Per la prima volta da tre anni, il presidente della conferenza sul clima, nominato dal Brasile che la ospiterà a Be non è un petroliere, ma viene dalla diplomazia climatica
Proprio nei giorni in cui Donald Trump avviava la brutale dismissione di ogni impegno ambientale degli Stati Uniti, il Brasile nominava il diplomatico al quale affidare quello che oggi sembra il compito più difficile al mondo: tenere insieme il processo di diplomazia climatica mentre tutto intorno crolla.
Il prossimo presidente di Cop30, conferenza Onu che si svolgerà nella città amazzonica di Belém a novembre di quest’anno, sarà André Corrêa do Lago. Il suo ruolo sarà come sempre il più politico di tutti: stabilire priorità, trovare compromessi, dialogare con tutti. Corrêa do Lago non si è tirato indietro nel commentare i turbolenti eventi a margine della sua nomina.
Nella prima uscita ufficiale con i giornalisti ha dichiarato di «non sottovalutare la sfida, dovremo vedere come reagiranno gli altri paesi a questo enorme cambiamento nella politica degli Stati Uniti, non c’è dubbio che avrà un’influenza enorme sulle discussioni».
Per la prima volta da tre anni, il presidente di una conferenza sul clima non è un petroliere, André Corrêa do Lago viene dalla diplomazia, e della diplomazia climatica, non ha avuto incarichi né ha interessi in aziende fossili, in compenso è (anche) uno stimato critico di arte e di architettura. È un presidente di Cop che è più conosciuto su ArtTribune che all’Opec.
In mani credibili
Corrêa do Lago è stato segretario per il clima, l’energia e l’ambiente del ministero degli esteri del Brasile e alle ultime Cop è stato il capo negoziatore per Lula. Nei giorni difficilissimi delle trattative di Baku è stato uno di quelli che più (e meglio) hanno lavorato per tenere insieme le parti.
Insomma, dopo tanto tempo, dopo i conflitti di interesse e i sospetti di negazionismo climatico che gravavano sulle figure di Sultan al Jaber (Cop28) e Mukhtar Babayev (Cop29), la diplomazia climatica torna in mani credibili.
Purtroppo, invece, la stessa diplomazia climatica rimane in mani maschili. I negoziati per il clima sotto l’egida Onu continuano a essere una faccenda guidata da uomini. André Corrêa do Lago sarà il quinto uomo consecutivo a guidare una Cop, l’ultima donna era stata Carolina Schmidt a Madrid nel 2019, e in totale, su trenta conferenze sui cambiamenti climatici, venticinque sono state politicamente affidate a uomini. Una percentuale sconfortante.
Corrêa do Lago si è occupato per trent’anni di sviluppo sostenibile, è stato anche uno dei capi negoziatori al summit Rio 20+ del 2012, inoltre è stato ambasciatore del Brasile in Giappone e soprattutto in India, uno dei paesi più riottosi da convincere e uno di quelli che hanno creato più problemi alla ricerca di compromessi negli ultimi anni. La conoscenza della politica indiana sarà sicuramente un punto a fare del nuovo presidente.
Il Brasile ha nominato anche la Ceo della Cop30, sarà Ana Toni, segretaria per il cambiamento climatico al ministero dell’ambiente. mentre la ministra dell’ambiente Marina Silva non avrà un vero e proprio ruolo formale, ma ovviamente sarà politicamente decisiva nel portare a casa una Cop che nasce sotto i peggiori auspici.
Una Cop complessa
Questo trio avrà il compito di celebrare una conferenza sul clima che già senza il terremoto Trump sarebbe stata complicata: decennale degli accordi di Parigi, emissioni che non hanno ancora iniziato a calare, perdita di credibilità dopo il detour antidemocratico e fossile di Egitto, Emirati e Azerbaigian, impegni climatici (Ndc) da rinnovare e formula probabilmente da innovare radicalmente. Gli Stati Uniti parteciperanno alla Cop30, così come alle successive: Trump ha avviato la procedura per uscire dall’accordo di Parigi ma non ha dato (per ora) segnali di voler abbandonare Unfcc, la convenzione quadro delle Nazioni unite sul clima che regola le Cop.
Il Brasile ha provato a dare una spinta e il buon esempio annunciando il proprio impegno di riduzione delle emissioni, un taglio robusto per un paese ancora in via di sviluppo, tra il 59 per cento e il 67 per cento entro il 2035. Un appuntamento chiave dell’avvicinamento alla Cop30 sarà la riunione dei Brics a luglio: il Brasile dovrà tenere unito e ambizioso il fronte di India, Cina, Russia e Sudafrica, e convincerli che esiste una decarbonizzazione globale anche senza gli Stati Uniti.
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