Minacciate e in passato parzialmente distrutte dagli incendi, le foreste dell’area transfrontaliera tra Italia e Slovenia chiedono innovazione a chi le gestisce e maggiore attenzione a chi le abita. Con la leva del turismo sostenibile, un progetto europeo prova a ottenere entrambe
Da metà giugno a fine agosto una trentina di incendi ha danneggiato 900 ettari di foreste carsiche italiane di cui 500 erano vicino al confine sloveno. Lí altri ne sono scomparsi per lo stesso motivo e, nel complesso, vicino a Gorizia si è formata una “macchia bruciata” di vegetazione ampia oltre 4000 ettari, visibile anche da satellite.
Era il 2022, “non si era mai visto qualcosa di simile prima e mai lo avremmo immaginato possibile, nonostante i nostri decenni di esperienza in questa regione – ricorda Paolo Benedetti – infatti da quella estate la percezione del pericolo è cambiata, tutta la vita è un po’ cambiata, e anche la gestione del territorio dovrebbe cambiare. È stato come correre dietro a un fuoco inarrestabile, una situazione che non vorrei mai più si ripetesse”.
Benedetti quell’estate era in prima fila a combattere le fiamme che minacciavano i boschi del Carso come direttore delle operazioni di spegnimento (DOS). Oggi è dirigente dell’Ispettorato forestale di Trieste e Gorizia ma ogni estate ripensa al 2022, blocca il respiro per un momento e dirige lo sguardo sull’area transfrontaliera, cercando di percepirne la vulnerabilità agli incendi.
Terra carsica, terra da fuoco
Un anno così drammatico non si è più ripetuto: nel 2022 “si arrivava da almeno due mesi di forte siccità e venti forti decisamente anomali, con direzione molto variabile – spiega Benedetti – Il disastro è stato visibile anche da satellite, per attraversare alcune aree devastate ci volevano a volte anche 20 minuti di macchina”.
Il 2023 è stato “tranquillo”, ma il 2024, pur essendo risultato un buon anno, ha segnato alcuni episodi molto intensi e violenti che a Benedetti e agli altri esperti hanno subito ricordato quelli del 2022. “Le fiamme erano molto violente e improvvise, avanzavano veloci verso abitazioni e infrastrutture: siamo preoccupati – confessa – è chiaro che siamo di fronte a una nuova generazione di incendi. Chi conosce o vive nell’area se ne è subito accorto, si percepisce che qualcosa sta cambiando”.
Le alte temperature estive, la presenza di aree boschive incolte, le asperità del terreno, sono fattori che in generale aumentano il rischio e la pericolosità degli incendi oltre che la difficoltà di domarli. Nelle foreste carsiche esistono dei fattori specifici che su scala locale aggravano il fenomeno. “La terra trattiene meno acqua e il terreno è povero, quindi crescono specie arbustive e alberi più superficiali che sono più sensibili alla secchezza del terreno”, spiega Benedetti, iniziando a elencare specie arbustive oleose come carpino, frassino, orniello, che rendono la boscaglia più infiammabile.
Secondo Renato La Rosa di Legambiente Friuli Venezia Giulia nell’elenco di “fattori abilitanti” per le fiamme vanno inserito anche il sottobosco di piante lianose “che portano il fuoco in alto” e la forte frammentazione delle proprietà.
“Le parti di bosco rimaste pubbliche e di gestione regionale sono pochissime, la maggior parte è privata e di tantissimi proprietari diversi – spiega – questo rende più complesso realizzare interventi coordinati come il diradamento e lo sfollo massiccio di particolari specie”, spiega La Rosa. “Serve una spinta istituzionale per incentivare il privato a una gestione forestale più virtuosa, con tanto di piani di prevenzione antincendio e di preservazione e sviluppo di specie autoctone. Altrimenti, non esiste un forte interesse da parte dei singoli abitanti a muoversi in tal senso, soprattutto in un territorio come questo dove stanno scomparendo le competenze legate alla cura dei boschi. Pochi ancora vi svolgono attività agricole, di silvicoltura e pastorali, molti li abbandonano ed emigrano”.
Due scuole di pensiero, una sola foresta da salvare
Ciò che racconta La Rosa si riferisce soprattutto all’Italia, “di là è un po’ diverso” aggiunge infatti, e Benedetti spiega in che senso, dal suo punto di vista di esperto in foreste attivo sul campo.
“In Slovenia esiste una maggiore cultura del bosco, vigono regole di intervento differenti e anche la gestione dei volontari lascia maggior spazio a un’azione diretta sul territorio – afferma Benedetti – Oltre il confine, il bosco è decisamente meglio percepito, esiste un maggior legame con gli abitanti che partecipano alla gestione e se ne prendono cura”.
Anche guardando al “post-2022”, la differenza di approccio emerge forte. In Slovenia si è scelta la formula “taglio e rimboschimento”, in Italia si è preferito lasciare che il bosco rinascesse da solo. “Non si tratta di incuria – precisa Benedetti – seguiamo due diverse scuole di pensiero nella gestione del patrimonio forestale”.
La strategia italiana mira a scoprire nuovi trend sia nelle tipologie di specie presenti, sia nelle loro modalità di sviluppo e diffusione dopo un incendio e durante la crisi climatica.
“Finora stiamo notando una forte prevalenza di piante termofile, ma siamo solo all’inizio” spiega Benedetti, assicurando che la diversità di approcci non ostacola il confronto transfrontaliero tra esperti, anzi “esiste uno scambio di informazioni e best practices regolare e continuo, oltre a un’efficace collaborazione in caso di incendi”.
Volendo migliorare la gestione dei boschi carsici, volendo “andare oltre”, il confine da superare non è geopolitico ma metodologico.
“Serve passare a un approccio più tecnologico, adottando strumenti che minimizzino interventi diretti e pericolosi, e investendo sulle infrastrutture – spiega Benedetti – le aree boschive carsiche sono molto critiche: qui non siamo in alta montagna ma in presenza di numerose case e strade”.
La sua è la prospettiva di chi è in prima linea nello spegnimento degli incendi, La Rosa che vi ha assistito non meno preoccupato ma dalle retrovie, per poi agire nel post “episodio acuto”, sottolinea anche la forte necessità di sensibilizzazione del territorio. “Soprattutto dal lato italiano, serve che i cittadini si prendano maggiormente cura del territorio, iniziando dal percepirlo come proprio e vivendolo in modo differente”.
Percorsi turistici sostenibili verso un ritorno alla natura
Non si può insegnare ad abitare un bosco, non si può imporre a nessuno di sentirsi a esso connesso, sia La Rosa che Benedetti lo sanno bene. La relazione tra l’essere umano e l’ambiente si può però (ri)costruire nel tempo ed è ciò che si sta cercando di fare con KRAS-CARSO II .
In un territorio delicato e complesso come quello carsico, diviso geopoliticamente, ma non sotto il profilo ambientale, questo progetto interreg europeo scommette sul turismo transfrontaliero e mira a rilanciarlo, come leva per accendere la voglia di prendersi cura del territorio.
Unisce conservazione e promozione del patrimonio culturale con buone pratiche di turismo sostenibile e attenzione all’inclusione sociale, e lo fa introducendo innovazioni sia tecnologiche che strategiche.
L’obiettivo è quello di realizzare prodotti turistici integrati che valorizzino il Carso sia dal punto di vista geologico che culturale e, allo stesso tempo, anche digitale, attraverso realtà virtuale e tecnologie immersive.
Questo percorso di riappropriazione del territorio sarà rigorosamente transfrontaliero e sconfinerà anche in ambito gastronomico, grazie al confluire di prodotti locali sia italiani che sloveni sotto a un unico marchio di qualità creato ad hoc.
Ne attesterà l’origine carsica, da sbandierare fieramente in tutti i numerosi eventi transfrontalieri che si prevede di organizzare coinvolgendo anche gruppi vulnerabili, come le persone con esigenze speciali e la popolazione anziana.
Negli obiettivi del progetto, compaiono anche l’acquisto di un furgone elettrico per collegare le località turistiche nell’area del Carso Classico con i trasporti pubblici, e l’inserimento del geoparco transfrontaliero Kras-Carso nell’elenco globale dell’UNESCO.
Si iniziano a connettere i territori turistici e le aree protette tra loro, sperando poi di riuscire a riconnettere l’uomo con la natura. La deadline è gennaio 2026.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Cohesion4Climate” cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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