Il godimento di un immobile in comodato, per ragioni di servizio, non implica alcun possesso utile “ad usucapionem”, ma dà luogo a una mera relazione di detenzione, la quale non si muta in possesso per effetto della mancata restituzione della res alla cessazione del titolo legittimante la detenzione (qui comodato).
Il principio è stato riaffermato dalla Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 20novembre 2024, n. 29939, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato la decisione di merito resa tra le parti dalla Corte di Appello di Messina con la sentenza n. 39 del 2021.
La vicenda
Con atto di citazione notificato in data 02.2015 Ascanio Giovenale evocava in giudizio il Comune di Messina innanzi il Tribunale di Messina chiedendo l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione del diritto di proprietà di un immobile.
Nella resistenza del convenuto il Tribunale di Messina, con sentenza n. 896 del 2018, rigettava la domanda. Con la sentenza impugnata, n. 39 del 2021, la Corte di Appello di Messina rigettava il gravame interposto da Ascanio Giovenale avverso la decisione di prime cure, confermandola.
La Corte del merito riteneva, in particolare, che il Giovenale avesse instaurato la relazione con la res sulla base di un comodato, trattandosi di alloggio di servizio del quale egli aveva avuto la disponibilità in conseguenza della sua mansione di custode di un plesso scolastico comunale.
Riteneva quindi non sussistente alcun possesso utile ai fini dell’usucapione, in assenza di atti idonei a costituire interversione nel possesso.
In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto che A. Giovenale avesse cominciato a disporre dell’alloggio in virtù del suo rapporto di lavoro con l’Amministrazione e che, dunque, fosse detentore della res.
Ha poi aggiunto che il Giovenale non aveva provato alcun atto di interversione del possesso, essendosi soltanto limitato a non restituire il bene al Comune di Messina alla fine del predetto rapporto di lavoro.
Per la cassazione della pronuncia di secondo grado Ascanio Giovenale ha proposto ricorso, affidandosi a cinque motivi.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo la parte ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 1140, 1141 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, pcimo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare il principio di non contestazione, in relazione all’individuazione del titolo originario in base al quale fu costituita la relazione con la res, applicando di conseguenza in modo erroneo la presunzione di possesso ed il criterio di riparto dell’onere della prova.
Con il secondo motivo, invece, il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte d’appello avrebbe attribuito erroneamente valore di prova legale ad un documento promanante dalla Pubblica amministrazione, che A. Giovenale aveva specificamente contestato, senza condurre alcun prudente apprezzamento sul punto.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunziato la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché il giudice del gravame avrebbe omesso di specificare le ragioni per le quali avrebbe ritenuto preferibile considerare il contenuto di una nota interna agli uffici del Comune di Messina, rispetto ad altre evidenze di prova acquisite agli atti del giudizio di merito.
Con il quarto motivo, inoltre, è stata denunziata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1803 e 1321 c.c., nonché del R.D. n. 2440 del 1923, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente ravvisato l’esistenza di un comodato, pur in assenza di prova scritta e di un provvedimento amministrativo di assegnazione del cespite oggetto della domanda di usucapione proposta dallo stesso Giovenale.
La decisione in sintesi
La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 29939 del 2024, ha ritenuto i motivi non fondati e ha rigettato il ricorso con conseguente conferma della decisione impugnata.
La motivazione
Ha rilevato il Collegio che la statuizione e la motivazione di merito è risultata coerente con i precedenti posti in materia dalla Suprema Corte, secondo cui «il godimento di un immobile in comodato, per ragioni di servizio, non implica alcun possesso utile ad usucapionem, ma integra una mera relazione di detenzione. Né vale a mutare tale detenzione in possesso la mancata restituzione della res al proprietario alla cessazione del titolo legittimante la detenzione (cfr. Corte di cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 5551 del 15/03/2005, Rv. 581134 e Corte di cassazione, Sez. 6-2, Ordinanza n. 14593 del 04/07/2011, Rv. 618437).
Non si configura, dunque, alcuna erronea applicazione del principio di non contestazione, avendo il giudice di merito condotto una complessiva ricostruzione del fatto e delle prove, che il ricorrente contesta proponendo una lettura alternativa degli stessi, senza confrontarsi con il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Corte di cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Corte di cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Corte di cassazione, Sez. Lavoro, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Ecco il link alla decisione: Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, ordinanza del 20novembre 2024, n. 29939
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