Ex Ilva, dubbi sulle tre proposte per la vendita. Chiesti chiarimenti agli offerenti

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Le dieci offerte per Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, sono da una settimana sul tavolo dei commissari che al Governo hanno già riportato il quadro della situazione. Ma le tre offerte che puntano ad acquisire l’intero gruppo AdI senza frazionamenti (le altre sette, invece, concorrono per singole attività), ovvero Baku Steel Company CJSC e Azerbaijan Investment Company OJSC (Azerbaijan), Bedrock Industries Management Co Inc (Stati Uniti) e Jindal Steel International (India), non convincono ancora commissari e Governo. Non vanno bene.

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Ci sono aspetti poco chiari ed elementi da approfondire. E queste carenze riguardano tutte e tre le offerte, visto che i commissari per ora si stanno concentrando su coloro che vogliono Acciaierie per intero in quanto puntano a vendere l’azienda in un blocco unico con tutti i suoi stabilimenti.

La richiesta di chiarimenti

Non viene mosso un rilievo uguale per tutti, ma su ciascuna offerta sono state avanzate osservazioni e richieste delucidazioni, sia perché le proposte non sono tutte uguali, sia perché ciascuna ha uno o più specifici punti per il momento ritenuti deboli o non adeguati.

I tre offerenti principali sono stati quindi invitati a precisare meglio i contenuti di quello che presentano in relazione ai quesiti posti e a loro è stato dato tempo sino a fine mese. Dopodiché è evidente che si aprirà un’altra fase di valutazione.

Le precisazioni chieste riguardano anche l’aspetto economico, ovvero prezzo di acquisto e investimenti per l’ex Ilva? Non lo si può escludere, soprattutto se le cose che devono essere modificate possono comportare elementi legati a questa voce. Sembra confermato che Vulcan Steel guidata da Naaven Jindal – fratello di Sajjan Jindal, che è invece a capo di JWS impegnato a Piombino – sia la realtà in pole. Un report dell’ufficio studi di Siderweb la descrive così: “Jsis è il più grande produttore privato di acciaio nella regione del Golfo Persico. Con una capacità di produzione di acciaio grezzo pari a 2,4 milioni di tonnellate all’anno, Jsis è considerato il fornitore preferito e affidabile di semilavorati e prodotti lunghi di alta qualità per i clienti nelle principali economie in rapida crescita di Oman, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita”.

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A ciò si aggiunga, riferisce sempre Siderweb, Vulcan Green Steel (Vgs), “la nuova divisione focalizzata sulla produzione di ‘acciaio verde’ del gruppo Jindal Shadeed Iron & Steel LLC (Jsis) a sua volta controllato dal gruppo indiano Jindal Steel and Power Ltd (Jsp). Ubicata nell’Oman, Vgs è destinata a diventare un innovativo complesso siderurgico greenfield con una capacità produttiva di acciaio verde iniziale (a partire dal 2026) di 3 milioni di tonnellate e a regime di 5 milioni di tonnellate”.

Baku Steel, invece, produce 800mila tonnellate di acciaio all’anno, l’azera OJSC, che è insieme a Baku, è un attrattore e promotore di investimenti nel settore non petrolifero, mentre l’americana Bedrock è una società che nel campo dei metalli e delle miniere, possiede e gestisce asset e società attraverso la loro acquisizione e ottimizzazione (lo ha già fatto nell’acciaio con la canadese Stelco). Tuttavia questo è un posizionamento a priori, non trascurabile certo, ma è evidente che il merito lo stabiliranno la gara in corso e come evolveranno in senso migliorativo le offerte.

Allo stato sono tutti e tre in competizione, altrimenti i commissari di AdI, Fiori, Quaranta e Tabarelli (ma nell’esame della situazione sono coinvolti anche i commissari di Ilva, Danovi, Di Ciommo e Savi e il bando di gara è firmato da tutti e sei) non avrebbero chiesto chiarimenti a ciascun soggetto.

Inoltre, si ritiene prematuro parlare adesso di possibile fusione tra Jindal e Baku, visto che quest’ultimo, anche se ha una struttura produttiva minore rispetto agli indiani, può mettere a disposizione il gas che serve per la transizione dagli altiforni ai forni elettrici. Al momento, Jindal è ritenuto solido e strutturato già da solo, persino più forte dello Jindal in campo a Piombino. Relativamente al prezzo di acquisto, gli investitori volerebbero basso, ma fonti vicine al dossier osservano che mai né AdI, né Ilva, hanno parlato di possibile ricavo attorno ad un miliardo e mezzo, e che questo dato, pure presente in una relazione dei commissari AdI dell’estate, è frutto di valutazioni precedenti, legate anche alla stima dei danni attribuiti alla gestione precedente. Viene inoltre abbassata da parte dei potenziali acquirenti l’asticella degli occupati, oggi 10mila nel gruppo di cui 8mila a Taranto. In particolare, per il prezzo si sconta lo stato degli impianti e la condizione dell’azienda (secondo fonti sindacali AdI perde un milione al giorno), mentre per gli occupati ve ne saranno meno dovendo la “nuova” Ilva riconvertirsi nei forni elettrici. Non perché il taglio lo stabilisca il nuovo arrivato, ma perché è il ciclo dell’elettrico che lo impone. E si può presumere che quello che non è stato postato sul prezzo d’acquisto, sia stato caricato sugli investimenti. Jindal, per esempio, annuncia 2 miliardi in tal senso e la costruzione di due forni elettrici per produrre 6 milioni di tonnellate l’anno con il preridotto di ferro che inizialmente verrebbe dall’Oman.

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