Der Spiegel sembra un carillon

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Ancora Donald Trump sulla copertina di Der Spiegel, nel numero di questa settimana. È la trentesima dedicata al presidente americano in otto anni dal settimanale di Amburgo, forse una di meno o una di più, ho perso il conto. Il titolo è Der Imperator, e un imperatore non è democratico. Il volto è minaccioso. Non basta, Sempre a gennaio Donald appare, ma di profilo, anche sulla copertina di Geschichte, storia, il periodico monotematico dello Spiegel, dedicato ai dittatori, e ai populisti, che ricevo in omaggio in quanto abbonato. E in copertina si fa il nome di Hitler e di Donald Trump come il Führer del III Reich? Ma la rivista non ricorda che il nonno di Trump era bavarese, e anche Hitler, austriaco, cominciò la sua carriera a Monaco. Il presidente americano, in una sua vecchia biografia, sosteneva di avere origine scandinave, perché temeva che le radici tedesche non fossero gradite agli elettori. Il presidente americano, in una sua vecchia biografia, sosteneva di avere origine scandinave, perché temeva che le radici tedesche non fossero gradite agli elettori.

Bisognerebbe stare attenti ai paragoni, ammoniva lo scrittore Martin Walser (scomparso nel 2023 a 96 anni). Per citare troppo spesso l’Olocausto e Hitler si finisce per banalizzare i crimini del nazismo. A Hitler fu paragonato Saddam Hussein, ma era stato alleato degli Stati Uniti contro l’Iran. Venne paragonato a Hitler anche il serbo Milosevic, che l’anno prima era stato scelto come uomo dell’anno dal settimanale, il più grande amico degli Stati Uniti. Anche il siriano Assad era come Hitler, per non dimenticare Gheddafi.

I giovani che ignorano la storia, temeva Walser, possono finire per credere il contrario: Hitler forse non era il genio del male se era simile ai Milosevic o Saddam, ieri amici, e oggi nemici, forse solo perché non graditi. Chi non legge libri di storia, crede a Hollywood e alle serie televisive. Gli antichi romani si comportavano come i nazisti? Non ho visto la serie tv dedicata a Mussolini, tratta dal romanzo di Scurati ma, da quanto leggo, il Duce viene ridotto a una macchietta. Geschichte naturalmente ricorda Mussolini, e anche Berlusconi. Entrambi populisti, sempre come Trump, perché sapevano interpretare i desideri del popolo, erano dei Verführer, dei seduttori, come lo sono oggi gli influencer. Populisti sono sempre gli altri, quelli che non ci piacciono, magari a ragione.

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Parlare alla gente sembra facile, ovviamente non lo è. Tutti i politici fanno grandi promesse prima delle elezioni, come in questi giorni in Germania (si vota il 23 febbraio), meno tasse, aumenti delle pensioni e degli stipendi, e così via. Alcuni sembrano convincenti, altri no. Ricordo che anni fa su un bus a Roma, sentii la conversazione di una coppia di anziani. Lui diceva che avrebbe votato per Berlusconi, perché prometteva a tutti una dentiera gratis. Lei rideva: e tu ci credi? Non importa, rispose il compagno, votare non mi costa nulla, io ci provo, forse Silvio mi regala i denti nuovi.

Populista era anche Helmut Kohl che alla vigilia del Natale del 1989, il muro era caduto il 9 novembre, a Dresda promise ai cittadini della Ddr: siete tedeschi come noi, vivrete come noi all’ovest. Ma aggiunse: appena possibile, sapendo che tutti avrebbero voluto capire tra un paio di mesi, tra un anno. O forse mai. Dipende dal carisma, scrive Geschichte, per spiegare il successo dei politici che ci piacciono, come dire un populismo buono. Aveva carisma Willy Brandt, che mi conquistò appena giunsi in Germania (e non ho cambiato idea). Ma sentii parlare anche lui all’est a Francoforte sull’Oder, sotto la pioggia. Chiesi alla mia vicina che mi proteggeva sotto il suo ombrello: le piace Brandt? Sì, ma voto per Kohl.

Carisma ha per Der Spiegel anche Obama, e io ricordo Kennedy. Non avevo ancora vent’anni, e credetti alla nuova frontiera promessa dal presidente americano. L’anno dopo, nel ‘61, Kennedy, ingannato dalla Cia, ordinò l’invasione di Cuba, sicuro che i cubani si sarebbero ribellati a Castro. Finì malissimo, e io da ragazzo cominciai ad avere qualche dubbio. I politici tedeschi sono quasi tutti contro Trump, ma gli imprenditori si preparano pragmatici ai nuovi rapporti con gli Usa. Sono convinti che non andrà male come si teme. Donald non è simpatico, ma per quattro anni resterà al potere. Accettare la realtà, non equivale a collaborare con un nuovo Hitler, come avvenne nel 1938, quando l’Europa a Monaco si arrese innanzi al Führer.

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