La startup italiana creata da Claudio Spadacini ha ottenuto 35 milioni di finanziamento dal fondatore di Microsoft. La tecnologia di accumulo di energia a lunga durata è competitiva per i costi con le batterie al litio cinesi. A2a ed Eni tra i soci
Il 2025 sarà l’anno degli accumuli. Lo dicono tutti gli esperti del settore, a cominciare da Alessandro Blasi, special advisor del direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia. «Dopo l’evoluzione dello shale e la rivoluzione delle rinnovabili — ha postato su LinkedIn — è il momento dello storage. In soli due anni gli investimenti globali in batterie di accumulo sono più che triplicati e la capacità annuale installata è aumentata di quattro volte». Tutto bene allora? Forse no. «Uno dei problemi principali — prosegue Blasi — è la diversificazione, perché la capacità produttiva delle batterie rimane troppo concentrata in pochi Paesi. Lo stesso problema riguarda l’estrazione e la lavorazione dei minerali critici su cui si basa l’industria».
La Co2 Battery
E proprio qui sta il punto: oltre il 90% del mercato globale delle batterie al litio è cinese. In un panorama di quasi monopolio, startup coraggiose tentano di aprirsi uno spazio di mercato. Una di queste è l’italiana Energy Dome, che ha creato una tecnologia innovativa di accumulo di energia a lunga durata (Long duration energy storage o Ldes) che utilizza l’anidride carbonica e non dipende da metalli rari e di importazione. A fondarla è stato Claudio Spadacini, ingegnere meccanico al Politecnico di Milano, esperto di turbomacchine, produzione e conversione dell’energia che ha collezionato 45 brevetti. «La tecnologia si chiama “CO2 Battery”— spiega Spadacini — perché utilizza anidride carbonica in un ciclo chiuso per immagazzinare energia rinnovabile in modo efficiente. La batteria accumula energia quando è disponibile a basso costo, come nelle ore diurne quando c’è sole, e la rilascia nelle ore serali. Ha una durata più lunga, di 8-10 ore, perché questa è l’esigenza della rete».
La competitività rispetto alle batterie cinesi
Ma è competitiva rispetto alle batterie al litio cinesi a livello di costo e di efficienza? Spadacini risponde con i numeri. «Il costo di investimento (capex) — dichiara Spadacini — è di 180 euro al kilowattora installato. Il primo impianto è costato circa 200 euro al kWh, ma contiamo di scendere a 120 euro senza sussidi pubblici. Un impianto cinese costa 150/180 euro al kWh, per gli altri prodotti europei siamo intorno a 300 euro. La CO2 Battery restituisce il 75% dell’energia assorbita durante la carica e non ha degrado durante la vita (oltre 30 anni). Le batterie al litio hanno un rendimento a inizio vita dell’80% ma nel tempo degradano al 60 per cento». Investitori illustri
I 35 milioni di Breakthrough Energy Catalyst
Spadacini è rimasto primo azionista, con oltre il 40%, e altro socio è Andrea Dossi, vice-presidente di Sapio. Ma la tecnologia ha convinto finanziatori illustri. Spadacini ha raccolto complessivamente circa 140 milioni di fondi, di cui 35 milioni a fondo perduto dal Breakthrough Energy Catalyst di Bill Gates, che ha investito nel primo progetto della società a cui ha partecipato anche la Bei con 25 milioni. Precedentemente, al venture capital per finanziare lo sviluppo gli aumenti di capitale sono stati sottoscritti da investitori privati. Nel novembre 2021, 360 Capital ha guidato un round da 10 milioni attraverso il fondo 360Life (di cui A2a è limited partner). Tra gli altri finanziatori figurano Barclays, Novum Capital Partners e poi Cdp, Eni Next, Neva (Intesa Sanpaolo), Oman Investment Authority e lo European Innovation Council.
Il primo impianto in Sardegna
Il primo progetto su larga scala commerciale, da 20 MW di potenza installata e 200 MWh come capacità di accumulo di energia, è in costruzione nel comune di Ottana in Sardegna e sarà completato in primavera ed è costato 40 milioni. Il gruppo francese Engie ha firmato un contratto per acquistare l’energia (”off take”) dall’impianto. «Ma — spiega Spadacini — con questo progetto non potremo partecipare alle aste di Terna del mercato che sta nascendo in Italia, il Macse, perché esclude gli impianti già in costruzione come imposto dalla normativa europea sugli aiuti di Stato. Il mercato che segnerà il futuro italiano dello storage sarà appannaggio di tecnologie cinesi, dopo che l’unico produttore europeo, Northvolt, è andato gambe all’aria. E stiamo parlando di svariati miliardi. Le previsioni di Terna sono di 71 gigawattora di accumuli da qui al 2030, il che equivale a circa 12-13 miliardi. Terna ha aperto il 10% della capacità a tecnologie innovative come la nostra, ma ostacoli burocratici non ci permettono di competere allo stesso livello perché gli accumuli elettrochimici cinesi beneficiano di percorso accelerato per le autorizzazioni, che sono necessarie per partecipare alle aste del Macse». Dunque nemo profeta in patria? «Sembrerebbe così — conclude Spadacini — intanto ci stiamo rivolgendo ad altri mercati come quello americano, indiano, australiano e tanti altri. I nostri clienti sono utilities e grandi data company».
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