La Cgil e qualche quotidiano amico hanno divulgato una fake news sulle pensioni e sull’Inps che ha messo a soqquadro la politica. L’analisi di Giuliano Cazzola.
Chi ha diffuso l’ultima fake news sulle pensioni dovrebbe vergognarsi ed essere indagato ai sensi dell’articolo 656 c.p.(“diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”). La Cgil e qualche quotidiano amico, consapevoli che quando si parla di pensioni il risultato, sia esso politico o mediatico, è assicurato, hanno divulgato una notizia che ha messo a soqquadro la politica: l’Inps si sarebbe assunto la responsabilità di decidere in proprio e in segreto un incremento dell’età pensionabile; e cioè dal 2027 i requisiti di accesso per la pensione anticipata, a prescindere dall’età, salirebbero dagli attuali 42 anni e 10 mesi e un anno in meno per le donne a 43 anni e 1 mese di contributi; mentre dal 2029 raggiungerebbero i 43 anni e 3 mesi.
Presumibilmente, in ambedue i casi, con un anno in meno per le donne Anche per la pensione di vecchiaia si registrerebbero incrementi, con l’età minima che passerebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029. Già il pensare che ciò sia possibile è la dimostrazione di un diffuso smarrimento non solo di chi propaga queste informazioni, ma anche di quanti le prendono sul serio.
Vediamo di riordinare la vicenda che non avrebbe dovuto sorprendere nessuno, se informato, consapevole e onesto; merce rara in un contesto politico dominato dai disonesti che si approfittano degli incompetenti.
Il dl n.4 del 2019 (in cui il governo giallo-verde presentò le sue credenziali) si mosse – per quanto riguarda le pensioni – per favorire, come voleva la Lega, il pensionamento di anzianità e consentire un requisito anagrafico il più ridotto possibile. Le misure finalizzate a questi obiettivi furono due: quota 100, la più spettacolare, per la durata di un triennio fino a tutto il 2021; il blocco dei requisiti fino a tutto il 2026 al punto a cui erano arrivati in quel momento e cioè 67 anni per la vecchiaia (fermo restando il requisito minimo di almeno 20 anni di contribuzione); 42 anni e 10 mesi per gli uomini e uno in meno per le donne per accedere al pensionamento anticipato. In pratica il blocco riguardava la norma dell’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva, introdotta nel 2010 dal governo Berlusconi per quanto riguarda l’età ed estesa dalla riforma Fornero anche al requisito contributivo del trattamento anticipato.
Alla fine del 2021, trascorso il triennio di quota 100, ebbe inizio la stagione delle quote allo scopo – come si disse – di evitare uno scalone nei requisiti anagrafici e garantire la transizione. Strada facendo quota 102 e 103 , nel giro di qualche anno si sono trasformate in un disincentivo all’anticipo. Rimaneva però inalterato l’altro canale: quello del requisito ordinario bloccato fino a tutto il 2026, che si era rivelato il più vantaggioso per le generazioni dei baby boomers, in grado di maturare, per la loro condizione lavorativa, un requisito di anzianità contributiva elevato, ad un’età anagrafica inferiore a quella prevista per le quote.
In un fortunoso recupero di saggezza, nelle sue leggi di bilancio, il governo di centro destra ha anticipato di due anni le scadenza del blocco dell’adeguamento automatico all’incremento dell’attesa di vita. Così, anziché da 2027, il meccanismo – che ritrova il ruolo centrale che aveva nella riforma Fornero – è tornato a ripartire dal 1° gennaio di quest’anno. Ma il sistema contributivo (sia per chi si applica in toto o solo pro rata) ha un altro meccanismo di revisione dei coefficienti di trasformazione (ovvero dei moltiplicatori del montante contributivo) ragguagliato all’aspettativa di vita, il cui incremento è inversamente proporzionale a quello del coefficiente.
Questa revisione – che coesiste fin dalla riforma Dini del 1995 – è proseguita alle scadenze previste, anche durante il blocco dei requisiti, nel corso del quale era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 dell’11 giugno 2020 il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociale del 1° giugno 2020 di revisione triennale dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo, di cui si riporta di seguito l’atto completo. Il ministro competente era Andrea Orlando nel governo giallo rosso (quelli che oggi strillano di più).
Il confronto tra i coefficienti di volta in volta aggiornati e quelli previgenti mette in evidenza, di volta in volta, il ritocco, a parità di condizioni, del moltiplicatore del montante contributivo (totale o parziale) a fini economici. Se si osserva nel suo insieme la tabella sottostante si può calcolare l’incidenza delle revisioni sul moltiplicatore, fin dall’inizio di questa via crucis a cui si rimedia aumentando il montante contributivo.
Tra due anni, in sede di nuovo adeguamento dal 2027, è presumibile che vi siano delle variazioni che richiedano degli adeguamenti dei requisiti di accesso per la pensione anticipata che confermino le previsioni: per l’anticipo 43 anni e 1 mese di contributi; mentre dal 2029 il requisito potrebbe salire ulteriormente a 43 anni e 3 mesi. Anche per la pensione di vecchiaia si registrerebbero incrementi, con l’età minima che passerebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2027 e a 67 anni e 5 mesi nel 2029.
Questi costituiscono gli adeguamenti alle previsioni demografiche, riguardanti l’attesa vita, che risultano all’unisono da tutti i simulatori (Istat, INPS, RGS). Per quanto la demografia si appalesi sempre più come una scienza esatta, non è detto che i trend saranno necessariamente questi. Saranno certificati a suo tempo dall’Istat e per essere assunti occorrerà un provvedimento amministrativo del governo allora in carica.
Nel frattempo però – noi ci auguriamo di no – potrebbe essere cambiata anche la legislazione. Ma sarà bene usare cautela, visto che la normativa dell’adeguamento automatico, ora rimessa in moto, è in grado di garantire un maggiore contenimento della spesa pensionistica in ragione dell’equilibrio corretto tra importo della pensione, versamenti contributivi effettuati, calcolo secondo criteri attuariali dell’attesa di vita e delle conseguenti erogazione e riscossione della prestazione.
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