Bayrou è già a rischio sfiducia. E si inventa il «cantiere» delle pensioni

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Chiudere le parti sociali in una stanza scaricando su di loro la sfida di un’altra riforma: è lo stratagemma col quale il premier vuole convincere i socialisti a non sfiduciarlo. Una mozione di censura verrà votata già in settimana. Bayrou cerca tempo e – come pure Macron – spera di dividere il Fronte Popolare

«Noi la sfiduceremo», tuona Mathilde Panot a nome della France insoumise, ricordando al primo ministro che in settimana incombe l’appuntamento con la mozione di censura. Lo sa bene François Bayrou, che ha appena pronunciato il suo discorso di politica generale e sa di convivere con la prospettiva di caduta. Lo ha detto lui stesso questo martedì pomeriggio iniziando a parlare all’Assemblea nazionale, usando l’autoironia come talismano apotropaico: «Mi si chiede allora quali ragioni di ottimismo trovino quei pochi francesi che non credono che questo esecutivo cada».

Ma non è la retorica ad allontanare la paura, il vero punto è conquistare supporto in aula. In cambio di una «non censura», e cioè di una forma blanda ma vitale di supporto esterno, i socialisti (66 deputati in Assemblea nazionale) hanno invocato innanzitutto la sospensione dell’impopolare riforma delle pensioni. L’hanno chiesta a un premier che ha scelto proprio la donna simbolo di quella riforma – la ex premier Élisabeth Borne – come sua seconda (a lei è toccata pure la lettura del discorso al Senato). Nel negoziare, hanno rischiato l’unità del nuovo Fronte popolare, con l’ala più a sinistra e ora pure gli ecologisti pronti a sferrare la sfiducia. E cosa ha davvero concesso loro Bayrou, il macronista ante litteram?

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Pensioni e concertazioni

Il premier ha un’idea che può apparire come una concessione oppure come un diabolico stratagemma: chiudere tutti (il che coinvolge le forze sociali) in una stanza per tre mesi e poi vedere che ne esce (chissà che nel frattempo non si scannino tra loro, si potrà pensare e avrà pensato). «Il conclave», per dirla come il premier. Ma qualora nulla di accettabile ne esca verrà blindata per l’ennesima volta l’impopolare riforma delle pensioni macroniana.

Tecnicamente, Bayrou definisce l’operazione come la riapertura di un «cantiere». Stilisticamente, pone l’accento sul coinvolgimento collettivo e in tal senso in apparenza contraddice lo stile di Borne, che fece ricorso alla leva del 49.3 per scavalcare le rappresentanze. Dice di «non imporre tabù» e di mettere «un vincolo solo», che però potrebbe rivelarsi una trappola tra qualche settimana (se il governo non cade prima): «Non compromettere l’equilibrio finanziario del sistema», il che sarebbe «colpa imperdonabile».

Per Bayrou il debito pubblico è – da sempre – questione anzitutto «morale» e ha usato tutto il suo carisma per responsabilizzare dell’«eccessivo indebitamento» ogni parte politica, sferrando colpi tanto verso Mitterrand quanto Sarkozy o Macron. «Il deficit pubblico per il 2025 arriverà al 5,4 per cento del Pil», previsione in sorpasso rispetto al 5 per cento di quando premier fu (per poco) Michel Barnier, date le prospettive di crescita pure in calo. Questo argomento pende anche sul tavolo – apparentemente riaperto – delle pensioni. Il premier incarica la Corte dei Conti di una «missione flash» sulle finanze e al contempo da venerdì (sempre che il giorno prima sia sopravvissuto alla mozione di censura) convoca le parti sociali. «La legge del 2023 prevede che l’età pensionabile passi a 63 anni a fine del 2026, esiste quindi una finestra nella quale poter operare. Possiamo cercare una strada di riforma nuova, senza totem né tabù, neppure l’età pensionabile – i famosi 64 anni – a condizione che risponda all’esigenza data».

Interrogata prima del discorso di Bayrou sulle ipotesi da mettere in campo, la segretaria generale della Confédération générale du travail, ovvero la leader della principale organizzazione sindacale, Sophie Binet, aveva proposto ad esempio di garantire quello che Bayrou chiama «equilibrio finanziario» attingendo dai più ricchi (la «cotisation dei dividendi»).

Tempo e divisioni

Nel discorso di questo martedì, Bayrou ha proposto qualche idea acchiappa-attenzione – come la «banca della democrazia» per una cornice pubblica di finanziamento ai partiti – ma soprattutto discussioni, conferenze, stati generali, concertazioni…

Con la mossa del «conclave» sulle pensioni, il premier conta di comprare tempo e in parallelo Emmanuel Macron può sperare di aver ottenuto divisioni: frammentare il nuovo Fronte Popolare disancorando i socialisti è da tempo l’obiettivo dell’Eliseo.

I tre mesi di «conclave» di Bayrou, da riunirsi strategicamente il giorno dopo il voto sulla sfiducia, gli servono a dare sopravvivenza al suo governo, che sarà comunque verosimilmente a corto termine. Neppure i socialisti – anche se il leader Olivier Faure ha detto fino all’ultimo di aver negoziato per un accordo «di non sfiducia» – hanno alcuna intenzione di rivendicare una partecipazione diretta nel governo: «Questo governo certamente non è il nostro, come la sua politica, signor primo ministro, non lo è, né il bilancio da lei proposto», ha voluto ribadire il capogruppo socialista Boris Vallaud all’Assemblea.

Intanto però il fatto stesso che i socialisti con il primo ministro abbiano negoziato ha allargato ancor di più la distanza – già aperta nella fase intercorsa tra la caduta di Barnier e la nomina di Bayrou – con gli insoumis. «Il Partito socialista ha affondato il nuovo Fronte Popolare» e non ha racimolato se non «grottesche» concessioni, ha detto questo martedì il fondatore della France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon. «Queste concessioni accordate ai socialisti sono talmente grottesche che lasceremo a loro il privilegio di spiegarvi in cosa consistano».

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Mentre il Rassemblement National e il Fronte possono insieme buttare giù il governo, come hanno già fatto con Barnier – e servono 288 deputati per riuscirci – se Bayrou ottiene un benestare dei 66 socialisti gli equilibri non cambiano solo nei numeri, ma pure negli alibi: mentre Barnier dipendeva dalla non belligeranza dell’estrema destra, agganciarsi ai socialisti salva pure l’anima; non significa ovviamente che il premier non provi a imbonirsi anche Le Pen, con la quale condivide ad esempio il piano di riforma in senso proporzionale.

Il punto è che l’anima e i numeri riguadagnati da Bayrou e Macron verrebbero invece persi dai socialisti, ai quali verrebbe imputata la responsabilità di frantumare del tutto la prospettiva di un’alternativa di sinistra ecologista. Fino a questo martedì, anche gli ecologisti erano allineati con l’idea della sfiducia, forti dell’argomento di una scarsa attenzione del premier al clima; quadro che portava molti commentatori a parlare nella tv francese di «socialisti isolati».

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