Il “guinzaglio” elettrico è sbarcato nella notte, tra le luci cupe del deserto di quel che fu il Porto Canale di Cagliari. Attracco “segreto” nella più estrema delle banchine, quella già delegata agli esplosivi carichi di morte destinati al Medio Oriente. Il fronte è quello lontano da occhi indiscreti, per “coprire” carichi e scarichi, tutti protesi ai potentati di turno, dai venditori di armi alla più grande delle servitù in terra di Sardegna, quella energetica.
Non sono granaglie
Quando la Wilson Flex I, nave cargo battente bandiera portoghese, aggancia l’ultima cima alla bitta più lontana si percepisce in un attimo che il carico non era di “granaglie”, come si conviene a quelle gru inizialmente autorizzate per le “rinfuse”. La Rhenus-Arkon-Shipinvest, società armatrice a scavalco tra Germania e paesi del Nord Europa, del resto non aveva molte opzioni di carico. Nel suo curriculum ha ben chiaro il core business del futuro: trasporto via mare di pale eoliche di ultima generazione o moduli elettrici industriali.
Carico misterioso
Il carico “misterioso” è tutto avvolto in una sorta di “teflon” bianco che mimetizza ogni dettaglio, rendendo indecifrabili quelle bobine giganti che, una dopo l’altra, occupano il “piazzale del sale” nella punta estrema del canale di Giorgino. La numerazione “cubitale” dei moduli scaricati è l’unica evidenza che traspare oltre la recinzione, interamente “militarizzata” da telecamere rotanti destinate a inquadrare fenicotteri e cornacchie. L’unica indicazione è la rotta di navigazione segnata dai satelliti: dal porto di Dkska, sulla costa più a nord della Danimarca, a Macchiareddu.
Dalla Norvegia a Giorgino
Un viaggio infinito dal nord Europa sino all’estremo sud, considerato che quei cavi, così segretamente “protetti” in quelle bobine d’acciaio, sono stati prodotti nientemeno che a Halden in Norvegia. La salsedine è l’unica alleata della cronaca. I lembi dei cerotti “omissivi”, piazzati per nascondere ogni elemento di quel carico, cedono con l’avanzare del più salato dei maestrali. Le prime rivelazioni sono legate a quel marchio che si svela senza troppi preamboli: Nexans, una delle multinazionali dei cavi, che si è aggiudicata per una cifra spropositata, 650 milioni di euro, insieme a Prysmian, la fornitura di 500 chilometri di cavi sottomarini HVDC, High-Voltage Direct Current, ovvero un sistema di trasmissione di energia elettrica in corrente continua ad alta tensione, per costruire il più invasivo dei “guinzagli” elettrici della storia dell’Isola. I codici omessi da “pezzette” da quattro soldi rivelano il carico: “Tyrrhenian Link cable”. Le indicazioni tecniche del “tesoro”, scaricato davanti alla più deserta zona franca del mondo, emergono quasi in segno di resa alla ventosità della banchina: max back tension 30 kn. È la conferma che quelle “giostre” bianche sono il primo carico del cavo marino-terrestre destinato a sventrare la costa da “Terra Mala” sino a Selargius, 30 km di “talpe” e scavi a cielo aperto, devastando aree agricole e non solo. Quando il piazzale paraportuale diventa impraticabile dalla distesa bianca non resta che pianificare il trasbordo in luogo più appartato e spartano. La carovana, anche questa volta mitigata da sotterfugi clandestini, notturni e percorsi anonimi, lascia il crocevia di Macchiareddu per raggiungere il luogo prescelto per l’attraversamento del “guinzaglio”, l’asse tra Terra Mala e Selargius. La dimora individuata per stivare la prima dose di cavi ultra-elettrici, necessari per infliggere ai sardi lo “scippo” elettrico del secolo, è in terra “coperta”, quella di San Gaetano, frazione di Quartucciu, in un vecchio impianto di “cemento” in aperta campagna. Anche qui sembra che temano la rapina del secolo: ci sono più telecamere che persone, con una gru monumentale che attende il carico per riempire il piazzale delle bobine, guarda caso a due passi dal più pericoloso concentrato di batterie a Litio mai realizzato in Sardegna, insieme a quelli di Portoscuso e Ottana. Terna, dunque, non si ferma. E nessuno ferma Terna. Del resto la società para-statale, braccio di Stato per la trasmissione elettrica, ha sposato in pieno la strategia delle grandi lobby dei potentati energetici e dei “compari” dentro i Palazzi: trasformare la Sardegna nella “ciabatta” elettrica della più finta transizione elettrica mai ideata e perseguita in Europa.
Roba da Corte dei Conti
Il Tyrrehnian Link è l’icona più avanzata di questo progetto, un dispendio di risorse pubbliche senza precedenti, roba che se la Corte dei Conti ci mettesse mano la scossa sarebbe ad alta tensione per tutti. In realtà a pagare questo “salasso” da 3,7 miliardi di euro, sempre che i costi non si moltiplichino ulteriormente, saranno i cittadini, a partire dai sardi. Il danno erariale che si potrebbe configurare è ciclopico: tutto legato all’irrazionalità di un trasporto di energia elettrica per quasi mille chilometri, 970 km per l’esattezza, portando a passeggio la “corrente” come fosse un semplice prodotto energetico. Così non è. I dati che si tengono nascosti, comparati da approfonditi studi di settore, dicono ben altro: la perdita complessiva di energia elettrica nel solo tratto Sardegna-Sicilia arriva statisticamente ad un valore del 33,6 % ovvero, in termini energetici, a circa 336 mega-watt/ora per ogni 1.000 mega-watt/ora immessi alla stazione di conversione. Con la stessa base di calcolo, considerato che il cavo dalla Sicilia poi andrà in Campania, le “perdite” arriverebbero statisticamente allo scandalosa valore del 56,5%, ovvero 565 MWh per ogni 1.000 MWh.
Pagano i cittadini
Il risultato è quello di un’opera che finirà per far pagare ai cittadini-utenti un costo dell’energia esorbitante. L’energia sarà pagata a prezzo d’oro ai signori del vento e del sole, il Tyrrhenian Link ne perderà il 56% in rete, rendendo ancora più onerosa la bolletta scaricando le perdite elettriche negli “Oneri di Sistema” sulle famiglie sarde. Alla faccia del principio-legge che dovrebbe imporre il consumo delle energie rinnovabili in “prossimità” dei luoghi di produzione. In Sardegna, invece, è l’ora dello scippo, tanto pagano i sardi. Con il silenzio di molti, la complicità di troppi.
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