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“Centomila luci contro il buio del regime” è la protesta lanciata in tutta Italia da centinaia di associazioni riunite nella rete A pieno regime. «Questa rischia di essere l’ultima occasione per protestare contro una legge che limiterebbe il diritto di esprimere il proprio pensiero»

«Mi preoccupa molto la narrazione che il governo ha fatto nelle ultime ore sulla manifestazione di oggi. A mia memoria è la prima volta che il lavoro di Amnesty international viene associato a un pericolo per la sicurezza pubblica. A me sembra che si stia costruendo una modalità di raccontare i fatti ah hoc per accompagnare l’approvazione del ddl sicurezza. Descrivendolo come una risposta necessaria a un pericolo che non c’è». Così Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, spiega a Domani. Da piazza Sant’Andrea della Valle, nel cuore di Roma, a pochi passi dal Senato, dove il testo del disegno di legge presentato dai ministri Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Guido Crosetto è tornato a essere esaminato, dopo la pausa natalizia, da martedì scorso.

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«Siamo in piazza perché questa rischia di essere l’ultima – o la penultima – spiaggia per protestare contro un provvedimento che limiterebbe, se adottato, di molto il diritto di esprimere il pensiero critico e di rivendicare le proprie libertà, anche in forma pacifica. Chiamiamo questo provvedimento “ddl Sicurezza” ma potrebbe avere anche molti altri nomi, come “paura”, “insicurezza, “decreto riempi carceri” perché si accanisce contro le marginalità, contro l’attivismo per la giustizia climatica, inasprisce le pene per comportamenti, invece, legittimi come le proteste non violente nelle carceri. Parla di sicurezza sì, ma a senso unico per le forze di polizia», chiarisce ancora Noury mentre i manifestanti iniziano a riempire la piazza, si alzano le bandiere, si accendono le fiaccole e gli accendini: “Centomila luci contro il buio del regime” è la protesta che centinaia di realtà che compongono la rete A pieno regime hanno indetto per il 17 gennaio in tutta Italia. Non solo a Roma, infatti, ma anche a Bologna, Napoli, Reggio Emilia, Pesaro, La Spezia, Lecce, ecc. le strade si sono riempite di cittadini che hanno scelto di riunirsi per protestare contro il ddl.

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«Se prendiamo uno a uno gli articoli che compongono il disegno di legge ci rendiamo conto che sono contestabili. Ma se li leggiamo tutti insieme è evidente come il testo sia un attacco al diritto di protesta pacifica di cui hanno parlato anche le Nazioni unite». Per il portavoce di Amnesty, così come i rappresentanti delle altre associazioni a tutela dei diritti umani che hanno deciso di aderire alla manifestazione, insieme al Movimento 5 stelle e ad Alleanza verdi e sinistra presenti in piazza, reprimere il dissenso non è il modo che serve per affrontare il conflitto sociale: «C’è necessità di una politica che lo includa nel dibattito pubblico, non che lo escluda. Le forze dell’ordine, ad esempio, potrebbero usare tecniche di descalation – che esistono e vengono utilizzate anche in altri Paesi – per ridurre la tensione durante i cortei, e quindi il rischio di ferimento degli agenti e dei manifestanti. Certo è che se alla prima avvisaglia di tensione scatta una manganellata la violenza non si contrasta».

Anche per la Cgil non è con la repressione che si garantisce la sicurezza e non è alzando la tensione sociale che si tutelano le forze dell’ordine: «Servono lavoro dignitoso, diritti e servizi adeguati. È ora che il governo affronti le vere emergenze e smetta di sottrarre spazi di libertà alle persone».

È della stessa opinione anche Luca Blasi, tra gli ideatori della rete A pieno regime, tra i promotori della manifestazione “Centomila luci contro il buio del regime”: «Il secondo appuntamento nazionale che abbiamo lanciato da quando la rete ha preso forma, dopo quello dello scorso 14 dicembre. Chiediamo il ritiro completo del disegno di legge perché pensiamo che sia una norma liberticida e che metta a rischio la democrazia», spiega Blasi senza indugi, dopo aver sottolineato che lo scopo della protesta, pacifica, è quella di mostrare al governo che sono migliaia cittadini in Italia contrari al disegno di legge e alle politiche autoritarie che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sta portando avanti.

«Oggi inauguriamo la ripartenza della mobilitazione. E prepariamo il terreno per la carovana che andrà a Bruxelles i prossimi 3, 4 e 5 febbraio. Per denunciare dentro il parlamento europeo sempre con più forza il “caso Italia”. Ovvero che stiamo diventando una nuova Ungheria», conclude Blasi al microfono.

Che il disegno di legge rappresenti un attacco allo Stato di diritto lo pensa anche Giuseppe De Cristofaro, capogruppo al Senato di Alleanza verdi e sinistra: «Le sacrosante preoccupazioni delle Nazioni unite sono le stesse espresse anche dal Consiglio d’Europa a dicembre. E le stesse di cui abbiamo parlato anche noi in queste settimane di opposizione parlamentare. Se il ddl Sicurezza diventa legge, nel nostro Paese sarà più difficile manifestare, dissentire, anche per chi vuole farlo in modo non violento», dice il senatore dalla piazza di Napoli: «Ma il lavoro parlamentare da solo non basta. Serve che anche i cittadini si facciano sentire», spiega De Cristofaro, convinto che inevitabilmente alcuni aspetti del provvedimento saranno bocciati quando il testo passerà al vaglio della Corte costituzionale.

«Per fare solo un esempio, mi riferisco all’aggravante di luogo. È impensabile che un reato qualsiasi sia più grave in base al luogo in cui è commesso. Ma non è questo l’unico punto controverso. E come lo so io questo, lo sa anche la maggioranza. Così il fatto che a oggi – siamo arrivati a discutere fino all’articolo 15 – neppure uno dei nostri emendamenti sia stato preso in considerazione dimostra la totale mancanza di volontà della maggioranza di confrontarsi con le opposizioni su un tema così importante. Ma anche che siamo di fronte a un’operazione propagandistica: la necessità di una bandiera ideologica», conclude De Cristofaro poco prima di sottolineare l’importanza di prendere parte a piazze come questa per maniere vivo il dibattito democratico nel Paese: «Servono le piazze, servono i moniti del Consiglio d’Europa e delle Nazioni unite. Come sono serviti gli emendamenti fatti al ddl. Se tutto questo non ci fosse stato, il testo sarebbe stato approvato già prima della fine del 2024. Invece il nostro lavoro coordinato è riuscito a rallentare il suo iter. Speriamo di rallentarlo ancora di più e speriamo di ottenere un ripensamento della maggioranza».

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