Il conflitto tra Israele e Hezbollah e l’imminente fine del cessate il fuoco porta ancora una volta l’attenzione sul gruppo terroristico, sulla difficoltà di attori statali e internazionali a sradicarlo dall’area di origine e sul futuro del Libano.
Con l’avvicinarsi del 26 gennaio, data in cui scadrà il cessate il fuoco di 60 giorni tra Hezbollah e Israele annunciato il 26 novembre scorso, regna l’incertezza sulle strategie e sulle azioni che i due attori decideranno di intraprendere. L’attuale escalation affonda le sue radici in decenni di tensioni irrisolte, interventi internazionali fallimentari e nell’incapacità dell’UNIFIL di arginare l’ascesa di Hezbollah, un attore profondamente radicato e difficile da estirpare. Questo quadro complesso impone di guardare indietro nel tempo, analizzando oltre quarant’anni di conflitto per comprendere le dinamiche che lo alimentano e affrontare una questione cruciale: è davvero possibile sradicare Hezbollah, dopo quattro decenni di esistenza?
Il conflitto scoppiato il 7 ottobre 2023 tra Gaza e Israele, naturale esito di un confronto secolare mai sopito, ha rapidamente coinvolto una pluralità di attori, con gradi di partecipazione diversi. Tra questi si è presto inserita Hezbollah, l’organizzazione paramilitare libanese fondata nel 1982 e oggi classificata come organizzazione terroristica. La nascita di Hezbollah è strettamente legata a una serie di conflitti tra Libano e Israele, culminati con l’invasione israeliana del territorio libanese.
Era il 1978 quando, a seguito di conflitti arabo-israeliani di lungo corso, le IDF hanno invaso il Libano meridionale, la zona in cui l’OLP da ormai dieci anni aveva creato uno stato nello stato, e da cui attaccava il nord dello stato ebraico. Questa continua violenza, sommata allo scoppio della guerra civile Libanese nel 1975, portò alla decisione israeliana di invadere il sud del Libano con l’Operazione Litani, avviata per distruggere le basi terroristiche palestinesi e creare una zona di sicurezza lungo il confine tra i due stati.
Fu a seguito di questa invasione che nacque l’UNIFIL. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, infatti, approvò le Risoluzioni 425 e 426, chiedendo il ritiro delle truppe israeliane dal Libano. Per sostenere questo mandato e ristabilire la pace e la sovranità libanese nella zona sud del Libano, venne istituita la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite (UNIFIL), le cui truppe giunsero sul territorio libanese nel marzo 1978. Tuttavia, non è bastata la presenza internazionale nello stato arabo a fermare la violenza: gli attacchi dell’OLP e dell’Esercito del Libano del Sud (ELS) a obiettivi sia israeliani che dell’UNIFIL sono proseguiti anche negli anni successivi, culminando con un nuovo conflitto nel 1982. Il conflitto chiave che portò alla nascita di Hezbollah.
Questo ebbe inizio il 6 giugno 1982, quando Israele invase il Libano meridionale nell’operazione chiamata Pace in Galilea. L’invasione fu la conseguenza di una serie di attacchi e contrattacchi tra l’OLP e l’esercito israeliano, ed ebbe fine con l’accordo del 17 maggio 1983, che previde il ritiro israeliano dal paese, avvenuto in maniera graduale negli anni successivi.
Nel clima di violenza generato dall’occupazione israeliana, protrattasi fino al 2000, emerse un nuovo attore: un gruppo sciita fortemente ispirato dal governo teocratico dell’Iran, la principale potenza sciita della regione. Questa milizia, tuttora sostenuta dall’Iran e dall’ormai decaduto regime siriano di Bashar al-Assad, prese il nome di Hezbollah, che in arabo significa “Partito di Dio”. In breve tempo, il gruppo si guadagnò una reputazione di estremismo militante, distinguendosi per frequenti scontri con altre milizie sciite e attacchi contro obiettivi internazionali.
Nel 2006 Hezbollah ebbe un ruolo di rilievo in quella che può essere considerata la terza invasione israeliana del Libano. La guerra del 2006 fu un conflitto armato che durò 34 giorni, combattuto proprio tra Hezbollah e Israele in territorio libanese. La guerra iniziò il 12 luglio 2006, quando Hezbollah tese un’imboscata a dei soldati israeliani al confine, uccidendo e catturando alcuni di loro al fine di ottenere uno scambio di prigionieri. In risposta Israele attaccò sia obiettivi militari di Hezbollah sia infrastrutture civili libanesi, con un’invasione via terra del Libano meridionale e un blocco aereo e navale al paese. Il conflitto continuò fino a quando un cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite entrò in vigore nell’agosto del 2006.
Nel tempo, il mandato dell’UNIFIL è stato ampliato per includere il monitoraggio della cessazione delle ostilità dopo il conflitto del 2006 e il supporto alle Forze Armate Libanesi nel contrastare il riarmo di Hezbollah e di altre entità non statali, come stabilito dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tuttavia, nonostante un budget annuale di 551 milioni di dollari e un contingente di oltre 10.000 unità, l’UNIFIL è diventata il simbolo del fallimento delle Nazioni Unite nel mantenimento della pace. Anziché stabilizzare l’area, la sua presenza ha paradossalmente facilitato l’espansione militare di Hezbollah, trasformando il Libano meridionale in una base strategica per attacchi contro Israele e consolidando l’influenza iraniana nella regione.
Tra le criticità più significative dell’operato dell’UNIFIL vi è la sua evidente incapacità di contrastare le sistematiche interferenze imposte da Hezbollah. Sotto la copertura di organizzazioni apparentemente innocue, come l’associazione ambientalista “Green Without Borders,” Hezbollah ha costruito una fitta rete di infrastrutture militari nel sud del Libano. Postazioni di osservazione, depositi di armi e strutture fortificate sono state erette in aree strategiche, rese inaccessibili alle forze dell’UNIFIL attraverso pretesti legati ai diritti di proprietà privata o alla salvaguardia agricola. Parallelamente, il gruppo ha infiltrato le comunità locali, presentandosi come un’autorità de facto e alimentando la sfiducia nei confronti delle forze di interposizione delle Nazioni Unite. Questa duplice strategia—un controllo fisico sul territorio e una manipolazione delle percezioni sociali—ha progressivamente ridotto l’efficacia operativa dell’UNIFIL. Di conseguenza, Hezbollah ha potuto agire impunemente, espandendo il proprio arsenale con missili di precisione, droni avanzati e tunnel d’attacco diretti contro Israele.
L’incapacità dell’UNIFIL di contenere le attività di Hezbollah ha generato ripercussioni profonde e multidimensionali. A livello locale, ha rafforzato il controllo di Hezbollah nel sud del Libano, indebolendo ulteriormente la già fragile sovranità dello Stato libanese e contribuendo all’instabilità dell’intera regione. Sul piano internazionale, il fallimento dell’UNIFIL segna un precedente preoccupante, dimostrando che una forza di pace internazionale può essere resa inefficace attraverso strategie mirate di manipolazione e ostruzione, un messaggio che rischia di essere colto da altri attori non statali in contesti diversi, minando la credibilità e l’autorità delle Nazioni Unite e delle loro missioni di peacekeeping in tutto il mondo. È fondamentale riconoscere che l’UNIFIL ha esaurito la propria utilità, e sarebbe meglio che la comunità internazionale e le autorità libanesi si confrontassero in prima persona con le dinamiche reali che alimentano l’instabilità della regione.
Il futuro dell’area rimane altamente incerto, aggravato dalla fragilità dell’attuale cessate il fuoco, già violato in più occasioni. I termini dell’accordo richiedevano il ritiro delle truppe israeliane dal Libano e lo spostamento di Hezbollah a nord del fiume Litani, con il controllo del Libano meridionale affidato alle forze armate libanesi. Questa dinamica riflette uno schema già osservato con la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite del 2006. E proprio come allora, la tregua appare vulnerabile senza un approccio sistemico per affrontare le radici del conflitto. Un passo significativo verso la pace potrebbe consistere nell’implementazione integrale degli accordi di Taif del 1989. Questi accordi prevedevano lo smantellamento di tutte le milizie presenti sul territorio libanese e il trasferimento esclusivo del controllo delle armi allo Stato. Se pienamente attuati, tali misure garantirebbero la neutralizzazione di Hezbollah come forza armata, rafforzando così l’efficacia della risoluzione 1701 e creando un nuovo equilibrio nella regione.
Il conflitto ha inoltre rivelato l’incapacità strutturale dello Stato libanese di affrontare sfide critiche, evidenziando la necessità urgente di un governo più efficace e di un sistema politico funzionante, poiché è evidente che la mancanza di fiducia sia a livello interno che internazionale ostacola gli sforzi per stabilizzare il paese e attrarre assistenza esterna. Il neo-presidente Michel Aoun ha la possibilità di incarnare il cambiamento necessario: un approccio determinato e inclusivo da parte della leadership potrebbe consolidare l’autorità statale, affrontare le devastazioni causate dal conflitto e guidare il Libano verso un modello di governance che integri tutte le comunità, inclusa quella sciita. Questo sarebbe un passo fondamentale per contrastare il ruolo di Hezbollah come pedina dell’Iran nella regione e per garantire una maggiore coesione nazionale.
Il periodo successivo al cessate il fuoco sarà cruciale per definire il futuro del conflitto tra Hezbollah e Israele. L’instabilità attuale, combinata con l’incapacità delle Nazioni Unite di far rispettare il disarmo di Hezbollah, suggerisce che la tregua potrebbe trasformarsi in una pausa temporanea piuttosto che in una risoluzione duratura. Israele probabilmente manterrà una posizione di vigilanza, intensificando le operazioni di intelligence e preparando contromisure contro eventuali escalation. Dal lato libanese, il governo dovrà affrontare una pressione crescente per ristabilire l’autorità statale nel sud, un compito che sarà reso estremamente difficile senza un supporto internazionale e una strategia chiara per affrontare Hezbollah.
A livello regionale, è probabile che l’Iran continuerà a sostenere Hezbollah come strumento di proiezione del proprio potere contro Israele, complicando ulteriormente gli sforzi di disarmo. Tuttavia, una combinazione di pressioni internazionali, sanzioni mirate e incentivi economici per il Libano potrebbe favorire una soluzione politica al conflitto. Sebbene un disarmo completo di Hezbollah sembri improbabile nel breve termine, un graduale ridimensionamento delle sue capacità militari potrebbe dunque essere possibile se accompagnato da riforme politiche interne e dal rafforzamento delle istituzioni statali.
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