Lo scacchiere geopolitico appare frammentato: spese militari, investimenti in tecnologie e, finalmente, «venti di pace». L’analisi del numero uno dell’Ispi
Lasciato alle spalle l’anno elettorale più grande della storia recente, il 2025 si annuncia come quello in cui i principali attori e le sfide globali saranno chiamati alla prova dei fatti. Insomma, l’anno in cui trasformare le ambizioni in azioni concrete. Donald Trump, in compagnia dell’ingombrante Elon Musk, dovrà dimostrare che le sue promesse non erano solo proclami elettorali. Molti sperano ovviamente nel suo impegno a fermare le guerre, altri temono che finisca per realizzare soprattutto la parte più controversa del suo programma: nuovi pesanti dazi alla Cina (e forse agli alleati); aumento delle spese militari a carico dei paesi Nato; espulsione di milioni di migranti dagli Usa. Ognuna di queste scelte può provocare risposte dai paesi colpiti, reazioni sui mercati finanziari e valutari, e impattare sulle prospettive di crescita di intere regioni del mondo.
Il lato europeo…
In Europa, Ursula von der Leyen, pur riconfermata con un forte mandato, dovrà affrontare sfide enormi: i prezzi dell’energia che da noi sono il triplo rispetto a quelli negli Usa, l’industria in declino, e i rapporti con Washington che si preannunciano complicati sul piano politico (per le interferenze della coppia Trump-Musk), economico (per la minaccia dazi) e di sicurezza (per le incertezze sul futuro e sui costi della Nato). Von der Leyen dispone di ben tre piani strategici: quello di Draghi per recuperare competitività, quello di Letta sul completamento del mercato interno e quello di Niinistö per rafforzare la difesa europea. Ma la «prova dei fatti», il passaggio ad azioni concrete, si preannuncia complessa: il solo piano Draghi richiede 800 miliardi di euro l’anno, quattro volte l’attuale budget Ue. Recuperarli (tempestivamente) con un debito pubblico medio europeo che sfiora il 90% e la crescita che ristagna richiederà un coraggio politico e una coesione di intenti per nulla scontati, considerate le posizioni tradizionali di molti paesi e le attuali difficoltà della locomotiva franco-tedesca. Berlino, al voto a febbraio, dovrà reinventare il proprio modello dopo la fine dell’energia a basso costo dalla Russia e delle esportazioni massicce in Cina. Ha ancora margine fiscale, ma la direzione resta incerta. In Francia, la prospettiva di un voto entro l’autunno lascia il governo senza la forza necessaria per ridurre il deficit e rilanciare l’economia.
…E quello cinese
La prova dei fatti non risparmia neanche la Cina di Xi Jinping. L’obiettivo di rendere il Paese «pienamente sviluppato» entro il 2049 è fortemente ipotecato da una crescita economica in affanno (forse sotto il 5% annuo) e da un debito totale che ha raggiunto il 290% del Pil. Gli stimoli economici a debito non sono più sostenibili e la classe dirigente cinese deve bilanciare le priorità interne con il sostegno a Putin e il posizionamento come leader del Sud Globale. Le risorse, però, potrebbero non bastare per tutto. Ma sarà soprattutto ciò che il nuovo presidente americano vorrà e potrà fare per ostacolare la crescita del principale avversario Usa ad avere l’impatto più rilevante sulla traiettoria economica di Pechino, e non solo, nei prossimi mesi e anni.
I conflitti
Il 2025 sarà cruciale anche per capire quanto reali siano i «venti di pace» che aleggiano (anche per il ritorno di Trump) sulle guerre alle porte dell’Europa. In Ucraina, la recente ammissione di Zelensky che Kyiv non ha la forza militare per riconquistare tutti i territori occupati dai russi suggerisce la possibile apertura di un tavolo negoziale. Ma a quali condizioni? Mosca sarà disposta a fare concessioni? E chi finanzierà la ricostruzione del paese? La fine delle ostilità potrebbe richiedere compromessi – politici ed economici – eccessivamente costosi sia per l’Ucraina che per l’Europa.
Il focus sul Medio Oriente
In Medio Oriente, Israele – forte dei successi ottenuti sui suoi avversari strategici – cercherà di stabilizzare con tregue e accordi i confini con Gaza, Libano, Siria. Difficile però che questo possa garantire una pace duratura nella regione, in assenza di un percorso realistico verso uno Stato palestinese e di un piano che definisca i futuri rapporti di Israele (e Usa) con l’Iran, che seppur indebolito continua ad essere l’elefante nella stanza di ogni architettura di sicurezza della regione. Nel frattempo, la nuova Siria affronterà la sua prova dei fatti: gestire le spinte centrifughe di gruppi armati come i curdi, le milizie pro-turche e i residui dello Stato Islamico e garantire vera inclusività politica e religiosa (condizioni necessarie per il rientro di milioni di siriani e per ottenere fondi internazionali per la ricostruzione).
La transizione
Il 2025 sarà decisivo per le transizioni, prima fra tutte quella verde. Dopo le promesse ambiziose della COP28 – come triplicare la capacità rinnovabile entro il 2030 – resta da capire se queste resisteranno all’uscita degli Usa dagli Accordi di Parigi e alle crescenti perplessità europee sui costi della transizione. L’Occidente saprà rendere la transizione compatibile con i propri interessi? E l’India eviterà che la propria crescita si basi interamente su carbone e fonti fossili? Se l’anno appena cominciato segnerà il passaggio dalle parole ai fatti per i principali attori globali, è innegabile che saranno soprattutto i “fatti” di Trump a fare la differenza. E conoscendo l’imprevedibilità, il gusto per le provocazioni, l’approccio negoziale del 47esimo inquilino della Casa Bianca il 2025 si apre con una unica grande certezza: sarà l’anno della grande incertezza!
*Amministratore delegato Ispi
Chair Comitato Scientifico Ispi
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