MODA E ARTE – CALABRIAPOST

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Quando parliamo di Moda, inevitabilmente parliamo anche di un prodotto, che ha di per sé un uso funzionale preciso, e che fa riferimento a vari sotto codici semantici, che lo riconducono in primis ad una funzione pratica di protezione dal clima esterno, e subito dopo a quella funzione che lo vede co significante di uno di status Sociale preciso e identificativo.

Eppure già questo passaggio rende il capo d’abbigliamento accentratore di interessi articolati, e testimone di un valore che va ben oltre la sua rappresentazione formale, d’altronde tutta la Moda, che è un complesso sistema segnico e anche organizzativo, viene spesso ancora vista all’interno delle Accademie e delle Università come una cenerentola delle Arti, e poco importa come in realtà, in particolare per quanto concerne il media tessile, che è stato in passato visto come vero manufatto  e espressione d’arte, questa abbia sempre avuto una sua collocazione alta e diversa, e poco importa anche che oggigiorno, l’arte contemporanea, abbia definitivamente spezzato i confini tra le arti minori e maggiori, e che la Moda sia diventata sempre più espressione artistica, travalicando de facto i confini d’uso tradizionali.

Ma il problema non nasce nelle Accademie, all’interno delle quali sì cerca in tutti i modi di dare valore alla Moda e alle sue interpretazioni, ma bensì nasce fuori, da un pregiudizio storico che la vede espressione artigianale legata a un aspetto esclusivamente sartoriale prima e industriale poi.

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Eppure quali sono i motivi che alimentano l’arte contemporanea oggi? La performance, la capacità quindi di comunicare, e di rendere collettivo un progetto inizialmente squisitamente personale.

Nelle manifestazioni di Moda osserviamo che proprio nelle sfilate di alta moda assistiamo a volte a questo tipo di trasformazione del capo di abbigliamento, da prodotto a opera d’arte, non è neanche un caso che spesso ormai siamo abituati a che la moda entri nei musei, luoghi da sempre detentori di opere d’arte.

Ed è così che, spesso, persa la sua funzione primaria legata al ruolo di ‘vestimenta’, il capo di moda diventa espressione artistica e sociale, aldilà di una sua funzione pratica, che così perde, per poi acquisire invece una natura completamente diversa, legata anche alla comunicazione contemporanea, che si nutre di espressioni immanenti e veloci.

Eppure artisti come Sonia Delaunay, Elsa Schiaparelli, Maria Lai, Alighiero Boetti, Sheila Hicks, hanno da sempre lavorato usando la moda, e/o il media tessile come espressione artistica.

Anche più recentemente un artista come Nunzio De Martino ha scelto come suo media artistico l’uso dei filati mediante una vecchia macchina da cucire, e creando una sorta di intreccio che ci racconta delle sue emozioni e del suo dialogo interiore.

Ma tornando alla Moda, l’Italia tutta è terra di talenti artistici e il suo ruolo primario in questo settore è riconosciuto da tanti, ma oggi giorno sarebbe un peccato confinare questo ambito in quello che è un artigianato, più o meno ‘artistico’. 

Dobbiamo lasciare alla FAST fashion il ruolo di rispondere alle quantitativamente grandi richieste di un Mercato, che non tocca il lusso, né la cultura, e fare invece in modo che la cultura italiana continui a parlare attraverso le espressioni formali delle sue produzioni artistiche, guardare ai giovani talenti e stimolarli a liberare la propria creatività aldilà delle regole del Mercato medio basso.

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La produttività italiana non può fare concorrenza ai cosiddetti Paesi terzi, dove non c’è una tutela per i lavoratori e dove il lavoro costa meno, ma deve invece concentrarsi sulla produzione artistica e che tocca una nicchia di mercato che è però importantissima; fondamentale deve anche essere cercare nuove vie espressive, attraverso anche l’uso di nuovi materiali, e di una ricerca attenta e importante per il futuro del nostro Paese, in particolare per quelle aree del Sud che sono state spesso dimenticate da una politica che non le ha premiate, infatti le nostre terre erano da sempre quelle dove si esprimevano le maggiori abilità artistiche e artigianali riferite a varie tipologie produttive tra cui proprio la moda, ma che ora stentano a mantenere vive le loro aziende.

Ma è stato specialmente nella seconda metà del ‘900 che tutto il nostro Sud è diventato il luogo destinato a una produzione che serviva solo fasi di lavorazione, il cosiddetto fenomeno del ‘fasonismo’,  che non guardava a quella che è la cultura identitaria di un prodotto, non costruisce una storia, ma impoverisce alla lunga i territori e le sue persone, in pratica sul territorio nazionale si verificava già, in anticipo sui tempi, quello che poi diventerà la globalizzazione, che fa proprio questo: toglie identità culturale a un prodotto, la cui lavorazione viene frammentata in una filiera che spesso non è neanche intelleggibile.

Ed è qui che possiamo capire invece l’importanza di tutelare e riprendere dove è possibile le nostre tradizioni, che sono l’esempio tangibile della nostra unicità, aldilà delle copie, e della produzione di massa, dobbiamo svegliarci, e tendere una mano alle giovani generazioni per creare qui il loro futuro, ci serve l’aiuto delle istituzioni, ma la volontà deve essere nostra, delle nostre scuole  e Istituzioni legate alla formazione, che sono le custodi della nostra cultura e tradizione, in particolare le nostre Accademie di Belle Arti, che fanno un lavoro di certosina attenzione a coinvolgere i giovani nostri talenti, che non dovrebbero più andare fuori per realizzarsi, ma essere in grado di costruire qui il proprio futuro.

Ricordo che anni fa si parlava dei centri commerciali come di una spinta al progresso, ma secondo una visione culturale a noi estranea, il delegare il commercio fuori dalle città, o in aree periferiche, da noi non ha attecchito perché noi siamo mediterranei, il nostro rapporto con l’organicità e l’urbanità della città è diverso, noi siamo comunicativi e partecipativi, e non abbiamo intenzione di passare le domeniche ciondolando tra un negozio e un fast-food all’interno di centri commerciali tutti uguali.

Noi siamo diversi e dobbiamo fare di questa diversità il nostro punto di forza, e per questo abbiamo bisogno di far conoscere i nostri talenti e di dare maggiore sicurezza specialmente ai nostri ragazzi.

La nostra concezione di piazza si nutre ancora del concetto greco di agorà, noi siamo figli di quelle culture del passato che non si sono mai perse nel nostro immaginario, e continuano a vivere e produrre e rendere tangibili sogni che altrove sono introvabili.

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Le antiche produzioni calabresi di seta, ma anche di ginestra, possono essere validi laboratori per i nostri giovani, ma dobbiamo operare una rivoluzione culturale nel nostro Paese, una rivoluzione capace di poterci fare affermare un domani non lontano: Per incontrare il tuo futuro vieni al Sud.

 

Marina Lebro




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