© foto di SSC Bari
Sfida a tinte incerte quella tra Cesena e Bari, due squadre a metà classifica ancora in cerca di una chiara identità. I romagnoli, da neopromossi, hanno forse più diritto a un percorso fatto di alti e bassi, ma la vittoria esterna contro la Sampdoria ha acceso entusiasmo e consapevolezza nei bianconeri, con Mignani – ex di turno – deciso a sfruttare il fattore casa per dare continuità. Dall’altra parte, il Bari arriva da due pareggi opachi dopo il roboante successo sullo Spezia e cerca risposte, anche da Bonfanti, il nuovo acquisto chiamato a dimostrare il suo valore. Una partita che potrebbe dire molto sul futuro di entrambe: rincorsa playoff o lotta per una salvezza senza patemi? Peccato che ci si dimentichi che è il Bari a giocare con tutte le sue assurde contraddizioni sociologico-antropologiche.
Non che stessero dando chissà quale apporto, tuttavia al Bari mancavano Lasagna, Novakovic e Vicari, mentre l’assenza di Oliveri si sarebbe fatta sentire. Il Bari, tuttavia, ha dato dimostrazione di esserci sempre in trasferta, quasi mai ha alzato bandiera bianca.
Longo ha scelto così: Radunovic in porta Pucino, Mantovani e Obaretin dietro, Favasuli, Lella, Maita, Benali e Dorval a centrocampo, Falletti e Favilli in avanti.
Il Bari chiude il primo tempo meritatamente in vantaggio dopo una frazione giocata con un piglio nettamente superiore rispetto ai padroni di casa. La squadra pugliese ha imposto ritmo e aggressività fin dai primi minuti, costringendo il Cesena sulla difensiva e spingendolo persino a interventi fallosi al limite. Emblematici, in questo senso, il duro fallo di Adamo su Dorval, punito con un giallo inevitabile, e la gomitata a palla lontana di Calò ai danni di Benali, che ha lasciato i bianconeri in inferiorità numerica. Un’espulsione che potrebbe rappresentare un vantaggio enorme per il Bari, ma che – storia alla mano – spesso i biancorossi non riescono a sfruttare appieno, un aspetto su cui i tifosi e gli addetti ai lavori continuano a interrogarsi.
Nonostante il dominio territoriale, il Bari ha faticato inizialmente a rendersi davvero pericoloso. Una punizione ben calciata da Calò ha sfiorato il palo, mentre Benali ha testato i riflessi di Klinsmann con un destro dalla distanza, ben respinto dal portiere cesenate. Il vantaggio arriva però grazie a una splendida azione costruita sulla sinistra: Obaretin, servito magistralmente da Falletti, trova il cross perfetto per Favilli, che con un tocco da vero numero nove infila Klinsmann alla sua destra, sbloccando il punteggio e premiando la superiorità del Bari.
Lella deve lasciare il campo anzitempo per un infortunio, con Sibilli chiamato a sostituirlo. Nel finale, il Bari continua a controllare il gioco senza però affondare con la necessaria cattiveria. A spezzare il ritmo ci sono ancora episodi fallosi, tra cui un pestone sulla mano subito da Favilli e un colpo alla testa per Benali, che per fortuna si rialza senza conseguenze.
Dopo sette minuti di recupero, il primo tempo si chiude con il Bari avanti e in controllo, ma con la necessità di non ripetere le amnesie del passato e capitalizzare la superiorità numerica nella ripresa.
Il secondo tempo si apre con il Bari ancora padrone del campo e capace di costruire trame di gioco interessanti. Una bella azione tutta di prima vede Falletti servire Maita, il cui cross basso viene deviato in angolo. Poco dopo, Sibilli sfonda sulla sinistra e mette dentro un pallone insidioso, su cui Klinsmann si salva in extremis. Il portiere cesenate è ancora protagonista su un colpo di testa di Sibilli, ben imbeccato da Benali, respingendo il tentativo con sicurezza.
Nel tentativo di dare maggiore freschezza all’attacco, Longo cambia: fuori Favilli, dentro il nuovo acquisto Bonfanti. Poco dopo, spazio anche a Tripaldelli per Favasuli. Tuttavia, la partita sembra seguire un copione ben noto ai tifosi baresi: una squadra dominante che, pur avendo in mano il gioco, non riesce a chiudere la gara con il raddoppio. E quando si lascia in vita l’avversario, il rischio è sempre dietro l’angolo. Soprattutto quando c’è il Bari di mezzo, magari in vantaggio.
A complicare ulteriormente le cose per il Bari arriva l’infortunio di Falletti, sostituito da Bellomo. Ed è proprio in questo momento che il Cesena, fino a quel punto in balia dell’avversario, trova il modo di colpire. Una devastante accelerazione sulla sinistra di Kargbo – lo stesso che anni fa eliminò il Bari nella maledetta finale playoff di Reggio Emilia – mette in crisi la difesa pugliese. Obaretin, in ritardo, falcia La Gumina in area: calcio di rigore. Dal dischetto, lo stesso La Gumina non sbaglia, riportando il punteggio in parità.
La rete cesenate rappresenta una punizione meritata per il Bari, colpevole di non aver chiuso la partita nonostante il controllo assoluto del gioco. Ci si aspetterebbe una reazione veemente, ma la storia biancorossa insegna: il Bari, da sempre, fatica a sfruttare la superiorità e ad imporsi nei momenti decisivi. L’inerzia cambia, il Cesena prende coraggio, e gli uomini di Longo non riescono più a trovare lo spunto giusto.
Alla fine, il Bari viene beffato nel primo vero pericolo in cui si è trovato a dover fronteggiare nell’intero match. Una storia già scritta, prevedibile, quasi cronica nella sua ciclicità: quando non si chiude la partita, la beffa è sempre dietro l’angolo. Viene da chiedersi: ma perché capita sempre e solo al Bari questa situazione da teatro beckettiano dell’assurdo? Perché se ci si fa raggiungere una tantum in superiorità numerica ci sta, può capitare, e può capitare anche due-tre volte, ma che debba capitare sempre, puntualmente, allora è paradossale, ci deve essere qualcosa che va al di là del fatto tecnico e tattico. Diciamo che il Bari è un abbonato fisso della legge di Murphy. Prendiamola a ridere, non ci resta che questo. Anche se è l’amara verità. Non vincere questa gara è un delitto. Al cospetto di due mila baresi ed un avversario inesistente ed inconsistente. E basta. E di La Gumina ne vogliamo parlarne? Nuovo arrivo, sembrava che il Bari fosse interessato a lui, invece va a Cesena e fa gol al Bari. Un classico.
“Errare è umano, perseverare è diabolico” diceva Sant’Agostino, e il Bari sembra aver trasformato questo concetto in un’abitudine frustrante. Ancora una volta, una partita saldamente in controllo si è trasformata nell’ennesima occasione sprecata. Con la superiorità numerica e un avversario incapace di costruire gioco, era impensabile non portare a casa i tre punti. Eppure, il Bari ha gestito più che affondato, palleggiato più che concluso, controllato più che osato. Il risultato? L’ennesima beffa.
Si potrebbe parlare di destino volendola mettere sull’ironia come tante volte siamo portati a fare per sdrammatizzare situazioni drammatiche, calcisticamente parlando, ma qui si tratta di limiti strutturali e mentali. “La storia insegna, ma non ha scolari”, diceva Gramsci, e il Bari continua a ripetere gli stessi errori senza mai imparare. Il possesso palla fine a sé stesso, la mancanza di cattiveria sotto porta e l’incapacità cronica di chiudere le partite sono difetti evidenti, che oggi hanno portato all’ottava rimonta subita in stagione.
Sibilli? Irritante. Una prestazione incolore, quasi fastidiosa, senza mai una giocata degna di nota. E pensare che a Pisa era una riserva, forse non è un caso. Falletti, colui che dovrebbe essere decisivo, è stato impalpabile. Lella, che avrebbe potuto fare qualcosa, guarda caso, è uscito per infortunio. “Quando piove, diluvia”, recita un proverbio inglese, e il Bari sembra condannato a questo destino.
E poi c’è Longo. Il tecnico è un top per la Serie B, vero, ma otto rimonte subite iniziano a pesare. La squadra gioca, ma non uccide le partite quando ce ne sono le condizioni. E se i limiti tecnici e caratteriali sono chiari, allora anche l’allenatore deve prendersi la sua parte di responsabilità.
Si dice che il calcio sia imprevedibile, ma con il Bari non lo è affatto. Il copione si ripete, come in una commedia dell’assurdo, appunto come Samuel Beckett insegna. E la cosa più incredibile? Nessuno sembra riuscire a cambiare questa storia.
Ci si conforta con la bella prova di Favilli. Almeno quello.
Massimo Longo
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