Siamo la regione con più tesseramenti (19.270), 15 mila solo a Torino. Aumenta la pratica indoor. Crescono i bambini piccoli e le ragazze. In corso Tassoni aprirà la nuova sede delle federazione internazionale
Per scalare il vertiginoso aumento di appassionati, altro che esagerata spolverata di magnesite sulle mani e, ai piedi, le varappe, le scarpette «a banana» con la suola sottilissima. Appiglio dopo appiglio, tra una tirata di corda e l’altra, il movimento dell’arrampicata sportiva macina record. Negli ultimi sei anni, sono triplicati i tesserati della Fasi. Federazione nazionale che, tra adulti e giovani, agonisti e amatoriali, regala al Piemonte una vetta inaspettata: siamo la regione con più tesseramenti (19.270). Ben 15 mila solo a Torino, che si conferma capitale di questa disciplina non solo per la vicinanza con la montagna, ma anche per la storia.
È leggenda quel 5 luglio 1985 quando i più abili scalatori europei si diedero appuntamento in Valle Stretta, a Bardonecchia, con un obiettivo da vecchio Far West: dirimere definitivamente la questione di chi fosse il più forte. Nacquero così, regole e punteggi diventati poi la base dell’arrampicata sportiva: sport promosso, dopo l’esordio a Tokyo e la conferma di Parigi, nell’orbita olimpica, grazie all’impegno dell’International Federation of Sport Climbing (Ifsc). Federazione «mondiale» negli interessi. Eppure, torinesissima nel cuore. A partire dal presidente-fondatore, Marco Maria Scolaris, che sulla scrivania ha il dossier dell’ennesimo progetto: far nascere in corso Tassoni, in una palazzina tutelata dalla Soprintendenza, la nuova sede di quella che possiamo chiamare la «Fifa degli scalatori».
Nei progetti appena presentati in Comune, ci sono uffici, sale riunioni, spazi di rappresentanza e una parete di allenamento per i dipendenti. Il budget è di 2 milioni. In linea con il volume dei tesserati e il valore economico generato. «Siamo nati nel 2007, come costola delle federazione degli sport della montagna. Allora, il nostro bilancio era di 150 mila euro. Oggi siamo arrivai a 6 milioni», spiega Scolaris, 66 anni. Il numero uno della Ifsc, ex fotogiornalista della rivista Alp, però, guarda ad altri traguardi. «Nei Paesi più ricchi, dagli Usa alla Cina, le palestre sono piene di appassionati. Come in Arabia Saudita dove sono appena andato in visita. Merito soprattutto delle olimpiadi — racconta —. Dopo l’edizione pandemica di Tokyo, avevamo qualche timore per Parigi ma abbiamo registrato due medaglie e un sold out sulle tribune. Adesso si punta a Los Angeles, con la novità dell’ingresso nel programma paraolimpico».
Quasi vengono le vertigini se si pensano a come tutto è iniziato. All’inizio del secolo scorso, la scalata sul Cervino è l’avventura dei figli della nobiltà inglese. L’alpinismo è uno sport eroico ed elitario. Poi, nel Dopoguerra, proprio da Torino, parte la rivoluzione de «Il nuovo mattino». L’ideologo è Gian Piero Motti, arrampicatore e intellettuale. Scatta il rifiuto dell’alpinista duro e puro. La sfida non si cerca più sul Monte Bianco, ma su falesie immerse nei boschi delle Valli di Lanzo e della Val Susa. La passione diventa religione e fuga dalla società. Poi, per tutti. Merito anche dello sbarco indoor. La nostra città è, ancora una volta, apripista. Al Palavela, sotto il sindaco Diego Novelli, anno 1981, è costruita la «Guido Rossa», la prima palestra artificiale realizzata in cemento armato e lose di Luserna.
Quell’esperienza sopravvive oggi in cinque impianti cittadini e con molti altri fuori (l’ultimo inaugurato a Cumiana). La «storica» Sasp, dal 1987 è «casa» di campioni come quelli della dinastia dei Ghisolfi. Spazio per i boulder (senza imbragature e con i materassini), mentre la Palabraccini è il riferimento per la corda.
«Con l’apertura di tante palestre, questo sport non è più di nicchia. È diventato “urbano”, con una generazione di nuovi arrampicatori che non va in falesia. Nell’ultimo periodo, abbiamo visto arrivare tante ragazze. E i bambini, perché è una disciplina che richiama un gesto che abbiamo nella dna», racconta Luca Giammarco, fondatore dal Bside Climbing Park, quasi 4 mila iscritti sparsi nei 2 mila metri quadrati di pareti colorate. Con un bar frequentatissimo. «Quello del climbing è un ambiente interclasse. Io sono andato a scalare con operai e impiegati. Trascorrendo tante ore, fermi, con le corde si creano anche nuove amicizie», svela, con sguardo sociologico, Marco Piccolo, ceo della Reynaldi Srl, e consigliere in Confindustria Piemonte.
Il fenomeno arrampicata nasconde anche ombre. Con l’arrivo di tanti appassionati, i più forti e coraggiosi si spingono verso il free solo (senza corda). Mentre in montagna, alcune vie sono state schiodate per evitare l’arrivo delle masse, come nel caso del Sergent Serendipity, a Ceresole. Opportunità e problemi. Lo sa bene Caprie, comune che vive un rilancio grazie ai tanti appassionati. Ma anche un forte aumento degli incidenti, pure mortali. Il salto dalla palestra alla parete rocciosa nasconde rischi terribili.
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