenda di una grotta che custodisce un ingente patrimonio di monete d’oro lasciate in dote da un ricco saraceno.

Avventurieri sperduti hanno trovato la grotta senza riuscire a portare via con sé la ricchezza. C’hanno provato in qualsiasi modo: chi con un cane, chi tirando una moneta, chi nascondendo tutto dentro le tasche, senza riuscire a trovare la via d’uscita.

Solo chi riuscirà a trovare tre uomini che si chiamano Santo Turrisi avrà accesso a tale splendore (potrebbe salvare l’intera Sicilia).

I tre devono provenire dall’Antico Regno, far sacrificare una giumenta bianca, spogliarla dal collare con le campanelle, togliere le interiora e mangiarle fritte dentro la grotta. Al termine, i tre Turrisi dovranno essere uccisi.

Altra spiegazione fiabesca è testimone di un libro (che si trova all’interno della grotta) che dovrà essere letto all’interno della grotta a lume di candela senza aver paura degli spiriti che si aggirano nelle vicinanze. Il racconto brilla di luce poco realistica “, meglio concedersi ai vizi culinari.

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Un bicchiere di vino è il miglior viatico contro idee colme di fantasia.

La strada di ritorno prende forma, procedendo verso Camporeale, lungo i vecchi feudi. Tra questi…Tornamilla merita un capitolo a parte. Senza dimenticare i suoni provenienti dall’alto: sono le diverse specie che trovano nel Castellaccio il loro habitat. Pettirossi, macaoni, poiane, conigli, ricci e istrici.

Lasciare la comunità è un colpo al cuore. Nelle piccole proporzioni regala motivetti dalle alte tonalità socio-storiche. E come cantavano i Matia Bazar: c’è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno… a Grisì.





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