La rivoluzione microbica di BathBact: i bagni chimici diventano biologici

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Come trasformare la puzza in profumo? È questa la domanda che Matteo Curcio si è posto durante una lezione all’università senza sapere che di lì a poco avrebbe fondato BathBact, la startup che sviluppa prodotti a base di microbi per il trattamento dei reflui.

La soluzione che il team ha individuato, ora in fase di brevetto, si applica a quei bagni senza allacciamento alla rete fognaria, sarebbe a dire quelle strutture mobili (che chiamiamo di solito «bagni chimici») molto diffuse nei cantieri ma anche nelle fiere, negli eventi e nelle sedi dei concerti all’aperto. 

Quello che si propone BathBact è di rivoluzionare il settore con una tecnologia sostenibile non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico, a vantaggio degli operatori attivi sul mercato. 

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Matteo Curcio, CEO e founder di BathBact, ci racconta i dettagli del progetto.

Curcio, di cosa si occupa BathBact?

Abbiamo sviluppato un prodotto in grado di eliminare le sostanze chimiche nei bagni senza allacciamento alla rete fognaria sostituendole con un cocktail di microbi, come lo chiamiamo noi, che svolge la medesima funzione. Con la nostra soluzione i bagni diventano da chimici a biologici.

Come funziona la vostra soluzione?

I bagni attualmente in uso impiegano un disgregante chimico chiamato a distruggere i reflui e un profumante. Tali strutture mobili vanno monitorate settimanalmente, hanno bisogno di manutenzione e devono essere pulite internamente. 

A valle di questa operazione, le acque reflue  devono essere portate in un impianto di depurazione acque dove sono sottoposte a un trattamento chimico-fisico. I microbi che noi usiamo con la nostra tecnologia svolgono lo stesso compito e, invece di generare sprechi, hanno una funzionalità continua dal momento che più «mangiano» i reflui, più crescono e più diventano efficaci.

Quali sono i vantaggi?

Ognuno di noi sa che è diverso entrare in un bagno chimico appena installato e in uno che staziona da giorni. Questo accade perché il disgregante chimico si diluisce troppo. L’esempio è quello del pugnetto di sale in un bicchiere d’acqua, messo poi in una pentola e successivamente in una vasca: la capacità di salare cambia a seconda delle proporzioni. 

L’effetto del disgregante si esaurisce man mano che viene meno la sua concentrazione. Questo comporta un costo perché devo aggiungere continuamente una sostanza che non può essere riutilizzata e che oltretutto va gestita in un impianto. Noi invece evitiamo il viaggio all’impianto di depurazione, fornendo a ogni concessionario di bagni mobili una cisterna attrezzata che sostanzialmente fa da separatore. 

Ci spiega nel dettaglio cosa fa il «separatore»?

In basso si stratificano i microbi che andiamo a recuperare quando ne abbiamo bisogno mentre dall’alto esce il refluo che, non essendo stato trattato da sostanze chimiche, in gergo si definisce biotrattato, può andare direttamente in fogna come se fosse quello di una casa o di un ufficio. Il concessionario che fornisce i bagni quindi non ha più bisogno di portare le strutture negli impianti: questo comporta un evidente risparmio di mezzi, carburante e tempo.

L’idea da dove arriva?

Ero al secondo anno di Ingegneria Chimica e Biochimica, e mentre studiavo microbiologia mi sono chiesto se esistesse una specie di microbi che potesse mangiare le molecole che facevano puzza producendo delle molecole che profumassero. A quel punto ne ho parlato con Marco Fazzini, mio compagno di studi, che mi ha dato una prima mano nello sviluppo del prodotto. Ci siamo messi sotto studiando le normative capendo così che non avremmo potuto usare né microbi geneticamente modificati né microbi patogeni, due condizioni che ci avrebbero reso la vita molto più semplice. Finché non abbiamo trovato il cocktail di microbi che faceva al caso nostro.

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Chi c’è nel team oltre a voi due?

Ci sono Pietro Manduchi, economista di formazione, Federico Mancini, studente di Ingegneria informatica, Tommaso Capomagi, anche lui ingegnere chimico, e Tommaso Failli. Il team si è costituito prima grazie allo Startup Day del 2021, e poi tramite contatti e amicizie. 

Abbiamo studiato tutti all’Università di Bologna. Ci siamo costituiti nel marzo del 2022 dopo avere vinto la business plan competition Nuove idee Nuove imprese, un’iniziativa che ci è stata utilissima per comprendere il valore del progetto in termini di mercato, al di là dell’impatto ambientale e di sostenibilità. 

Cosa è cambiato da allora?

Tranne la tecnologia, tutto. All’inizio volevamo andare sul mercato come rivenditori di bagni senza allacciamento alla rete fognaria ma grazie a diversi programmi, come Ecosister Accelerator, abbiamo cambiato modello di business.

Nel 2024, appunto, avete partecipato a Ecosister Accelerator: come è andata?

Abbiamo capito che il vero valore aggiunto del nostro prodotto non era trasformare la puzza in profumo ma che grazie al trattamento ideato da noi il rifiuto poteva andare direttamente nelle fognature. 

Grazie a Ecosister Accelerator abbiamo finalmente realizzato, dati alla mano, che entrare nel mercato con i bagni per noi era insostenibile dal punto di vista logistico perché quello è un mondo in cui serve un expertise non indifferente. Al contrario, il nostro modello di business ora prevede di essere fornitori delle aziende che gestiscono bagni mobili: mettiamo a disposizione la nostra tecnologia a tutti coloro che hanno una rete logistica e di mercato già formata.

Una vera e propria svolta.

Sì perché parliamo di un mercato fortemente concentrato. Non avere molti competitor è uno svantaggio ma se ti presenti come fornitore invece è un vantaggio. 

Essendo i player attivi nel settore dei leoni molto grossi, si scannano per essere i primi a fare innovazione. Quindi da maggio 2024 in avanti ci siamo attaccati al telefono non chiamando più quelli che immaginavamo essere i nostri clienti finali, cioè le fiere, gli organizzatori di concerti e di eventi, ma ci siamo presentati come fornitori facendo un passo più in alto nella filiera. Grazie a questo lavoro abbiamo perfezionato il prodotto avendo le idee più chiare sulla riduzione delle emissioni di CO2 e del risparmio dei viaggi degli autospurghi.

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Ecosister Accelerator ha soddisfatto le vostre aspettative?

Il programma ha molti aspetti positivi, è solido e non viene lasciato nulla al caso. C’è una grande attenzione al dettaglio e fanno parte del percorso dei partner, dei mentor e dei coach di grande livello. Con alcuni di questi siamo ancora in contatto. Abbiamo tratto giovamento dalla revisione sistematica del business plan e dagli incontri one-to-one con i vari esperti.

Quali tappe sono previste nella roadmap di BathBact?

Con una buona dose di realismo dico che il futuro della startup si gioca in questi primi mesi del 2025. Abbiamo bisogno di fondi per realizzare un MVP per validare il prodotto che vorremmo avere pronto per la fine dell’anno

Ci stiamo muovendo sul fronte dei bandi ma stiamo anche trattando con alcune aziende. In questa fase avremmo bisogno di circa 50mila euro. Siamo tuttavia in contatto anche con dei fondi per ottenere un investimento più consistente che ci servirebbe per il lancio sul mercato visto che ci sono già diverse aziende interessate alla nostra soluzione. I numeri ci dicono che se tutto fila liscio dovremmo già raggiungere il break even point nel 2027 con un investimento relativamente ridotto. 

Dal 2029 in poi vorremmo espanderci anche all’estero, in paesi come Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo per arrivare successivamente nei paesi baltici. Non vogliamo trascurare la parte di ricerca e sviluppo: la nostra intenzione è quella di sviluppare una gamma di prodotti per il trattamento dei rifiuti e dei reflui a base di microbi.

Qual è invece il sogno di BathBact?

Vogliamo diventare l’hub di riferimento per lo sviluppo delle tecnologie microbiche per ambiti industriali e non, offrendo anche prodotti per uso domestico sicuri e adatti a tutti. Il sogno è quello che BathBact un giorno sia un brand riconosciuto da tutti, non solo dagli addetti ai lavori.

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Che consiglio dareste a qualcuno che voglia fondare una startup?

Sulla base della nostra esperienza direi di non costituirsi subito perché non sempre conviene. Certo, a volte è l’unico modo di ottenere i primi fondi, ma se potessi tornare indietro non lo rifarei. Da quel momento in poi ci sono i primi adempimenti e le prime spese che sono difficili da sostenere quando non si hanno soldi in cassa. 

Il mio suggerimento è iscriversi a una newsletter come First cercando percorsi di incubazione e di accelerazione. Un solo percorso secondo me non è sufficiente per capire davvero quali siano i problemi da affrontare e non è sufficiente per approfondire tutti gli aspetti del fare impresa. E poi bisogna parlare tanto e con chiunque sia esperto nei diversi ambiti che tocca la startup che si ha in animo di fondare. 

Lo dico perché in un anno e mezzo dalla costituzione non ci siamo resi conto che andare sul mercato con un bagno completo era poco scalabile. 

Non bisogna avere paura di confrontarsi perché non è vero che sono tutti lì pronti a rubarti l’idea. Appena ti costituisci scatta il timer che ti fa cominciare a spendere soldi. 

Avere le idee chiare fin da subito fa risparmiare denaro e rende più solida la startup.

 

 

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