Affari, partito e la carta La Russa: Santanchè ingabbia la premier

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La vicenda di Daniela Santanchè è una gabbia per Giorgia Meloni. Avesse potuto ascoltare la propria indole, la presidente del Consiglio avrebbe chiesto le dimissioni alla ministra del Turismo subito dopo il rinvio a giudizio per concorso in falso di bilancio in quello che dal 20 marzo prossimo diventerà il processo Visibilia.

Un’intenzione che si è infranta contro la realtà. Di mezzo c’è infatti il rapporto con il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che è un tutt’uno con Santanché. In Lombardia il partito è nelle loro mani e la premier non può far finta di niente, scaricandola come ha fatto con Gennaro Sangiuliano nei giorni caldi dell’affaire-Boccia.

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Bocche cucite

Da qui è iniziata “l’operazione-gelo”. Nessuna difesa pubblica di Fratelli d’Italia. Zero dichiarazioni dei dirigenti più in vista, salvo qualche battitore libero alla Guido Crosetto, che ha confermato il suo credo garantista: «L’ho fatto anche con gli avversari», ha sottolineato il ministro della Difesa.

Pubblicamente la posizione dei meloniani è stata: «Spetta a Santanché la decisione». Quasi un sollecito. Solo che la ministra non ne vuol sapere. È andata al consiglio dei ministri di ieri e in post su Instagram ha ripetuto: «Si va avanti».

In privato, anche i big FdI hanno confessato: «Su queste cose decide la leader». Si torna al punto di partenza: non può decidere a cuor leggero. Meloni si è perciò ritrovata ingabbiata, tra la volontà personale e la necessità politica di non scaricare La Russa per interposta ministra.

Una titubanza che ha rianimato le opposizioni. Giuseppe Conte ha chiesto una rapida calendarizzazione della mozione di sfiducia in parlamento. Il Movimento 5 stelle vuole mettere con le spalle al muro Fratelli d’Italia, che intanto continua a sondare i piani B.

Scendono le quotazioni del deputato Gianluca Caramanna e del vicecapogruppo alla Camera, Manlio Messina, crescono quelle del capogruppo al Senato, Lucio Malan. Che però smentisce: «Per quanto ne so al momento c’è lo zero per cento di possibilità che vada al ministero del Turismo», ha detto. Ma non ha pronunciato il “no” categorico: ­«Ove mai mi venisse chiesto si fa quello che ci viene chiesto». Ma «per ora» non è accaduto.

Alleati freddi

Solo che la vicenda-Santanchè inizia a creare irritazione tra gli alleati. Lega e Forza Italia hanno pubblicato la nota di sostegno subito dopo il rinvio a giudizio: «Siamo garantisti, per noi Santanché può andare avanti». Poi sono altri a dover fare altre valutazioni. Un concetto ripetuto più volte dai vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani.

Adesso, però, chiedono chiarezza alla presidente del Consiglio. Se la fiducia nei confronti della ministra del Turismo è venuta meno, bisogna agire di conseguenza. Altrimenti è necessario difendere la ministra e fermare lo stillicidio del logoramento. Perché danneggia lo stesso governo.

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La vicepresidente del Senato, la forzista Licia Ronzulli, ha espresso il concetto in maniera chiara: «Credo che sia necessaria una riflessione tra il presidente del Consiglio e un membro del governo che è anche del partito della Meloni».

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Il problema, per la premier, è sganciare Santanché, con il suo carico di inchieste giudiziarie, dal treno di un partito che in Lombardia è nelle mani di La Russa, pigmalione e poi sponsor della ministra.

Un rapporto, il loro, che risale almeno a una trentina di anni fa, quando La Russa, all’epoca deputato di Alleanza Nazionale, aprì le porte della politica alla sua collaboratrice Santanché, che a Milano si era già fatta notare come organizzatrice di eventi.

Da Berlusconi a Meloni

Tra serate mondane e vacanze in comune, il rapporto ha resistito anche al cambio di casacca della politica-manager. Passata al Pdl di Silvio Berlusconi, Santanché esordì al governo nel 2010 come sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio per poi salire sulla barca dei meloniani all’inizio del 2018, giusto in tempo per conquistare il seggio al Senato nel marzo di quell’anno.

«Sono entrata in politica grazie a La Russa, che ritengo uno dei miei pochissimi amici», ha scritto Santanché nella sua autobiografia. Nell’estate del 2023 si scoprì, grazie a un’inchiesta di Domani, che la moglie del presidente del Senato e Dimitri Kunz, compagno della ministra, avevano guadagnato un milione con la compravendita lampo di una casa a Forte dei Marmi.

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Non appena Visibilia, insieme a debiti e perdite, ha incominciato ad accumulare anche denunce, il presidente del Senato, che è avvocato, è subito andato in soccorso dell’amica finita nei guai.

A dire il vero, La Russa ha anche tentato di prendere le distanze. «Non ho mai lavorato per le società di Santanchè», dichiarò nei giorni in cui emerse l’affare della vila. Parole che vanno a sbattere con le due diffide firmate dal La Russa legale e inviate al giornale MilanoToday per conto della stessa Visibilia e del fondo Negma di Dubai, già finanziatore della società di Santanchè.

I consigli del presidente

In un verbale datato 15 febbraio 2021 di una riunione del collegio sindacale di Visibilia editore si legge testualmente che viene “raggiunto telefonicamente Ignazio La Russa, avvocato penalista che ha esaminato, su richiesta della presidente del consiglio di amministrazione (cioè Santanché, ndr) il materiale ricevuto da alcuni azionisti e dai loro legali”.

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Il verbale fa riferimento alle contestazioni inviate da un gruppo di soci guidati da Giuseppe Zeno. Secondo quanto risulta dai documenti societari, La Russa consigliò di “non intraprendere alcuna azione legale di natura penale nei confronti di Zeno”.

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Alcuni mesi dopo, però, Zeno denunciò gli amministratori di Visibilia. Una denuncia che diede il via all’inchiesta della procura di Milano destinata, nei giorni scorsi, a portare Santanchè, rinviata a giudizio, fin sull’orlo delle dimissioni.

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