«Sì allo Stato, no allo spezzatino»

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Sì allo Stato nel capitale dell’Ilva che verrà, cioè quella che nascerà dalla privatizzazione, e no alla vendita frazionata del gruppo, e cioè a pezzi, un rischio non ipotetico, quest’ultimo, se si considera che su dieci offerte arrivate ai commissari dell’amministrazione straordinaria, sette, la maggioranza, riguardano i singoli asset (e in questo segmento dominano gli italiani tra cui Marcegaglia), mentre solo tre vogliono l’azienda per intero e sono tutti stranieri: India, Azerbaijan e Usa. Ieri a Bari per un’assemblea del proprio sindacato, Michele De Palma, segretario generale Fiom, conferma e ribadisce la linea.

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Una sottolineatura non casuale, visto che la partita della privatizzazione dell’ex Ilva sta entrando nel vivo, con la richiesta di precisazioni sulle offerte che i commissari di AdI hanno fatto ai tre gruppi che vogliono tutta AdI, e che i sindacati sono in attesa di essere convocati dal Governo a Palazzo Chigi per un punto di situazione. «Pensiamo che il tema vero sia la partecipazione dello Stato in equity nel capitale dell’azienda. Poi valuteremo quali saranno le offerte che verranno fatte ma a partire da due pilastri fondamentali: la scelta ambientale e la scelta occupazionale», afferma De Palma.

«Abbiamo bisogno di garantire ai cittadini di Taranto l’ambiente e la salute, ma abbiamo bisogno di garantire ai lavoratori la certezza dell’occupazione» aggiunge De Palma. Che poi sull’offerta di Vulcan Steel del gruppo indiano Jindal (uno dei tre che hanno avanzato un’offerta per l’intera AdI) relativa a investimenti per 2 miliardi per i forni elettrici e la decarbonizzazione a Taranto, commenta: «Vedremo. Noi non conosciamo le offerte. Sinora siamo alle dichiarazioni fatte da Jindal. Dovremo vedere anche quali sono le altre offerte che sono state presentate, ma io penso che il Governo e il Paese non possano permettersi di privatizzare un’azienda strategica dal punto di vista del futuro perché vanno date garanzie sia industriali che ambientali. Non può metterci i soldi lo Stato e poi dopo governare gli altri». Quindi, per la Fiom, lo Stato deve continuare ad esserci. Una strada, però, che il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha chiuso, ritenendo che non vada ripetuta l’esperienza di Acciaierie dove Invitalia, per il pubblico, era partner di minoranza di ArcelorMittal, e che lo strumento attraverso il quale lo Stato vigilerà sul nuovo acquirente e sul suo rispetto degli impegni, è invece il golden power. Vale a dire i poteri speciali che il Governo può esercitare nei settori strategici al fine di tutelare l’interesse nazionale. 

Per ora, quindi, è così per il Governo (Urso lo disse già a metà ottobre, quando venne a Taranto per la riaccensione dell’altoforno 1). Poi se il Governo cambierà la rotta, lo si vedrà. De Palma, inoltre, conferma il no al cosiddetto “spezzatino” per Acciaierie d’Italia. «Sarebbe inaccettabile ma per una ragione puramente industriale – sottolinea -. Non si può produrre acciaio e poi la parte di valorizzazione economica, la trasformazione dell’acciaio, viene ceduta e con essa gli stabilimenti che producono valore aggiunto. Noi abbiamo bisogno di mantenere la produzione di acciaio e allo stesso tempo di mettere a break even, a punto di equilibrio, l’azienda. Quest’anno – ma il riferimento era al 2024 – ndc) sono stati prodotti meno di 2 milioni e 300 mila tonnellate. È il minimo storico per l’Ilva. Noi dobbiamo rilanciare la produzione di acciaio ma ovviamente garantendo ambiente, salute, sicurezza e lavoro». 
Allargando la visuale alla Puglia, il leader della Fiom osserva che vi sono troppe vertenze. «Bisognerebbe – aggiunge – che con la Regione e il Governo certe vertenze vengano chiuse e per poterle chiudere c’è bisogno di investimenti, investimenti del sistema industriale e pubblici. Noi il 5 febbraio – annuncia De Palma – saremo a manifestare davanti alla Commissione Europea perché chiediamo un piano straordinario d’Europa sui settori principali: siderurgia, automotive, sistema industriale. La stessa cosa chiediamo alla Regione e al Governo. Non si può andare avanti con le dichiarazioni sui giornali senza mai risolvere un problema. In questo momento abbiamo bisogno di garantire ai lavoratori e al sistema industriale una prospettiva anche per la Puglia. Abbiamo bisogno di una politica industriale e va costruita coinvolgendo i lavoratori. Uno dei pilastri fondamentali è il lavoro. Senza il lavoro non c’è transizione industriale».

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