Le magnifiche 7 aziende americane su cui investire (ancora) nel 2025

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Li chiamano «I Magnifici 7». Anche loro, come i protagonisti del film western, cavalcano la frontiera, ma quella delle tecnologie che dominano il 21° secolo. Intelligenza artificiale, auto elettriche, e-commerce, big data, social media sono i loro terreni di caccia. A unirli, oltre alla passione per l’hi-tech, due caratteristiche: tendono a dominare i rispettivi mercati e sono grossi, molto grossi. Non tanto in termini di fatturato, ma per valore di Borsa. I Magnifici 7, cioè Alphabet (Google), Amazon, Apple, Meta (Facebook), Microsoft, Tesla e Nvidia, ultimo arrivato, hanno raggiunto quotazioni da capogiro e la loro capitalizzazione complessiva si aggira sui 18 mila miliardi di dollari. Un numero gigantesco che rappresenta più di un terzo del valore di tutti i titoli quotati a Wall Street (suppergiù 50 mila miliardi) e addirittura il 15 per cento dell’intero universo delle azioni trattate a livello mondiale. Sono cifre che impongono anche un’altra riflessione: ovvero quanto stia diventando sempre più grande la Borsa di New York, il luogo dove ormai qualsiasi impresa del pianeta vorrebbe quotarsi e dove affluisce il risparmio da ogni parte del globo. Tant’è vero, come rivela un’analisi di Deutsche Bank, che il valore attribuito ai Magnifici 7 è talmente elevato da essere paragonabile ai mercati azionari di nazioni come Giappone, Francia e Regno Unito. Per dare un’idea di quali dimensioni stiamo parlando, con una capitalizzazione di 3.800 miliardi la Apple vale da sola quattro volte la borsa italiana.

Che questi pesanti elefanti si aggirino indisturbati nella cristalleria di Wall Street inizia a impensierire analisti e gestori. Negli ultimi 30 anni l’incidenza delle prime sette azioni sull’indice S&P 500 della Borsa di New York è stata del 16,5 per cento mentre oggi è al 36 per cento, il massimo storico in termini di concentrazione in un numero così ristretto di società. Anche al culmine della bolla tecnologica del Duemila, i primi sette titoli pesavano per il 20 per cento. Tra l’altro, la quota del 36 per cento raggiunto dai Magnifici 7 contrasta con la loro più modesta incidenza su vendite e guadagni: costituiscono solo l’11 per cento del fatturato di tutte le aziende dell’indice S&P 500 e il 24 per cento degli utili totali.«Questa concentrazione record rappresenta un rischio specifico significativo per i portafogli degli investitori» segnala un report della Bnl-Bnp Paribas. Il problema non riguarda tanto l’investimento nei singoli titoli: un risparmiatore che compra l’azione di un’azienda farmaceutica o alimentare non dovrebbe essere interessato più di tanto all’andamento di una Apple o di una Nvidia. Ma il grande peso dei sette titoli su Wall Street è una minaccia per chi investe sugli indici, utilizzando gli appositi fondi o Etf. Un eccessivo livello di concentrazione può infatti aumentare la vulnerabilità del mercato a eventuali correzioni, poiché una flessione significativa in uno di questi titoli potrebbe avere un impatto sproporzionato sull’intero indice. È vero, ammette Alessandro Parravicini, gestore di grande esperienza e autore del libro Jungle Guide. Investire: il modo più difficile per fare soldi facili, stiamo assistendo a «un’anomalia nella storia dei mercati finanziari e potrebbe causare momenti imprevisti di volatilità, soprattutto attraverso strumenti di investimento come gli Etf, che replicano agnosticamente la composizione degli indici e quindi l’andamento dei mercati». Gli Etf (Exchange traded funds) che «copiano» l’indice S&P 500 o il Nasdaq 100 sono una trentina, sono molto popolari e presenti nei portafogli di milioni di risparmiatori. Quelli che replicano in particolare il New York Exchange vantano un patrimonio di oltre 1.800 miliardi di dollari. Nei primi sei mesi di quest’anno, ricordano gli analisti di Bnl-Bnp Paribas, «abbiamo assistito a 100 miliardi di dollari di nuovi afflussi su soli quattro Etf quotati negli Stati Uniti e basati sugli indici S&P 500 o Nasdaq 100». È evidente che se l’innamoramento dei mercati verso i titoli dell’hi-tech dovesse improvvisamente raffreddarsi, gli indici subirebbero una caduta sproporzionata, danneggiando chi era convinto di aver puntato su uno strumento equilibrato che mette insieme titoli tecnologici con quelli di banche e aziende tradizionali.

Ma arriviamo alla domanda cruciale: per quanto tempo ancora durerà la festa per i Magnifici 7, per le azioni legate all’intelligenza artificiale e per le imprese quotate dell’alta tecnologia? «Come accade per tutte le bolle e le “manie” dei mercati finanziari, è sempre pericoloso cercare di prevederne la fine» si legge nel white paper di Bnl-Bnp Paribas. «La storia ci insegna che questi trend estremi possono persistere molto più a lungo di quanto si possa ritenere ragionevole, a causa dalla resilienza dell’ottimismo umano in tali contesti».Parlare di bolla in questo caso probabilmente è eccessivo, perché Google, Apple, Tesla o Nvidia fanno mestieri diversi in settori differenti: un calo delle vendite di iPhone non è detto che contagi chi realizza chip per l’intelligenza artificiale. Ma certamente la performance azionaria di questi giganti è impressionante: negli ultimi otto anni i prezzi delle azioni dei Magnifici 7 sono aumentati complessivamente del 1.450 per cento, ovvero in media del 40 per cento all’anno. «Le valutazioni di mercato elevate» sottolinea il report «indicano aspettative di profitto ottimistiche». In effetti le quotazioni delle sette super-aziende «sono arrivate a livelli estremi con un Price/Earning (cioè il rapporto tra prezzo e utili, ndr) stimato di 34. Questo è quasi il doppio del P/E delle restanti società dell’indice S&P 500, che vengono scambiate ad un molto più modesto P/E di 19».

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Va tuttavia detto, ribatte Parravicini, «che le valutazioni di gran parte delle Mag-7 sono sì care ma lontane dai livelli visti durante la bolla delle “Dot-Com” di 25 anni fa e, a differenza di allora, sono sostenute da una reale crescita di utili e fatturato». E infatti le principali banche e istituzioni finanziarie riconoscono il potenziale di crescita dei titoli tecnologici americani nel 2025, ma sottolineano anche la necessità di considerare i rischi associati alle valutazioni elevate e alle incertezze geopolitiche. E poi c’è sempre il rischio di cadere nella «fallacia della mano calda», come ricorda Nicolò Bragazza, associate portfolio manager di Morningstar Investment Management, cioè la tendenza a pensare che i vincitori debbano continuare a vincere. E sebbene possa funzionare in alcuni casi, «non è una strategia valida per ottenere buoni risultati a lungo termine».

In altre parole un risparmiatore potrebbe essere tentato di investire nei Magnifici 7 dopo che hanno registrato grandi guadagni in questi ultimi anni: perché cercare investimenti altrove quando questi titoli stanno andando così bene? «Questa fallacia espone gli investitori a rischi significativi se il “sentiment” si inverte e i vincitori diventano perdenti» precisa Bragazza. «E quando si parla di intelligenza artificiale, anche se nessuno mette in dubbio che si tratti di una tecnologia dirompente con il potenziale di cambiare radicalmente la nostra vita quotidiana, trovare i principali beneficiari è molto difficile e i vincitori di oggi potrebbero non essere i maggiori vincitori di domani». Conclusione: è possibile che la Borsa di New York e i titoli tecnologici, trascinati dall’effetto Trump, dal calo dei tassi e dal benefico effetto dell’intelligenza artificiale, continuino a crescere anche nel 2025. Ma un portafoglio ben diversificato, magari con azioni con buone prospettive di crescita e valutazioni più abbordabili, è la migliore polizza di assicurazione contro il rischio che i Magnifici 7 si stanchino di galoppare e si prendano una pausa.





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