Per sei mesi una fotografa e un urbanista − Silvia Camporesi e Sauro Turroni − hanno attraversato il territorio romagnolo. Tra strade chiuse e divieti, talvolta hanno affrontato situazioni pericolose su suoli frantumati, corsi d’acqua deviati od occlusi, sbarramenti e nuovi laghi, strade sprofondate a valle. Nel loro viaggio non hanno rappresentato il dolore che veniva loro manifestato e raccontato dall’umanità incontrata. Hanno puntato l’occhio e l’obiettivo della macchina fotografica su ciò che provocava dolore e disperazione in tutta la sua drammaticità. Strappata con le immagini immediate all’oblio rapido dei mezzi di comunicazione di massa, la catastrofe del 2023 racconta oggi ai nostri occhi − e perdura nella sua inesorabile asprezza documentale − la violenza con cui la natura ha voluto ripristinare l’equilibrio violato da artifici ingegneristici, per riprendersi ciò che le era stato tolto. Dalle colline deturpate emerge dolorosamente il futuro che attende i paesi fra i monti e chi li abita. Un futuro di ulteriore spopolamento ed abbandono. Se sarà inevitabile lo si capirà presto
◼︎ Le intense precipitazioni del maggio 2023 hanno avuto drammatiche conseguenze nel territorio ristretto delle province di Forlì e Ravenna, nella parte orientale della provincia di Bologna e nella parte occidentale della provincia di Rimini. Drammatiche vicende che hanno visto la Romagna intera in ginocchio: città inondate, colline crollate, infrastrutture interrotte, centinaia di migliaia di abitazioni inagibili, fabbriche non più in grado di produrre, il tutto unito alla tragedia della perdita di tante vite umane. Lo spirito che anima queste genti ha visto queste ultime immediatamente rimboccarsi le maniche. È stato così per liberare le strade e le case dal fango, per rimettere in moto le aziende, per ricostruire la socialità perduta. Non è solo colore il canto di “Romagna Mia” che usciva dalle gole dei tanti giovani accorsi per spalare il fango; quella canzone è stata davvero l’inno della rinascita. L’esplosione di un enorme spirito di collaborazione tra migliaia di volontari e le strutture tecniche dello Stato, nelle sue diverse articolazioni e competenze, ha avuto la sua manifestazione concreta nelle strade allagate, nelle case piene di fango, con i beni culturali compromessi o perduti.
La catastrofe emiliano-romagnola in sintesi
- 17 vittime
- 82.000 frane
- 350 milioni di metri cubi d’acqua precipitati a valle
- 23 fiumi esondati contemporaneamente
- Intere città e paesi allagati
- Strade interrotte, abitati isolati per giorni
- Abitazioni distrutte, fabbriche e attività economiche messe in ginocchio, campi devastati
- 8,5 miliardi di danni stimati
◆ Il racconto di SAURO TURRONI
► Da oltre cento anni è nostro comune patrimonio la definizione che Benedetto Croce formulò nella relazione della prima legge di tutela del 1920: il paesaggio è «quel che costituisce la fisionomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall’altra, nell’aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue singolarità geologiche». Il paesaggio è quindi la rappresentazione visibile della nostra storia, è il palinsesto su cui sono stati scritti millenni di storia, sovrapponendo epoche, componenti sociali, culturali, politiche ed economiche e anche le trasformazioni fisiche determinate dalla natura. Lo stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio, che recepisce anche la Convenzione Europea del Paesaggio, riconosce che «Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni». “Romagna sfigurata” ha inteso raccontare le modifiche ai paesaggi della Romagna provocate dall’alluvione.
Il progetto ha esplorato il territorio romagnolo colpito con violenza dalla catastrofe per documentare le alterazioni provocate ai paesaggi così come sono riconosciuti e definiti dalla nostra comune cultura e testimoniare il nuovo aspetto fisico dei luoghi. L’obiettivo era creare una mappatura dei segni che connotano il nuovo paesaggio della Romagna, che avesse un valore artistico e al contempo documentale, attraverso un ampio corpus di immagini di ciò che si leggeva sul terreno. Le immagini scattate da Silvia Camporesi, apparse sui principali mezzi di informazione durante le prime fasi dell’alluvione che interpretavano il dramma che stavano vivendo intere comunità, hanno consentito di individuarla come l’artista che avrebbe potuto rappresentare l’aspetto fisico della catastrofe sul territorio.
Con “Romagna sfigurata” l’artista avrebbe documentato le mutazioni avvenute nel paesaggio e sui suoi elementi costitutivi in seguito a questo tragico evento, così come aveva descritto la generosità dei volontari, i drammi delle antiche biblioteche ed archivi sommersi dal fango, la perdita degli spazi pubblici e le acque che avevano invaso il grande parco urbano della città di Forlì. La dimensione straordinaria dell’evento ha rappresentato una eccezionale opportunità, consentendo di vedere e di comprendere, attraverso l’esperienza diretta, ciò che scienza, geografia e storia avevano indicato come millenario processo di evoluzione e di formazione del nostro territorio.
Gli imponenti depositi di detriti e fango nelle pianure, trascinati a valle dalla furia delle acque, le colate di argilla e limi, depositati in spessi strati che ricoprivano tutto, hanno reso tangibile la formazione della pianura romagnola fino alla linea di costa, con valli e paludi bonificate nel tempo dall’opera degli uomini. Le modifiche dell’orografia delle colline e delle montagne romagnole, le incisioni, le fratture, gli scivolamenti di rocce e di detriti e le colate di fango sono apparsi in tutta la loro drammatica dimensione, mostrando la strettissima connessione tra ciò che accade sulle montagne e quanto si verifica in pianura. L’evento ha messo anche in discussione convinzioni consolidate nel tempo secondo le quali l’azione virtuosa degli uomini sulle montagne sarebbe stata sufficiente a proteggere le vallate e le pianure. La dimensione e l’entità delle forze in campo hanno dimostrato che la natura non può essere costretta in spazi, limiti e ambiti che non le siano propri.
Il tempo per riprendere quanto è avvenuto è stato assai ristretto poiché l’evoluzione naturale del paesaggio, soprattutto con il ritorno della vegetazione, poteva compromettere la comprensione e anche la rappresentazione degli eventi e dei loro effetti. È stato necessario iniziare subito un pellegrinaggio attraverso il territorio per consegnare alla memoria immagini che possono apparire anche tragicamente belle ma che fissano la drammatica imponenza dell’evento la cui percezione, al di fuori della puntuale conoscenza degli addetti ai lavori, si limita spesso al ricordo di qualche strada interrotta, mentre il racconto delle immagini televisive svanisce rapidamente, sommerso dai nuovi eventi che quotidianamente si accumulano.
Abbiamo attraversato il territorio guidati da molteplici fonti e informazioni, attraverso strade chiuse e divieti, affrontando talvolta anche situazioni pericolose tra suoli frantumati, corsi d’acqua deviati od occlusi, sbarramenti e nuovi laghi, strade sprofondate a valle. Non abbiamo rappresentato l’umanità che abbiamo incontrato né il dolore che ci veniva manifestato e raccontato ma ciò che lo provocava in tutta la sua grandiosa drammaticità. A volte di fronte a paesaggi di inaspettata grandiosità ci usciva la parola “bello”. Sì, bello ma terribile al tempo stesso. Molte cose rappresentate non erano immediatamente visibili, occorreva cercarle, erano nascoste come se la natura non volesse mostrare la propria forza distruttiva. Abbiamo potuto osservare che il paesaggio come lo conoscevamo, frutto dell’azione continua dell’uomo, per adattare il territorio ai propri bisogni, modificando morfologia, determinando differenti assetti colturali e insediativi, era profondamente mutato, con una ampiezza non immaginabile.
La catastrofe è anche conseguenza della manipolazione umana che nel corso dei secoli, almeno a partire dalle prime bonifiche del XVI secolo, ha sfidato la natura dei luoghi imponendo un paesaggio artificiale che ha avuto riflessi sull’assetto idraulico e idrogeologico. Tutto ciò si è manifestato prima con le bonifiche agrarie e poi con l’urbanizzazione diffusa sino a una parossistica pressione antropica, con terre coltivate a perdita d’occhio, fiumi pensili che corrono sopra il livello del terreno che a sua volta è subsidente, anche fin sotto il livello del mare, con l’intrico delle canalizzazioni regolative delle acque ed infine con aggregati urbani e aree manifatturiere disposti senza soluzione di continuità.
La catastrofe è stata il modo violento col quale la natura sembra aver voluto ripristinare l’equilibrio ex ante violato da artifici ingegneristici, per riprendersi ciò che le era stato tolto. Se nelle città e nelle pianure il racconto ha mostrato attraverso le immagini luoghi da ricostruire, ciò che emerge dolorosamente dalle rappresentazioni delle colline deturpate è il futuro che aspetta i paesi fra i monti e chi li abita, indicando già un futuro di ulteriore spopolamento ed abbandono: ciò che è apparso bello e grandioso non è più recuperabile ed è andato per sempre perduto.
L’obiettivo del lavoro, condotto nell’arco di sei mesi, è consistito nel racconto dello stato del paesaggio ma occorre riconoscere che ne ha prodotto anche un altro, che ha fissato con la forza delle immagini l’urgenza di azioni volte a ridurre i rischi provocati dal riscaldamento globale e dai cambiamenti climatici. Essi ci indicano che eventi simili saranno sempre più probabili, intensi ed estesi. Il progetto artistico dal forte valore documentale di “Romagna sfigurata” ha testimoniato, attraverso la fotografia, l’eccezionalità di un evento estremo fissandolo nel tempo e nello spazio, come una gigantesca istantanea che mostra il nuovo volto della Romagna, facendo comprendere anche che quell’immagine è già evoluta e mutata in un inarrestabile processo di trasformazione di cui natura e uomini sono protagonisti.
Nota
Il progetto “Romagna sfigurata” − vincitore del bando del ministero della Cultura “Strategia fotografia 2023”, proposto dall’Associazione “Nuova Civiltà delle Macchine” − è stato realizzato da Silvia Camporesi e Sauro Turroni (coordinatore e ideatore). La ricerca dei luoghi è stata supportata dai tecnici del servizio geologico della Regione, da sindaci e tecnici di uffici comunali, da persone direttamente coinvolte negli eventi, da volontari e profondi conoscitori dei territori collinari che ci hanno condotto fra le montagne in centinaia di sopralluoghi nei territori e montani delle province di Forlì, Ravenna, Bologna e Rimini. È stato infine condotto un significativo e rigoroso confronto fa le foto attuali e foto storiche, custodite in numerosi archivi, tra i quali l’Archivio Istituto Beni Culturali, Regione Emilia Romagna, l’Archivio Paolo Monti, l’Archivio Pietro Zangheri, dagli architetti Marina Foschi e Patrizia Tamburini, e presentato in occasione del convegno “Romagna sfigurata” tenutosi a Forlì il 15 maggio 2024, e in parte contenuto nella pubblicazione. L’elaborazione del progetto ha portato − oltre alla produzione di un ampio corpus di immagini − alla realizzazione di due mostre e alla edizione del volume delle immagini più significative. Una selezione delle quali è andata a incrementare la “Raccolta della Fotografia” del Comune di Rimini, partner del progetto. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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