Il sì di Israele alla tregua, Santanchè a processo, gli Usa contro TikTok |
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di Luca Angelini |
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Dopo il gabinetto di guerra, anche il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, quando in Italia era ormai passata la mezzanotte, ha detto sì all’accordo in tre fasi con Hamas per una tregua a Gaza, il parziale ritiro di soldati dalla Striscia e la scarcerazione di detenuti palestinesi in cambio del rilascio degli ostaggi (secondo i media israeliani, 24 ministri avrebbero votato a favore mentre otto si sarebbero opposti). Il cessate il fuoco di 42 giorni inizierà domani, con il primo scambio: tre ostaggi israeliani e il rilascio di 95 palestinesi. Hamas consegnerà in questa prima fase 33 dei 98 ostaggi (quelli ancora vivi dovrebbero essere però una sessantina), tre a settimana, partendo dai più fragili: donne e reclute civili, bambini, anziani, malati e feriti civili. Il portavoce del governo, David Mencer, ha dichiarato che Israele è «pronto a pagare un prezzo pesante, nell’ordine delle centinaia» di prigionieri, in cambio dei 33 ostaggi. Un funzionario israeliano ha detto che il numero finale dipenderà da quanti degli ostaggi sono vivi (qui altri dettagli dell’accordo). Anche Bezalel Smotrich, il ministro più vicino ai coloni israeliani, alla fine ha detto sì. Ma ritiene di aver ottenuto da Netanyahu, scrive il corrispondente Davide Frattini, «la garanzia che dopo la prima fase dello scambio tra rapiti e detenuti palestinesi “la guerra ricomincerà fino alla distruzione di Hamas” (Netanyahu ha parlato di «garanzie inequivocabili da entrambi i presidenti Usa, sia Joe Biden che Donald Trump, che se i negoziati sulla fase due dell’accordo falliscono e Hamas non accetta le richieste di sicurezza, l’esercito israeliano tornerà a combattere intensamente a Gaza con il sostegno degli Stati Uniti»). Soprattutto, Smotrich ha premuto perché nella mozione approvata ieri venisse inserito «un nuovo obiettivo per il conflitto che non vuole veder finire: rafforzare la sicurezza in Cisgiordania, di fatto ricreando la situazione precedente ai massacri del 7 ottobre 2023, quando la maggior parte delle truppe era dispiegata a protezione dei coloni». Smotrich ha anche ottenuto dal premier la scarcerazione di cinque estremisti ebrei». Ma c’è di più: «Nonostante l’intervento del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump per sbloccare i negoziati e fermare così la guerra, Smotrich e Itamar Ben-Gvir — invece pronto a lasciare la coalizione di governo — sperano ancora di ottenere al secondo mandato del presidente il via libera per l’annessione dei territori che dovrebbero andare a formare un futuro Stato palestinese. Ma i più oltranzisti tra i coloni cominciano a dubitare dell’amico Donald». Il filosofo politico Michael Walzer, intervistato da Viviana Mazza, parla di una tregua fragile ma che potrebbe durare. E aggiunge: «Penso che Bibi (il premier Netanyahu, ndr) preferisca in realtà fare un qualche tipo di accordo con Hamas anziché fare qualcosa che possa rafforzare l’Autorità Palestinese. È più probabile che raggiunga un compromesso o riconosca anche un qualche ruolo di Hamas in un futuro governo musulmano, cosa che ha giurato di non fare, piuttosto che fare quello che la terza fase di quest’accordo richiederebbe, cioè l’ingresso dell’Autorità Palestinese. E io temo che i sauditi potrebbero accettare qualcosa del genere. Non lo so. I miei amici ora ripongono le loro speranze nei sauditi, sperano che diranno a Trump: “Ok, puoi fare il tuo grande accordo solo se fai sì che Israele accetti l’idea di uno Stato palestinese”. Ma sospetto che Bibi preferisca qualcosa di meno». E continuerà a fare tutto quel che è in suo potere per impedire che si arrivi alla soluzione dei due Stati: «L’ha evitata per lungo tempo. Dividere e tenere Hamas e l’Autorità Palestinese in opposizione tra loro è stato parte della sua strategia». «Il meccanismo dell’accordo – mette in guardia Frattini – è complesso e spezzettato, così a preoccupare i diplomatici che l’hanno mediato sono già questi passaggi d’avvio. E soprattutto l’opposizione di Netanyahu alla fase successiva, quella che dovrebbe portare al ritiro totale dell’esercito e al cessate il fuoco definitivo nella Striscia, dove i palestinesi uccisi sono quasi 47 mila. “Ha mille modi per farla saltare“, commenta ad Al Jazeera, l’emittente di casa, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, il premier del Qatar che è stato al centro delle trattative. «Ed è sicuro che Hamas gli darà una scusa», commentano gli analisti israeliani». (Frattini segnala anche che sta diventando un caso la prolungata «vacanza» in Florida della moglie di Netanyahu, Sara, arrivata ormai a 52 giorni: «Vuole evitare di essere interrogata nei processi per corruzione a carico del marito», insinua qualcuno) La ministra del Turismo, Daniela Santanchè (Fdi), andrà a processo. È stata rinviata a giudizio per l’ipotesi di reato di falso nelle comunicazioni societarie 2016-2022 dell’allora sua Visibilia Editore spa (oltre che di Visibilia Editrice srl nel 2021-2022 e di Visibilia srl nel 2016-2022) insieme ad altri 15 fra amministratori e componenti del collegio sindacale, fra i quali il suo compagno Dimitri Kunz, il precedente compagno Giovanni Canio Mazzaro, la sorella Fiorella, la nipote Silvia. Al dibattimento, che inizierà il 20 marzo, il difensore della ministra, Nicolò Pelanda, si dice convinto di riuscire a dimostrarne «l’estraneità». Ma, ricorda Luigi Ferrarella, è solo «il primo dei possibili processi di Santanchè, visto che sulla ministra pende una seconda richiesta di processo per l’ipotesi di truffa allo Stato su 126.000 euro di cassa integrazione a zero ore dei dipendenti di Visibilia in periodo Covid (che avrebbero continuato a lavorare non avendo ricevuto alcun avviso dall’azienda, ndr) udienza preliminare congelata dalla giudice Tiziana Gueli sino a marzo in attesa che la Cassazione risolva una preliminare questione di competenza territoriale (tra Milano e Roma) posta dalla difesa. Santanchè, inoltre, è già indagata per l’ipotesi di concorso nella bancarotta della società del settore bio “Ki Group srl” in liquidazione giudiziale (come peraltro pure “Bioera spa”, società del settore dell’alimentare biologico) con un passivo di 8,6 milioni di euro». Per soprammercato, Ferrarella ricorda anche che «una “Sos-Segnalazione di operazione sospetta” ha poi determinato l’anno scorso la Procura ad aprire un fascicolo sulla singolarità del favoloso affare immobiliare realizzato dal compagno della senatrice (Dimitri Kunz) e dalla moglie del presidente del Senato Ignazio La Russa (Laura De Cicco), allorché trattarono nel luglio 2023 la villa a Forte dei Marmi venduta un mese prima di morire dal sociologo Francesco Alberoni a prezzo largamente inferiore a quelli di mercato, il che permise al tandem di coniugi di personalità istituzionali di completare formalmente in 58 minuti il 10 gennaio 2023 prima l’acquisto per 2 milioni 450 mila euro, e poi una plusvalenza di 1 milione attraverso l’immediata vendita per 3 milioni 450 mila euro all’imprenditore Antonio Rapisarda, che già a ottobre 2022 aveva anticipato 1 milione di acconto». Parlando con Monica Guerzoni, Santanchè di dice «tranquilla, di più, tranquillissima. È un reato valutativo, per il quale ero già stata archiviata nel 2018. Stiamo parlando del niente». Non così tranquilla è, forse, la premier Giorgia Meloni – che lunedì sarà a Washington per l’Inauguration Day di Donald Trump – alla quale la segretaria del Pd, Elly Schlein, il leader 5 Stelle Giuseppe Conte e altri esponenti delle opposizioni hanno subito chiesto di spingere Santanchè a lasciare l’incarico ministeriale. «Una presidente del Consiglio non può usare due pesi e due misure, soprattutto verso gli amici che lei ha voluto al governo e per cui adesso è politicamente responsabile. Il processo farà il suo corso, ma quando le accuse sono così gravi chi ricopre cariche istituzionali deve fare un passo indietro», attacca Schlein. «In nessun altro Paese si terrebbe un ministro di fronte ai fatti che stanno emergendo», rincara Conte, annunciando una nuova mozione «con la richiesta di dimissioni immediate». Sia Lega che Forza Italia ribattono che si è colpevoli soltanto dopo tre gradi di giudizio. Ma Massimo Franco, nella sua Nota, conferma che «la questione è delicata, per l’esecutivo. E qualunque scelta la premier Giorgia Meloni compirà, comporterà un prezzo: sia che accolga le richieste delle opposizioni, pronte a ricordarle quando, in minoranza, invocava le dimissioni di ministri avversari anche solo per un avviso di garanzia; sia se, come sembrerebbe, deciderà di prendere tempo, e dunque di lasciare al suo posto la titolare del Turismo, per evitare scossoni. (…) Dopo la solidarietà degli alleati, sorprenderebbe uno strappo di Giorgia Meloni: sebbene la questione non possa essere sottovalutata». Il tempo dirà se anche un’altra annotazione di Franco sarà confermata: «Non si può non notare in parallelo come gli umori dell’opinione pubblica appaiano diversi, rispetto ad alcuni anni fa. Allora, bastava un provvedimento della magistratura per suscitare indignazione e provocare una reazione contro l’esponente politico di turno: umori antipolitici venati dal manicheismo. Un rinvio a giudizio per l’ipotesi di reato di falso in bilancio avrebbe portato a dimissioni immediate. Oggi, con un potere giudiziario sulla difensiva e un disincanto diffuso, il sospetto è che la questione Santanchè venga osservata con una certa distrazione, quasi con una punta di indifferenza». Per il momento, Santanché incassa l’appoggio di alleati e non («Il governo si è compattato, sono usciti in mia difesa Salvini, Tajani, tutta la Lega, Forza Italia, Noi Moderati e persino Renzi, che di solito ce ne fa di tutti i colori») e si dice convinta di poter continuare nel suo incarico, permettendosi anche una frecciata a chi le chiede di lasciare («La presidente della Sardegna Alessandra Todde sta ancora al suo posto, nonostante sia stata dichiarata decaduta»). Ma, avvertendo la «freddezza» dentro Fratelli d’Italia (e il silenzio della presidente del Consiglio), Marco Cremonesi azzarda: «Non è più detto che per decidere l’uscita di Santanchè la premier voglia attendere i pronunciamenti della magistratura su un altro processo, quello che tutti in maggioranza, e Meloni per prima, sembrano considerare più grave: la presunta truffa all’Inps per le casse integrazioni di Visibilia durante il Covid. Una exit strategy, per la ministra del Turismo, potrebbe essere decisa prima delle pronunce dei giudici». L’istantanea della situazione attuale che Ferrarella scatta in un suo corsivo è questa: «Funziona così: se uno dall’atteggiamento ritenuto “molesto” è solo “destinatario di segnalazioni dell’Autorità giudiziaria”, per lui una recente norma fa scattare il “divieto di stazionare” in “zone rosse” come stazioni e piazze; se una ministra è non solo denunciata, ma già rinviata a giudizio per falso in bilancio, nessuna “zona rossa” scatta a non farla più “stazionare” a Palazzo Chigi, nessun “foglio di via” dal governo, almeno fino a ieri sera».
Daniela Santanchè con Giorgia Meloni (foto Andrea Lasorte/Ansa)) La Corte Suprema degli Stati Uniti era l’ultimo appiglio giuridico a disposizione di TikTok per evitare la messa al bando negli Usa Chiamata per esprimersi in merito alla costituzionalità della legge firmata da Joe Biden lo scorso aprile, ha di fatto confermato quanto già deciso. La piattaforma verrà vietata a tutti gli utenti statunitensi a meno che non venga venduta a una società americana. «Per farlo, ha letteralmente i giorni contati – spiega Michela Rovelli -. Secondo quanto riportato nella legge, il blocco entra in vigore il 19 gennaio. L’unica speranza, ora, è la politica. Il divieto di operare negli Stati Uniti scatta a 24 ore dall’insediamento del nuovo presidente, Donald Trump. Che ha sin dalle elezioni dimostrato un’apertura nei confronti di TikTok. Prima con un incontro con il Ceo Shou Chew a Mar-a-Lago, da cui è uscito dicendo che «il social ha un posto speciale nel mio cuore» – il Ceo parteciperà tra l’altro alla cerimonia di insediamento – poi con l’ipotesi – riportata dal Washington Post – di un ordine esecutivo per ritardare il blocco di 60-90 giorni. In questo modo potrebbe intervenire nella trattativa in qualità di presidente in carica. E così probabilmente sarà. Appena dopo l’annuncio della Corte Suprema ha dichiarato alla Cnn che sarà lui a dire l’ultima parola sulla questione TikTok: “Alla fine spetta a me, quindi vedrete cosa farò. Il Congresso mi ha affidato la decisione, quindi sarò io a prenderla“». (Ieri Trump ha avuto anche una telefonata con il presidente cinese Xi Jinping). Dice il politologo Ian Bremmer, a Giuseppe Sarcina, che TikTok «non rappresenta una reale minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. Per Donald Trump è un affare personale, se non altro per i finanziamenti che ha ricevuto dai proprietari cinesi della piattaforma. Ma non vuole creare un incidente con Xi Jinping».
Le «domande e risposte» di Elena Meli sui medicinali per il diabete che fanno anche dimagrire. L’editoriale di Aldo Cazzullo sulla crisi tedesca e la svolta politica in arrivo: «La Germania a destra è una cosa che nelle nostre vite non avevamo ancora visto; e sarà la prima grande novità politica dell’anno». La rubrica di Paolo Lepri, dedicata a padre Akalatovich, Il sacerdote cattolico di origine polacca che un tribunale di Minsk ha condannato il 30 dicembre a undici anni di reclusione per «alto tradimento». La difesa di Ernesto Galli della Loggia delle linee guida sull’insegnamento della Storia presentate dal ministro dell’Istruzione Valditara. Il Caffè di Gramellini Poiché siamo entrati nell’era della politica a fumetti, dove un emoticon pesa più di una parola e una foto più di un comizio, mettere a confronto i due santini presidenziali del Babau in Chief non è un vuoto esercizio stilistico. Ebbene, più li guardo, il Trump di otto anni fa e quello di adesso, più trovo maggiori motivi di inquietudine nel ritratto del 2016, quando strizzava gli occhi e sorrideva. Era un sorrisone appuntito, da venditore porta-a-porta di incubi, uno squalo pronto ad addentare. Il Trump di ritorno ha scelto un’immagine di sé più cupa, che però proprio per questo risulta paradossalmente meno angosciante. Certo, ha le labbra contratte, il sopracciglio in salita e lo sguardo da John Wayne all’uscita dal saloon un attimo prima di mettere mano alle pistole. Il suo volto non manda più segnali di seduzione, ma di minaccia. Però a me sembra un atteggiamento. Una posa. Ci sta dicendo: io non sono cattivo, io faccio il cattivo. I nemici dell’America scambiano la gentilezza per arrendevolezza, perciò alzano la voce e pure le mani. Ma restano dei deboli: se li guardi storto, righeranno dritto; se minacci di far loro del male, non avrai bisogno di farglielo. Una visione del mondo, e dell’uomo, che non entusiasma me, ma i suoi elettori evidentemente sì. In ogni caso, il film «Trump 2 la vendetta», in tutte le sale da lunedì, non mi fa troppa paura. O comunque me ne fa meno di «M il figlio del secolo», che in questo secolo si chiama Musk. Grazie per aver letto Prima Ora e buon fine settimana (qui il meteo) (Questa newsletter è stata chiusa all’1.30) gmercuri@rcs.it, langelini@rcs.it, etebano@rcs.it, atrocino@rcs.it. |
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